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Possiamo immaginare che sarà lunghissima la fila davanti al Gross Domestic Product, nuovo shop nel quartiere di Croydon, considerato il nuovo centro di servizi, cultura e commercio del sud di Londra. Questo non solo perché si tratta di un negozio ufficialmente aperto da Banksy ma anche perché le sue porte sono destinate a rimanere chiuse. In effetti, più che negozio, quindi un luogo da attraversare per acquistare beni e servizi, si tratta di un’opera da fruire, come spesso capita nelle azioni dello street artist anonimo più famoso del mondo. Ma niente paura, perché i prodotti in esposizione potranno comunque essere comprati attraverso una piattaforma di e-commerce.
Il nuovo negozio di Banksy è peraltro ben conosciuto dagli abitanti di Londra, visto che ha occupato gli spazi di un vecchio magazzino di tappezzeria. Ma cosa si può comprare, in questo Gross Domestic Product? Ovviamente non grossolani accessori per la casa, come lascerebbe intendere l’insegna. In vendita, un tappeto ispirato a Tony the Tiger, la mascotte dei cereali Frosties di Kellogg, un elmetto da poliziotto a forma di sfera stroboscopica da discoteca – veramente un accessorio alla moda, tipo il giubbotto anti-lama per il rapper Stormyz – un camion da traporto migranti e poi tazze, piatti e t-shirt griffate con gli stencil più iconici di Banksy. Insomma, opere d’arte. E allora quel Gross Domestic Product non è un nome scelto a caso ma una provocazione in pieno stile banksyano, rivolta contro un certo modo fin troppo commerciale di intendere l’arte. E ancora tutt’altro che casuale è la concomitanza con Frieze London, una delle fiere più importanti del mondo.
In un comunicato affisso sulla vetrina del negozio di Londra, Banksy ha scritto le sue motivazioni, specificando che si tratta di legittima difesa. Secondo quanto riportato, un’azienda che vende cartoline di auguri sta provando ad appropriarsi dei diritti commerciali legati al marchio Banksy, che è regolarmente registrato. E secondo gli avvocati dello street artist, vendere prodotti ufficiali aiuterebbe a vincere la querelle. Ricordiamo che, a febbraio 2019, la Pest Control, la società che si occupa della gestione dell’immagine e del marchio Banksy, ha citato in giudizio la 24 Ore Cultura, società organizzatrice di “A Visual Protest”, mostra in esposizione al MUDEC di Milano, per violazione del copyright e vendita non autorizzata di merchandising. Anche se tempo fa, lo stesso Banksy disse che il copyright era da perdenti, questo atteggiamento non sembra in controtendenza con la posizione tenuta dallo street artist che, già in diverse occasioni, ha dovuto fare i conti con tentativi di sfruttamento della sua immagine a fini commerciali.
Mark Stephens, avvocato specializzato in cause d’arte, fondatore della Design and Artists Copyright Society e già difensore di Julian Assange, ha bollato il caso come «ridicolo» e sta dando consulenza legale a Banksy, che comunque si troverebbe in una posizione complicata, visto che «se il titolare del marchio non lo utilizza, questo può essere trasferito a un altro soggetto», ha spiegato al Guardian. Dunque, l’idea di aprire un negozio con una gamma di prodotti è stata proposta dallo stesso Stephens.
Per Banksy, comunque, si tratta di beneficenza. Come nel caso della lotteria, i ricavi della vendita, infatti, saranno usati per comprare una nuova imbarcazione per la Proactiva Open Arms, la ong spagnola che opera nel Mediterraneo per soccorrere i migranti e la cui nave fu sequestrata dalla marina italiana ad agosto.
E come la mettiamo con il rischio di furti? Memore di quanto è successo a Parigi, Banksy ha preso le sue contromisure: qualcuno dice che quelle persone in trench marrone che girano intorno al negozio siano degli agenti di sicurezza in incognito.