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Libero pensatore e spirito illuminato per alcuni, ciarlatano e libertino per altri, stimato da Schopenhauer e definito da Leibniz «un pazzo», Giulio Cesare Vanini è stato protagonista di una vicenda dai tratti torbidi, un intrigo internazionale ante litteram, tra filosofia e religione, spionaggio e fughe rocambolesche. Vanini nacque il 19 gennaio 1585, a Taurisano, Comune in provincia di Lecce, tra le colline di calcarenite e argilla rossa delle serre salentine, e morì a Tolosa, il 9 febbraio 1619, condannato al taglio della lingua, allo strangolamento e al rogo, sulla base della normativa prevista dall’Inquisizione per gli atei bestemmiatori. Nei suoi testi, scardinava le teorie finalistiche e aristoteliche dell’anima, di cui negava l’immortalità, si ricollegava all’epicureismo di matrice lucreziana, affermava il moto di rotazione terrestre ed era vicino alla tesi eliocentrica copernicana. Studiò legge a Napoli e, in seguito ai sospetti delle autorità religiose, fu costretto a fuggire in Inghilterra, dove sconfessò pubblicamente la sua aderenza alla religione cattolica. A Londra fu tratto in arresto ma riuscì a evadere dal carcere e trovò riparo in Francia dove, dopo un periodo sotto falsa identità, fu coinvolto in un processo farsa e condannato a morte.
Vanini condusse una vita da esule ma tra i motivi di ispirazione mantenne sempre la sua terra, «patria mia nobilissima e quasi gemma nell’anello del mondo», come scrisse nei suoi appunti di viaggio e com’è inciso sul marmo che Paolo Prevedini ha posto a basamento della sua scultura monumentale di bronzo che, il 15 aprile, sarà presentata ufficialmente a Taurisano. Nel 2014, il comune salentino annunciò un concorso pubblico per la realizzazione di un’opera dedicata al controverso filosofo e il progetto di Prevedini è risultato vincitore. La ricerca di Prevedini si è concentrata «sul valore profondo del messaggio del libero pensatore», come dichiarato dall’artista nato a Milano nel 1974 e da anni a Napoli, arrivando alla realizzazione di «due volti contrapposti, per svelare ciò che è celato oltre le contraddizioni della storia, una dualità più grande che integra in unica figura le due facce dell’uomo: l’uomo nella storia, l’apparire e l’uomo nel pensiero, l’essere». Così, il doppio volto di Vanini è colossale e tormentato, deformato da un enfasi straziante simile a quella con cui Igor Mitoraj feriva le sue opere. Tale dualità tra gli individui, le epoche e le idee è richiamata anche nella scelta di affidarsi, per la realizzazione, a una fonderia di Nola, luogo natale di Giordano Bruno, un altro grande spirito inquieto.
Da notare che l’aspetto di Vanini non è accertato da fonti a lui contemporanee e la raffigurazione più antica si deve a un’incisione ottocentesca di Raffaello Morghen. Un’incertezza rappresentativa che si riflette, ironicamente, negli artifici retorici usati per esprimere la sua filosofia, un linguaggio difficile, spesso ambiguo, che Vanini padroneggiò, invano, per tentare di sfuggire alla censura. (Mario Francesco Simeone)