Il 16 ottobre scorso ha inaugurato, nella città di Ragusa, Bitume, un progetto site-specific in cui gli oltre 25 artisti hanno convertito lo spazio industriale di un ex fabbrica in un vero e proprio centro pubblico di produzione artistica. Bitume industrial platforms of arts si inserisce all’interno di FestiWall, il festival internazionale di arte pubblica di Ragusa, sollecitando un dialogo con lo spazio urbano e con il passato archeologico e il sistema industriale della città . Ambientato negli spazi abbandonati della fabbrica di materiale bituminoso Antonino Ancione, dismessa dal 2013, Bitume è «rilettura di ciò che è stato rimosso, in dialogo fra arte e memoria, pieno e vuoto, evidente e nascosto». Tra le oltre 30 opere della presente edizione, l’artista di base romana Greg Jager ha presentato Dismantle: un monumentale progetto ibrido che fonde architettura ed arte, ricercando risposte a diversi quesiti legate al tema dell’antropizzazione.
Noto per un’estetica tipicamente astratta, per Bitume Greg Jager ha realizzato una serie di dipinti a parete collocati in aree diverse e talvolta inaccessibili della fabbrica. Coerenti con la sua passione per gli «algoritmi visivi», l’artista con Dismantle offre inediti spunti di riflessione sulle dinamiche industriali correlate alle geometrie compositive dello stabilimento. L’opera a battezzare il progetto, nata nel corso di una residenza, è anche il primo lavoro realizzato da Jager per il festival: un wall painting alto 5 metri e largo 15 che domina l’intero complesso industriale.
Camminando tra i capannoni e i container ormai abbandonati, la visione di Dismantle possiede un radicato magnetismo grazie al sapiente utilizzo di una palette di colori che riprende le tonalità dell’ambiente in cui si inserisce. L’opera è il risultato compositivo di linee geometriche, diagonali e alternanza tra vuoti e pieni di chiara ispirazione alle architetture compositive di Ancione, le quali si riflettono sulle pareti tramite la loro scomposizione e successiva ricomposizione bidimensionale. «Ho lavorato per tracciare il pieno e il vuoto, decontestualizzando l’architettura, “smantellando” efficacemente la struttura per lasciare le chiavi aperte al passato e infinite interpretazioni di futuri possibili».
Oltre alla monumentale opera muraria, Jager ha progettato anche una serie di interventi multidisciplinari dal carattere decisamente più intimo e strategicamente collocati in zone più nascoste del complesso. La loro presenza, parzialmente celata e precisamente misurata, arricchisce lo spazio dotandolo di un’intrinseca atemporalità che conduce inevitabilmente il visitatore a riflettere sulle origini del degrado architettonico.
Originariamente artista grafico, la decisione di Jager di occuparsi di spazi pubblici deriva principalmente dal suo interesse verso il rapporto uomo-natura, agendo in prima persona nella creazione di un tipo di arte pensata per la collettività : «Una visione che vuole mettere in discussione gli attuali modelli economici e sociali ed esplorare futuri possibili in cui l’essere umano si spoglia della sua centralità . Tutti i miei lavori sono dei dispositivi aperti: riflessioni di carattere antropologico, riguardanti il rapporto tra uomo e ambiente e che vogliono lasciare lo spettatore libero di poter trovare la propria chiave interpretativa».
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