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«Il cortile dell’Istituto italiano di cultura di Praga, il luogo dove Gianni Politi ha lavorato e “vissuto” per 20 giorni diventa la scenografia ideale per esporre le quattro grandi tele che raccontano un barocco nuovo, contemporaneo e decisamente rock. La pittura dell’artista si inserisce nel nuovo filone dell’ “abstract processual” perché, pur rimanendo totalmente aniconica, riesce a raccontare come l’influenza del luogo si riesca a trasferire nel lavoro che diventa una sorta di diario visivo dell’esperienza vissuta». Ce lo racconta così Paola Ugolini, la curatrice del progetto di AlbumArte dedicato al “giovane pittore romano dell’aria un po’ guascona” che stasera apre nella capitale della Repubblica Ceca.
Un percorso che si è focalizzato intorno alla necessità di comprendere e dialogare con la tradizione senza tralasciare, appunto, il proprio stile, da sempre strettamente legato ad eventi autobiografici.
«L’idea iniziale della residenza di Gianni Politi a Praga era di poter effettuare un’indagine fra le relazioni estetiche e concettuali, o le profonde dissonanze, fra il lavoro di un giovane pittore contemporaneo con la sapienza tecnica di Giovanni Pietro Scotti che nel 1736 ha realizzato la grandiosa decorazione delle volte della cosiddetta “Cappella Italiana” di Praga. Ma, ed è questo il bello delle residenze, il progetto è cambiato in corso d’opera e, ispirato dalla monumentalità architettonica dell’Istituto, l’artista ha preferito concentrarsi sul cortile esterno della cappella concependo tre grandi tele molto materiche», scrive Ugolini. Una stelletta in più per il poco meno che trentenne artista di Roma, che tra poco racconterà in prima persona a Exibart il risultato di questa avventura.
Innanzitutto, io ho avuto modo di conoscere il tanto lodato giovane artista romano, un poppante a cui piace atteggiarsi ad artista, davvero antipatico e molto pomposo. Mi sono chiesto che tipo di opere facesse uno che di arie se ne da tante.
Mi sono documentato ed ecco cosa ne è uscito fuori: il suo lavoro altro non è che una copia di stili di artisti diversi, ci ha messo un po’ di tutto: un Baselitz sbiadito a testa in giù, un Clyfford Still con tonalità diverse, un Francis Bacon rimpicciolito e bruttarello, un Damien Hirst dei poveri, e per non parlare del suo “Please let me stop having boring idea” , una sua versione (in inglese da quinta elementare) del lavoro dell’ artista Tracey Emin “ I will not make any more boring art”. Che squallore!
Insomma l’artista è un po’ confuso, forse non sa che qualcuno, in questo ormai corrotto e fasullo, mondo dell’arte, di arte ne capisce, e gli artisti li conosciamo anche noi caro giovane romano, non puoi fare un giro in libreria e rifilarci le tue opere facendoci credere di essere un nuovo dandy.
E aggiungerei anche un messaggio diretto alla curatrice della mostra, Signora cara, ma il termine da Lei usato per pompare il Suo pupillo lattante “barocco-rock” non le ricorda tanto il titolo di una mostra tenutasi al museo Madre de Napoli qualche tempo fa? “Barock”, suvvia un po’ di fantasia, non è di arte che stiamo parlando?Credo proprio di no!