Arte e cinema è un binomio sempre più presente nella creazione artistica. Il cinema è considerato il medium creativo per eccellenza del ‘900, ma a quanto pare anche negli anni Duemila non ha perso affatto il suo fascino…
E’ un punto controverso. Se da un lato il linguaggio cinematografico alimenta oggi l’immaginario degli artisti visivi, dall’altro si assiste ad una progressiva perdita d’interesse e ad un disinvestimento economico dell’industria cinematografica per il cinema d’autore. Sono diminuite le sale dove è possibile vedere film d’autore, che vengono prodotti ma non distribuiti.
Sotto quali forme si declina il prelievo che gli artisti contemporanei eseguono rispetto al cinema? Quali sono le modalità?
Le modalità sono molteplici e a più livelli. Le ragioni che spingono molti artisti visivi ad utilizzare il mezzo filmico risiedono nella capacità che il cinema ha tutt’ora di plasmare l’immaginario collettivo, di costituire un caso forse unico di arte realmente popolare, diversamente dall’arte contemporanea, e di raggiungere un pubblico più vasto. Ma naturalmente questo prelievo determina un cambiamento radicale del linguaggio cinematografico nel passaggio dalla sala cinematografica allo spazio espositivo. E questo passaggio mette in luce delle componenti della grammatica filmica che non hanno modo di svilupparsi nella sala cinematografica. Ne cito solo una come esempio: il ruolo dello spettatore che da passivo fruitore seduto nel buio della sala, si trasforma all’interno di un’installazione di più immagini, in “operatore di montaggio”, il quale si trova a scegliere di volta di volta in modo personale e soggettivo, suoni, immagini e a metterli in sequenza nella sua mente, per arrivare ad un senso possibile.
Abbiamo visto cosa prende l’arte dal cinema. Ma c’è anche un percorso all’inverso? Il cinema pesca dall’immaginario dell’arte contemporanea?
Un caso esemplare dell’esistenza di questo percorso all’inverso è l’opera della regista belga Chantal Akerman, che produce film per il circuito cinematografico e installazioni per gallerie e musei. Durante una conferenza tenutasi recentemente al Centre Pompidou, Akerman ha affermato che il suo recente passaggio alle arti visive le ha dato una libertà di cui non dispone quando gira un film, sottoposto com’è a vincoli di budget e a regole di mercato. Per i registi il mondo dell’arte contemporanea si traduce in libertà di agire, senza condizionamenti.
In particolare nella tua città, Roma, in questo preciso periodo, si sta verificando un aumento esponenziale di mostre ed eventi che vedono la compresenza di arte contemporanea e cinema. Le personali di Tracey Moffat, Sarah Ciracì, Thorsten Kirchoff, Matt Marello tutte allestite in questi mesi a Roma- percorrono tutte il confine tra le due discipline. In che modo la capitale potrebbe beneficiare di questa tendenza considerando anche la presenza di Cinecittà, principale polo cinematografico del mondo secondo solo ad Hollywood?
Credo che a Roma stia accadendo ciò che accade anche in altre città, e sicuramente il fatto che a Cinecittà si girino molti film di grande richiamo, rende la realtà culturale della città più effervescente e stimolante.
Tu stessa nel corso di giugno e luglio al Magazzino d’Arte Moderna curi una serie di appuntamenti dedicati all’immagine in movimento ed ai rapporti tra cinematografia ed arte contemporanea.
L’idea è quella di offrire un panorama ampio, anche se non esaustivo, di opere di artisti che in ambito internazionale lavorano con le immagini in movimento. E non è casuale che nella serie di mostre ci sia anche una filmaker, Alina Marazzi. Il suo film “Un’ora sola ti vorrei” infatti possiede delle caratteristiche che lo avvicinano, per sensibilità e modo in cui è stato realizzato, alle arti visive. Questo primo ciclo di mostre è l’anteprima di una programmazione stabile che prenderà l’avvio con la nuova stagione espositiva.
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