Categorie: Street Art

Avanguardie storiche al servizio della strada: i manifesti di Leonardo Crudi

di - 18 Novembre 2020

A chiunque passeggi per Roma sarà capitato di imbattersi in uno dei manifesti di Leonardo Crudi.

Classe 1988, Crudi ha scoperto da autodidatta, a soli 13 anni, il mondo dei graffiti. La prima formazione maturata on the road, su strada, gli ha insegnato a costruire immagini bidimensionali, figlie di abbinamenti cromatici unici. Nelle sue opere, echi di Suprematismo, Costruttivismo e Futurismo russo e il profumo degli ideali della Rivoluzione.

A partire dal 2012, Leonardo Crudi si è dedicato alla produzione delle prime opere su carta, ispirate, per gli elementi geometrici, al lettering dei graffiti, mentre, per la resa realistica, ai tagli del cinema neorealista italiano. I mezzi prediletti sono la penna a sfera e gli smalti, coniugando il tratto grafico verticale a campiture geometriche di colore uniforme.

The Underground: l’intervista a Leonardo Crudi

Passare dal writing all’affiche, significa ampliare il proprio pubblico sciogliendo l’intricato lettering del writing a un linguaggio universale. Come hai vissuto questo passaggio?

«Il passaggio è avvenuto in maniera molto fisiologica. I graffiti sono una conventicola, un mondo chiuso e molto personale con regole e dettami da seguire pedissequamente. Ho iniziato a cambiare linguaggio quando mi sono sentito artisticamente più maturo e volevo condividere con un pubblico più ampio la mia ricerca e la mia estetica. Non ho abbandonato del tutto i graffiti e forse non lo farò mai, ma è sicuramente cambiato il mio approccio a quella sottocultura».

Leonardo Crudi, Non essere cattivo, manifesto, 2015

Lenin affermava che “L’arte appartiene al popolo. Deve avere le sue radici più profonde nel folto delle masse lavoratrici, deve essere compresa da queste masse e amata da loro. Dovrebbe esprimere i sentimenti, i pensieri e la volontà di queste masse, allevarli. Dovrebbe risvegliare gli artisti in loro e svilupparli”. Quanto è importante il concetto di arte pubblica e arte sociale nel 2020? La Rivoluzione d’ottobre ha influenzato il tuo modo di fare arte?

«Posso dire con certezza che è un atto politico anche il decidere di non fare politica, quindi non credo ci sia una dialettica più o meno importante nel campo artistico. Posso però affermare che c’è una dicotomia tra arte necessaria e non, quella con un approccio diciamo più “borghese”, dedita all’intrattenimento del pubblico e all’arredamento degli appartamenti; essendo anche godibile dal punto di vista estetico ha poco impatto sociale e politico.

Invece, l’arte che io penso sia necessaria è quella che ha il coraggio di offrire una lettura diversa della società in cui vive il pubblico e l’artista stesso. Ci sono molti modi in cui la storia ha mostrato questo modus operandi, io ho preso come punto di riferimento quello delle avanguardie russe. Gli artisti in Russia della prima metà del novecento hanno abbracciato la rivoluzione e, invece di esserne solamente i cantori ed avere un approccio didascalico, hanno scelto di mostrare al popolo che non era solo la gestione della cosa pubblica a cambiare, ma anche il modo di concepire la cultura. Il cinema non doveva più essere teatro girato in pellicola, la pittura non doveva più riflettere la realtà, ecc… Il futurismo russo ha un ruolo cardine nel cambiamento dell’immaginario contemporaneo, anche essendo, ahimè, durato molto poco».

Leonardo Crudi, Vladimir Ill’ic Lenin (manifesto), 2017, smalti e penna a sfera su carta da modello, 150 x 100 cm

Le dodici Bandiere realizzate appositamente per la mostra “Sala 1” a Roma celebrano il centenario dalla fondazione del Bauhaus a Wiemar nel 1919, con i ritratti di artisti a essa legati. Nel Manifesto e programma del Bauhaus Wiemar, Walter Gropius ricorda la scuola come “Una comunità di lavoro di abili artisti-artigiani che lavoreranno in perfetta unità di intenti e comunanza di concezione artistica”. Ritieni che un artista debba essere anche sempre padrone delle tecniche nella realizzazione di un’opera d’arte?

«Non mi sento di fare l’esegesi di un lavoro artistico in base a quanto lavoro diretto ci sia da parte dell’artista. Penso che se il risultato è ottimo, non m’interessa il processo creativo. Sicuramente può essere un valore aggiunto, ma non l’unico elemento di giudizio.
Ci sono opere che hanno bisogno di supporto tecnico ai fini della realizzazione, diciamo che la differenza sta tra chi si può permettere di appaltare tali lavori e chi no. Sergej Ėjzenštejn è stato uno dei principali teorici del montaggio, rifiutando il cinema di narrazione tradizionale».


Leonardo Crudi, JOHANNES ITTEN, 2018, Smalti, penna e matita su stoffa, 80 x 100 cm
Leonardo Crudi, LÁSZLÓ MOHOLY-NAGY, 2018, Smalti penna e matita su stoffa, 240 x 130 cm
Leonardo Crudi. VASILIJ VASIL’EVI KANDINSKIJ, 2018, Smalti, penna e matita su stoffa, 80 x 100 cm

In quale maniera il cinema d’avanguardia russo e lo stesso Ėjzenštejn hanno influenzato le tue opere?

«Il pensiero di Ejzenštejn è dispotico: esso toglie l’aria, elimina quella inespressa inafferrabilità che costituisce la caratteristica più affascinante dell’arte come tale. Cosi Tarkovskij parlava di Ejzenštejn. Quello che ha colpito me, da pittore, è la forza con cui Ejzenštejn costruiva le immagini: la sovrapposizione dei volti e dei corpi, il montaggio delle attrazioni, l’emotività e il portare ad un livello superiore il discorso dell’effetto Kuleshov, suo maestro ai tempi della scuola di cinema che ha frequentato insieme a Pudovkin.

Infine, condivido anche l’aspetto etico-politico del cinema di Ejzenštejn, e chiudo con un’altra citazione molto famosa del regista per riassumerne il pensiero: “date loro la possibilità di istruirsi e la fertilità cerebrale delle masse sarà come un nuovo, ricchissimo humus.”».

Leonardo Crudi, Sogni e Bisogni, manifesto, 2017

Hai realizzato una serie di poster per il progetto “Cinema”, dedicato ai film d’avanguardia italiani. Perché hai deciso di realizzare le locandine di questi film? Come pensi sia percepito dal grande pubblico il cinema d’avanguardia italiano?

«Ho iniziato a disegnare i manifesti sul cinema d’avanguardia italiano all’inizio del 2018, con l’intento di dare un’immagine a tutto quel cinema, denominato “underground”, che un’immagine non aveva, per diversi motivi legati alla distribuzione e alle volontà degli stessi registi. Questo lavoro aveva un intento anche divulgativo, infatti nei manifesti davo ogni tipo d’informazione per poter reperire quei film dimenticati oppure sconosciuti al grande pubblico.

La ricerca è iniziata da quei registi che hanno lavorato nell’underground, per poi girare dei cult conosciuti da tutti come, ad esempio, Claudio Caligari o Nico d’Alessandria, che possono essere catalogati come post-pasoliniani, dando una vita diversa al neorealismo italiano con film come “Amore tossico” e“L’imperatore di Roma”, per poi inoltrarmi nella sperimentazione cinematografica più pura, come i film di Alberto Grifi, Alfredo Leonardi, Bacigalupo, Bargellini e Romano Scavolini.

Il pubblico, soprattutto quello cinefilo, ha apprezzato molto la mia ricerca e l’atto spontaneo di affiggerli in strada alla portata di tutti».

Quali sono i nuovi progetti per il futuro?

«Sopravvivere e continuare il mio lavoro sulla poesia contemporanea italiana, ubriacandomi di televisione generalista e whisky torbato».

Nell’ultimo biennio, Crudi ha esposto in gallerie, fondazioni e musei romani, quali Macro Testaccio (2018), Sala 1. Centro internazionale di arte contemporanea (2018), Contemporary cluster (2018), Galleria Fidia (2018), Fondazione Marco Besso (2019) e Macro Asilo (2019). Attualmente, oltre a realizzare manifesti per il progetto Cinema, Crudi sta lavorando al suo film I Gatti d’Orson Welles.

«L’arte non è uno specchio cui riflettere il mondo, ma un martello con cui scolpirlo», Majakovskij Vladimir Vladimirovic (1893-1930).

Leonardo Crudi,I gatti di Orson Wells, primo manifesto, 2019

Per le altre puntate di The Undergroud, la nostra guida all’esplorazione dell’arte diffusa al di là dei circuiti convenzionali, per scelta o per caso, potete cliccare qui.

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