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Viaggio al centro della scena street e sperimentale di Monaco di Baviera
Street Art
Aperto nel 2016 in una ex stazione suburbana ormai in disuso a poche centinaia di metri dalla Marienplatz, la celebre piazza del Municipio e cuore della città, il Museum of Urban and Contemporary Art (MUCA) celebra un genere artistico che sino a pochi anni fa era poco conosciuto ma soprattutto poco compreso, associato al vandalismo e all’illegalità. Due le mostre attualmente in corso. La prima, 25 Years – Jubilee Exhibition (fino al 10 settembre) celebra appunto I 25 anni della collezione dei fondatori dalla quale è appunto nato il Museo, e ne ripercorre la storia attraverso una selezione di opere di artisti quali Keith Haring, Banksy, Katz, Micallef, Harrington, Auerbach, Kaws, McGee, JR. Meno ovvia, ma importante, la presenza di Andy Warhol, insospettato ispiratore di Banksy; la mostra, infatti, intende presentare gli artisti della street art attraverso la loro evoluzione stilistica e concettuale.
Ad esempio, McGee si è cimentato con i motivi dell’arte cinetica e del geometrismo avanguardista russo, mentre Auerbach ha sviluppato un espressionismo astratto fortemente materico nel rappresentare la figura umana. Appunto a quest’ultima è dedicata una delle sezioni più ampie e interessanti della mostra, per spiegare che la street art è anche indagine della condizione contemporanea, e che gli artisti del settore hanno conosciuto fasi e percorsi variegati. Di particolare interesse documentario la sezione con i poster di propaganda socialista e quelli degli attivisti del maggio francese di Atelier Populaire; in fondo, la street art è nata come forma di immediata comunicazione politica e sociale di massa, dalla quale Shepard Fairey ha tratta molta ispirazione per i suoi neo-manifesti.
La mostra, quindi, non è tanto celebrativa, quanto di approfondimento e studio su un genere artistico che in Germania comincia a ottenere i primi riconoscimenti di ampio respiro grazie a istituzioni come il MUCA. Adiacente all’edificio del Museo, si trova un bunker risalente alla Seconda guerra mondiale; costruito nel 1942, pur avendo mura spesse tre metri, è sorprendentemente costruito fuori terra e si eleva per tre piani; cosa abbastanza comune nella Monaco dell’epoca, perché il regime nazista voleva dare prova di una certa “spavalderia”, concependo i rifugi antiaerei nella forma di normali edifici residenziali (dall’estero questa è infatti l’impressione), a scopo di chiara propaganda. All’interno, la freddezza degli ambienti riporta ai tragici giorni dei bombardamenti, ma oggi, per fortuna, l’atmosfera è completamente diversa, permeata della bellezza dell’arte. Al momento, e fino al 10 settembre 2023, è aperta City Lights, la personale di Max Zorn, che realizza opere d’arte con normale scotch adesivo, che applica sul plexiglass e che poi intaglia con perizia certosina per creare la scena desiderata.
Le opere in mostra si riferiscono ai ruggenti anni Venti, con le accattivanti e avvolgenti atmosfere dei locali da ballo, delle luci di New York, Chicago o New Orleans; costanti richiami alla Lost Generation di Francis Scott Fitzgerald e Djuna Barnes emergono dalle atmosfere pensose e dolciamare, dagli sguardi celati, dall’algida bellezza di solitarie femmes fatales; intimità e anonimato nella grande città, storie sospese di solitudini, di destini brevemente incrociatisi, di cui soni metafora gli effetti di luce (ottenuti sovrapponendo più strati di scotch). Opere all’apparenza semplici, in realtà profonde nell’approccio psicologico che sviluppano e dense di richiami alla storia dell’arte, da Edward Hopper a Tamara de Lempicka.
Per coronare la visita al MUCA, consigliata anche una sosta al Mural, il piccolo, accogliente e raffinato ristorante del Museo (stellato Michelin) che, privilegiando prodotti locali, propone cucina tedesca rivisitata in chiave contemporanea. Guidato da un team di giovani professionisti, elegante ma non eccessivamente formale, offre esperienze culinarie degne dell’ambiente.
Ma l’attività del MUCA non si ferma qui: al civico 90 di Dachauer Strasse, in un’ex struttura sanitaria sorge oggi KUNSTLABOR 2, “ramo sperimentale” del Museum of Urban and Contemporary Art di Monaco di Baviera, progetto nato nel 2021 con la partecipazione a un bando cittadino per la gestione a 5 anni della struttura ormai inutilizzata. Il progetto presentato da Stephanie Utz (cofondatrice e direttrice del MUCA) e dai suoi collaboratori, fra cui il Marketing Manager Boris Schmidt, è risultato vincente, e adesso KUNSTLABOR 2 è una delle realtà più dinamiche e interessanti della scena contemporanea monacense. Inclusivo e aperto ad artisti e creativi di tutto il mondo, di tutte le culture e di tutte le idee, racchiude al suo interno una molteplicità di attività sociali e culturali; gli artisti in residenza hanno a disposizione uno studio dove poter lavorare in tranquillità, ricevendo anche assistenza tecnica e tutto il necessario a livello di materiali.
Il risultato è un contenitore di urban art, un melting pot artistico di forte impatto, dove artisti da tutto il mondo portano il loro contributo in fatto di pratiche, esperienze, punti di vista, idee, linguaggi; ma soprattutto, in fatto di grandi temi dell’attualità, le crisi che stiamo affrontando, il ruolo dell’individuo in questo mondo così conflittuale. Gli artisti creano opere site specific utilizzando quasi completamente materiali e oggetti già presenti all’interno del KUNSTLABOR 2, appartenenti al suo recente passato; a ognuno viene assegnata una stanza, un tempo occupata dagli studi medici e che ancora oggi ne conserva in parte l’atmosfera.
Tante le riflessioni di spessore, su temi di recente o strettissima attualità, attraverso una pluralità di linguaggi. Ma soprattutto, emergono le personalità di tante giovani artiste dalla potente poetica espressiva e concettuale, nelle cui opere è forte la questione di genere; fra queste, Veronika Grenzebach, con le sue neo amazzoni danno voce a una femminilità combattiva, nello specifico al K2 l’artista rende omaggio alle tante donne che, nel settore sanitario, hanno lottato per sconfiggere la pandemia da covid-19, che spesso però non ottengono il doveroso riconoscimento e rispetto.
Natasha von Braun, in The Space of Love, decostruisce la figura umana per una riflessione fra ironico e docleamaro, sul conflitto sentimentale, sulla lotta per raggiungere l’altro/a, sulla volatilità della mente che si trasmette al corpo, in quello stato semi-incosciente che è l’innamoramento. Ma dove spesso rimane anche un certo lato oscuro. E ancora, le figure più delicate delle commistioni femminili e zoomorfe di Hera, sospese in una fiabesca atmosfera di simbolismo e malinconia; nel murale pensato per K2, l’artista sembra invitare l’osservatore a chiudersi in se stesso e sfuggire ai cattivi ricordi che possono segnare un’esistenza, soprattutto quella delle donne, spesso fra i soggetti più fragili della società, segnate da sessismo, maschilismo, eccetera.
Al di là della questione di genere, al K2 ci si interroga anche su questioni e stati d’animo di stretta attualità: Octavi Serra, tappezzando la stanza di caotiche indicazioni dell’uscita di emergenza, ben interpreta la sensazione di smarrimento, oppressione e claustrofobia che caratterizza la nostra tormentata epoca, e fa tornare alla mente il finale di American Psycho, romanzo cult di Bret Easton Ellis: “questa non è l’uscita”. Gli fa eco Isaac Cordal con la sua scultura installativa di atmosfera kafkiana, dove gli uffici-gabbie sono appunto altrettante prigioni che ospitano tante esistenze consumate nel grigiore quotidiano.
Edlinger chiosa in un certo senso questa riflessione, traslando nella tridimensionalità la precarietà e la xx della società contemporanea: The Leaning Tower of Pizza, un’ironica replica della celebre torre di Pisa, realizzata con i comuni cartoni da pizza: il consumismo, la crisi climatica, l’emergenza rifiuti, tutto è sintetizzato nella precarietà della struttura, sul punto di crollare. Non manca una riflessione sulla difficile condizione dei rifugiati: L.E.T., in The tent, utilizza una tenda dell’UNHCR (avuta per vie traverse dal Pakistan) per comunicare al pubblico le medesime sensazioni provate durante un suo reportage (in incognito) nel campo profughi di Lesbo. Quei campi dove si infrangono le speranze di tanti esseri umani, sotto gli sguardi ipocriti delle democrazie occidentali.
Oltre a ospitare artisti da tutto il mondo, KUNSTLABOR 2 dialoga profondamente con la città organizzando momenti di visita per le scuole e le famiglie, e a una pluralità di eventi quali concerti, conferenze, incontri con gli artisti, laboratori creativi, e persino corsi di lingua per immigrati. Infatti, la prima funzione di un’istituzione culturale è quella di garantire l’inclusività e offrire accoglienza. La cultura, infatti, prima ancora che un accumulo di nozioni, è una pratica di vita che prevede apertura mentale e capacità di dialogo, solidarietà umana e utilizzo della conoscenza per creare altra conoscenza. Anche se il progetto è a termine, cinque anni che scadranno nel 2024, l’auspicio è che l’amministrazione monacense, che comunque ha sempre dimostrata sensibilità in fatto di sviluppo culturale, prolunghi o renda definitivo il progetto di KUSNTLABOR 2.