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1973, In allegato vi trasmetto un audiotape di 30 minuti; 1968, Macchina drogata e 1978, Riserva di caccia, sono opere del poliedrico guru dell’arte Concettuale Vincenzo Agnetti (1926-1981), pittore, saggista e teorico, autore di romanzi sperimentali, esposte come gioielli da Bulgari nella nuova sede di Sotheby’s a Palazzo Serbelloni, a Milano, dove la sua voce ipnotica snoda le potenzialità del linguaggio, scandisce frasi ricavate dal flusso del ragionamento, intorno ai temi del TRADOTTO, RIDOTTO, DIMENTICATO.
Sono opere dell’Archivio del’artista, in via Macchiavelli 30, dove dal 5 febbraio nello storico studio saranno esposti un’altra serie di lavori realizzati dal 1976 e al 1980. Il vernissage di ieri sera, nell’elegante palazzo dagli stucchi dorati, della mostra a cura di Bruno Corà, è stata occasione per presentare Archivio 01, primo di una serie di piccoli libri che documentano il lavoro e valorizzano l’aspetto più visionario e creativo di Agnetti, in cui parole, numeri, immagini s’intrecciano in libertà, creando un cortocircuito cognitivo, diventano un pretesto per operare sul linguaggio, in cui si celebra l’avvento.
Questi e altri testi dissolti nelle sequenze di lettere, frammenti di frasi recuperate e rese non leggibili, all’improvviso sono state disturbate, ieri sera, da un invasivo e casuale segnale d’allarme. Si, verissimo, di quelli antincendio, a luce rossa collocati sopra le porte, emettitori di suggerimenti su come mettersi in salvo. Paradossale no?
Chissà, forse, sarà stata la presenza dello spirito di Agnetti, che più di altri ha operato emblematiche rotture del discorso estetico, che ha fatto dei concetti composizioni, equivalenti a quelle composte con colori ad olio, trasformando il linguaggio in tempo e azione, e dispositivo cognitivo.
E da Sotheby’s in Corso Venezia l’allarme non era poi così fuori luogo, e forse si è attivato per farci pensare all’eccesso di “vetrinizzazione” del Concettuale nel sistema dell’arte, sempre più decontestualizzato, svuotato di senso e ridotto a ready made di una ricerca teorica o creativa perduta, souvenir di investigazioni complesse di associazioni soggettive, esposte come “parure” del pensiero. (Jacqueline Ceresoli)