10 settembre 2015

Venezia/Finale di partita fra fantasmi, veri e falsi. Franco Scaldati, per esempio

 

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Mentre la stampa inglese diffonde un necrologio sbagliato con la biografia del morto già pronta all’uso prima del tempo, il regista dell’Esercito delle 12 scimmie e attore/autore con i Monty Python pubblica sua sua pagina Facebook, Terry Gilliam dice: “Scusate se sono morto proprio oggi”. In spiaggia, con il cielo sullo sfondo e inquadrato da telecamere il morto vivo inscena una specie di saluto dall’aldilà. Anticipando, con molta ironia, la sua gloria postuma, pensando bene che è molto meglio godersela da vivi.
Non è stato il caso di Franco Scaldati, poeta, attore e regista palermitano morto nel 2013, cui Franco Maresco dedica un documentario ironicamente e falsamente didascalico, infarcito delle solite domande retoriche, “Come poteva un autore e attore come Franco sopravvivere nel cosmo delle televisioni private locali, i cui spettacoli erano basati su una comune e triviale volgarità e che non a caso avevano come modello le televisioni fondate da un noto imprenditore brianzolo?”. Alternando immagini di archivio, interviste ai collaboratori e agli attori protagonisti della stagione dei teatri indipendenti palermitani degli anni sessanta, attraverso la vita e le opere di Franco Scaldati e per il secondo anno consecutivo, Franco Maresco ripercorre la parabola dolorosa della desertificazione culturale della propria città, non ascrivendola solo alla prepotenza della mafia, ma alla forza della banalizzazione edonistica e narcotizzante della società in cui viviamo e alla superficialità, trivialità e populismo di tutte le reazioni a questo processo; la combinazione di questi due fattori ha impedito la formazione di una risposta autenticamente politica alla mafia e la possibilità di una cultura viva. Dalla Palermo in cui non era raro incontrare tra gli altri Pasolini e Sciascia, e dove era nato il Gruppo 63 nell’ottobre dello stesso anno, alla Palermo degli attentati a Falcone e Borsellino, quando il giudice Caponnetto dice “Ormai è tutto finito”, Maresco racconta la formazione nei teatri d’avanguardia, la sperimentazione al teatro Biondo e la fondazione di un proprio teatro di Scaldati, un poeta spesso paragonato dai critici a Beckett, secondo Maresco sbagliando perché di Beckett Scaldati non ha né l’intellettualismo né la freddezza algida. Attraverso l’estetica della voce e del gesto, del suono e della parola che alla fine sono diventate l’unico oggetto della ricerca di Scaldati, è forse la storia recente della narcotizzazione e della disperata resistenza a questa la vera storia raccontata da Maresco. Testi tutti in palermitano, dei quali spesso non rimane alcuna traccia scritta, detti e cantati, per essere messi in atto. 
Infine il racconto del funerale, quando ci sono tutti, ma proprio tutti, il sindaco e l’assessore, a promettere di saldare il debito con il grande poeta, per poi ripassare dal teatro Biondo, teatro anche del funerale, due anni dopo e in uscita da uno spettacolo qualsiasi una sera di inverno qualunque, sentire dire a una giovane donna bella e molto elegante, in risposta alla domanda “Chi è Scaldati?”, “Stefano Accorsi”. (Irene Guida)

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