Sapevamo che le novità sarebbero state molte ma non fino a questo punto. Quello che una volta era un piccolo design festival indie, ha ora trovato casa in un luminoso e arioso padiglione del Lingotto di Torino. Affiancandosi, anche fisicamente, ad Artissima, diventa fondamentale l’apporto che le gallerie danno all’identità di questa realtà contemporanea, facendosi promotrici di un mondo ancora un po’ da capire. E menomale, perché Operæ Independent Design Fair non è solo uno degli ingranaggi del business ma si fa carico di un ruolo didattico nei confronti del pubblico del design e, da qui, anche il titolo scelto dalla curatrice, Alice Stori Lichtenstein: “Why Design”.
Certo, rispetto alle edizioni nei palazzi storici della città, manca un po’ la componente narrativa, in favore di quella “a sezioni”. Manca la sorpresa quando, perlustrando i corridoi e il susseguirsi di stanze nobiliari, spuntava un vaso, si mimetizzava una panca, si stagliava una lampada. Ma le organizzatrici non sono nostalgiche, sono toste e guardano avanti senza mai intenerirsi voltandosi indietro: questa narrazione è meno evidente perché parte della implicita dichiarazione d’intenti che la fiera ha fatto, scegliendo di definirsi come tale. Qui, nella nuova sede, il visitatore segue il proprio percorso, interpretando le cifre stilistiche, leggendo le singole ricerche e traducendo i canoni contemporanei.
Molte le gallerie, con un buon bilancio tra italiane e straniere e molti di più i designers, ben 42. A questi si affiancano anche i dieci lavori scaturiti da Piemonte HandMade, un progetto che mette in dialogo progettisti, artigiani piemontesi e gallerie. Tra la moltitudine di quelle interessanti in mostra, una serie di realtà ibride sono da tenere d’occhio: Mamarocket, collettivo di un’ottantina di designers con base a Milano che hanno deciso di autoistituirsi un canale vendita e affiancano un interessante progetto editoriale; Portego, coppia di editor veneti che purtroppo quest’anno si presenta a Operæ con una collezione di oggetti un filo troppo facili; e Manufatto, nuovo brand milanese che si rivela una bella sorpresa, senza anacronistici sistemi territoriali né costrutti forzati del sistema design – o come dir si voglia – e quindi del quartetto spietato designer/produttore/realizzatore/venditore.
A chiudere, immancabile una sbirciata nel progetto curatoriale Dreamers, che esplora il futuro della moda come progetto e porta in scena alcune realtà indipendenti.
Il designer che ci è piaciuto di più: Arthur Hoffner.
La galleria che ci è piaciuta di più: Carwan Gallery.
I tre progetti che ci sono piaciuti di più a Piemonte HandMade: Sections, di Guglielmo Poletti con Berrone Livio & C. e SEEDS; Mar Mikhayel di Carlo Massoud con Annaratone e Carwan Gallery; Castagno di Alban Le Henry con Balume e GREAT DESIGN Gallery. (Elisabetta Donati de Conti)
In alto: Mar Mikhayel (Saint Michel), Carlo Massoud, Annaratone, Carwan Galler