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La Street Art guarda il cinema italiano: la mostra di D*Face a Milano
Street Art
“Silver Screen Eye-Cons” è il titolo della nuova mostra della galleria Wunderkammern di Milano, realizzata dall’artista londinese D*Face. L’esposizione è curata da Giuseppe Pizzuto con testi critici del professor Silvano Manganaro, dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Diverse le opere esposte, fra cui alcune raffiguranti l’iconico D*Dog, personaggio ispirato al cartone animato dei Peanuts, nonché i famosi Digital Drawings, opere in cui l’artista combina disegno a matita e schermi digitali, gli HPM (Hand Painted Multiples), che uniscono la pittura a mano alla serigrafia, fino ad arrivare a un unico ed esclusivo omaggio al cinema italiano, realizzato grazie a interventi su poster di celebri e iconiche pellicole della nostra cinematografia. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con D*Face per conoscere tutti i retroscena di questa esposizione.
Come è nata l’idea di “Silver Screen Eye-Cons”?
«Ho iniziato a giocare con le locandine dei film classici nel 2020, quando eravamo tutti chiusi in casa. Mi considero abbastanza fortunato per aver potuto continuare a lavorare da casa in quel periodo, ma come molte altre persone, non potendo uscire e socializzare, mi sono ritrovato a guardare una tonnellata di film con i miei figli. Di tanto in tanto trovavamo qualcosa di nuovo che catturava la nostra attenzione, ma il più delle volte ci ritrovavamo a guardare i nostri film preferiti, visti già innumerevoli volte, di cui conoscevamo già tutti i colpi di scena e il finale. C’ è una sorta di confortevole loop in cui si rimane bloccati: si conosce ogni dettaglio di un film, non c’è più nulla da vedere o da scoprire, eppure c’è comunque qualcosa che continua ad affascinarci. Forse proprio perché il mondo reale che ci circonda è così imprevedibile e caotico, che c’è qualcosa di rassicurante nell’esistere temporaneamente in uno spazio fittizio di cui si conosce ogni centimetro. Guardando alcuni di questi vecchi film e raccogliendo le opinioni dei miei figli, mi sono reso conto che in molti di questi il tono, il linguaggio e il contenuto erano spesso politicamente scorretti. È questo che mi ha spinto a creare “Silver Screen Eye-Cons”: volevo provare a sconvolgere questa prevedibilità».
Cosa rappresentano per te i classici del cinema? Qual è il tuo rapporto con il cinema?
«Sono cresciuto negli anni ’80 che, se si guarda ai grandi blockbuster di quel secolo, sono stati un decennio fantastico. Blade Runner, E.T., Indiana Jones e naturalmente il mio preferito, Ritorno al futuro, solo per citarne alcuni. Onestamente mi dispiace per tutti coloro che non sono cresciuti e non hanno potuto guardarli da bambini, alcuni di questi film hanno letteralmente cambiato la mia vita e ovviamente, ai miei occhi, sono dei veri e propri cult. Naturalmente questa era l’epoca in cui si guardava all’America con occhi sognanti, i buoni vecchi Stati Uniti d’America non potevano fallire. Se andiamo però avanti di qualche decennio, ci rendiamo conto che gli anni ’80 sono stati caratterizzati, tra l’altro, da un consumismo spropositato e credo che rielaborare queste locandine cinematografiche, deturpandole totalmente metta a fuoco questa dicotomia».
Qual è, secondo te, lo scopo dell’arte nella società contemporanea?
«Questa è una grande domanda! A livello individuale penso che lo scopo dell’arte sia piuttosto incommensurabile, è qualsiasi cosa tu voglia che sia. Se ti porta gioia – fantastico! Se ti piace costruire una collezione da ammirare – fantastico! Se ti fa piangere – ok! In senso più ampio, penso che l’arte sia una grande fonte di ispirazione e che, sia che la si stia creando o semplicemente ammirando, come il cinema, possa essere una grande evasione. Addentrarsi in un’opera d’arte è un modo fantastico per distrarsi da altre preoccupazioni o preoccupazioni che potrebbero appesantirci. E credo che, visto l’attuale clima sociale e politico, sia più importante e rilevante che mai».
Sei senza dubbio uno dei più importanti esponenti dell’arte urbana sulla scena britannica e internazionale, come vedi il futuro dell’arte urbana? Cosa pensi sia cambiato in questi anni?
«È molto gentile da parte tua, sembra sempre un po’ strano sentirselo dire, ma ti ringrazio. Credo che “accettazione” sia la parola che meglio riassume il cambiamento della scena da quando ho iniziato. Ovviamente molte persone continuano ad accomunare Graffiti, Street Art e Urban Art, il che ovviamente non è corretto, ma dimostra che c’è un apprezzamento consolidato per l’arte che occupa lo spazio pubblico. In qualsiasi modo la si chiami, è diventata parte integrante della cultura popolare, il che significa anche che è diventata meno efficace e che l’impatto, ad esempio, dell’apposizione di un nuovo adesivo si è un po’ perso. È come ogni cosa che entra a far parte della cultura tradizionale: ci sono pro e contro. La cosa fondamentale è rimanere fedeli a ciò in cui si crede e mantenere la propria integrità.
Per quanto riguarda il futuro dell’arte urbana, ironicamente la vedo sempre più spostarsi verso il digitale che verso le strade stesse. Lo “spazio pubblico” ora riguarda tanto i social media quanto i luoghi fisici. Se l’obiettivo originario di lavorare nelle strade era quello di liberare l’arte dalle gallerie e portare l’arte visiva alle masse, è logico che ci sia uno spostamento verso i media digitali; questo non vuol dire che il “fisico” debba o voglia essere ignorato, per quanto mi riguarda non posso e non voglio mai smettere di attaccare adesivi, è una vera e propria abitudine nella mia quotidianità. Né smetterò mai di dipingere murales, l’urto puro e semplice di grandi quantità di vernice su un muro, l’impatto e la visibilità che ne derivano sono difficili da battere, l’interazione con il pubblico che ne deriva è fenomenale, ma lo spazio digitale offre anche molte opportunità di esplorazione creativa e io sono favorevole a questo.
Credo che l’arte urbana, se così vogliamo chiamarla, rappresenti ancora una voce e una tela bianca per chiunque, sia essa politicamente motivata o puramente espressiva, basta che ci sia una persona, letteralmente chiunque, che abbia il desiderio e la motivazione di essere ascoltata o vista. Il dominio pubblico, sia fisico che digitale, è privo di curatori, è uno spazio libero per chiunque, e questo comporta sia aspetti positivi che negativi».
La tua prima mostra risale al 2005: com’è stato portare le tue opere dalla strada a una mostra?
«Può essere una linea sottile da percorrere e sì, a volte non funziona, ma io sono sempre stato a favore dell’arte urbana dentro e fuori le mura delle gallerie. È difficile da realizzare e so che alcuni non sono d’accordo e va bene lo stesso. L’arte dovrebbe essere in grado di entusiasmare a prescindere dal luogo in cui si trova: questa è la cosa principale. Da bambino mi ispiravano soprattutto le grafiche degli skateboard e le copertine dei dischi, quindi non ho alcun problema a far sì che l’arte diventi un elemento principale dell’economia dell’arte.
Devo dire che non ho mai cercato di diventare uno “street artist” o un “urban artist”, questi termini sono arrivati molto più tardi, usavo solo la città come tela, la libertà di esprimermi, una liberazione dal mio lavoro dalle 9 alle 21. Non è mai stato esclusivamente per la strada, volevo dipingere tele, stampare magliette, disegnare skateboard, quindi decidere di organizzare la mia mostra all’interno di una galleria mi ha dato più opportunità di essere creativo e di spingere quello che stavo facendo, in sostanza è ancora lo stesso oggi. Cerco solo di mantenere l’interesse e l’eccitazione per me stesso, sperando che questo si traduca per il mio pubblico, sia nuovo che vecchio».
Quali sono i prossimi progetti a cui stai lavorando? Puoi dirci qualcosa?
«Pensavo che l’anno scorso fosse stato impegnativo, abbiamo fatto così tante mostre! Ma quest’anno sembra ancora più ricco di nuovi progetti. La maggior parte di essi è ancora top secret, ma si può sempre contare su altri murales e un paio di mostre in più, ho una mostra a Parigi quest’estate e una a Taipei più avanti nel corso dell’anno e un progetto enorme di cui non posso parlare, ma che sarà una pietra miliare sia per la mia carriera che per lo spazio pubblico».
Biografia di D*Face
D*Face, uno degli esponenti dell’arte urbana più importanti della scena britannica e internazionale, è nato e cresciuto a Londra, dove già dalla sua prima mostra che si è tenuta nel 2005 ha conseguito importanti successi di pubblico e di critica. Ha coltivato sin da adolescente il suo interesse per i graffiti, la musica hip hop, l’estetica punk e soprattutto la cultura skate anche grazie alle pagine della rivista americana Thrasher e alla grafica provocatoria di artisti come Jim Phillips e Vernon Courtlandt Johnson che lo hanno portato a seguire un percorso di graphic design e illustrazione.
La sua passione diventa presto una professione e comincia a lavorare come illustratore e designer freelance, al contempo inizia a realizzare le prime importanti opere negli spazi urbani con una varietà di tecniche e mezzi come vernice spray, adesivi, poster e stencil. I suoi lavori (in cui armonizza arte, design e graffiti) lo rendono uno dei precursori della street art così come la conosciamo oggi. I suoi murales si possono apprezzare in tutto il mondo: da Parigi a Madrid, da Brooklyn a Stoccolma, da Città del Messico a Taipei.
Lo stile pop sovversivo di D*Face e il suo iconico personaggio D*Dog sono diventati un elemento fondante dell’arte urbana. “aPOPcalittico” è come spesso l’artista ha descritto il proprio lavoro, fortemente ispirato al Pop Americano degli anni ’80. La sua visione è infatti ricca di ironia e di critica rispetto al mondo contemporaneo governato da materialismo e consumismo. Sono numerose le sue collaborazioni, tra le quali citiamo quelle con gli artisti Banksy e Shepard Fairey (Obey), e poi con la band Blink-182 e con il brand Triumph Motorcycles.