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Ai Weiwei concorre per il Leone d’Oro, con Human Flow. Documentario cinematografico o film d’artista?
Ai Weiwei vuole denunciare come artista, come uomo e come dissidente politico, la più grande delle tragedie dei nostri tempi, la difficile e disumana avventura dei profughi e dei migranti. Girato lungo i confini più affollati nel mondo con immagini bellissime, che viene spesso voglia di fermare per il loro sapiente equilibrio di colori e luci – tra le quali narcisisticamente lui appare forse qualche volta di troppo – riesce a raccontare molto bene i muri del nostro mondo contemporaneo, fisici e mentali, provocando senz’altro una forte dose di sdegno per quello che accade così vicino a noi e per il nostro modo di occuparcene. Se lo considerassimo un documentario, si potrebbe dire che è facilmente retorico, con un’idea di regia piuttosto confusa. Se fosse un film d’artista, sarebbe bellissimo ma un po’ troppo diluito e divulgativo, con frasette in sovraimpressione piuttosto scontate. In entrambi i casi è troppo lungo, la versione originale dura 140 minuti. Alla conferenza stampa sembra che a parlare dei migranti, tra gli artisti, sia solo lui ma chiunque abbia girato mostre e musei, sa che questo è un argomento importantissimo per la maggior parte di loro.
In Lean on Pete, diretto da Andrew Haigh, il regista adatta il romanzo di Willy Vlautin, La Ballata di Charlie Thompson, in modo impeccabile e fluido. Di nuovo solitudine, emarginazione, bisogno d’amore e di accudimento, nella vita di uno sfortunato ragazzo in un’America distratta. Buon film per un pomeriggio al cinema, fragile per il Festival.
E la coppia Robert Redford / Jane Fonda, al Lido per il Premio alla Carriera, fa ancora sognare chi li ha amati nei loro film, insieme o separati. Lei dice che lui bacia ancora benissimo. Noi, ai tempi, l’avevamo sempre immaginato! (Cristina Cobianchi)
In alto: photo credit Antonella Cazzador