Categorie: Street Art

Roma70art: parlano Jerico e le attiviste di Nessun Dorma

di - 29 Dicembre 2020

Roma70art è il progetto vincitore del bando Ri-Party promosso dal Municipio VIII, che ha permesso la realizzazione di tre grandi opere d’arte urbana sui muri di Roma70. L’iniziativa è stata ideata e attuata dall’associazione Nessun Dorma, linfa vitale del quartiere, che da ormai dieci anni organizza eventi volti a promuovere l’arte, la cultura e la musica sul territorio. I murales, dipinti tra il 21 novembre e il 15 dicembre, sono firmati da Gaia Flamigni e Virginia Volpe, Stefano Setter e Samuele Stazi.

Raccontiamo il progetto da due punti di vista, quello di Ilaria Musci e Beatrice Tabacco, rappresentanti dell’associazione, e quello dell’artista Jerico Cabrera, che ha collaborato con le sue colleghe e i suoi colleghi nelle vesti inedite di direttore artistico. Ilaria e Beatrice descrivono l’esperienza con gli occhi lucidi, raccontando attraverso le reazioni positive degli abitanti del quartiere il valore aggregante e relazionale della street art. Jerico parla degli artisti con affetto e stima e risponde alle domande liberamente, scegliendo con cura le parole. Le più ricorrenti sono: condivisione, interpretazioni, legami, comunità, divertimento.

Gaia e Virginia, Le maglie della catena, particolare, foto di Andrea Pau

Roma70art: le parole di Ilaria Musci, Beatrice Tabacco e Jerico Cabrera

Raccontateci il progetto Roma70art.

Beatrice Tabacco «Roma70art si è realizzato grazie ai fondi pubblici di un bando promosso dal Municipio VIII, che ha dimostrato la sensibilità di alcune istituzioni nel sostenere le iniziative culturali in un momento in cui, purtroppo, la cultura viene messa da parte. Il progetto è stato la risposta a una nostra grande esigenza, quella di raccontare il nostro quartiere, troppo spesso definito “quartiere dormitorio”, in un modo che fosse davvero accessibile a tutti».

La collaborazione tra Nessun Dorma e Jerico è ormai storica: ricordiamo le opere al Centro giovanile Tetris e il grande volto femminile sul muro di via Tazio Nuvolari, coperto da una delle tre nuove immagini. Questa volta, Jerico ha consegnato pennelli e vernici ad alcuni artisti e artiste non ancora celebri nel panorama della street art. Come avete vissuto questa nuova esperienza?

Ilaria Musci «Abbiamo deciso di collaborare con Jerico in virtù del suo legame con il quartiere: la sua carriera è iniziata proprio qui sette anni fa, quando ha dipinto “O principessa”. Ci ha fatto molto piacere che abbia coinvolto delle artiste e degli artisti poco conosciuti ma davvero validi. Il nostro rapporto è stato fantastico sin dall’inizio, loro sono stati molto disponibili nel cogliere lo spirito del quartiere e le proposte che ci hanno mostrato ci sono piaciute subito. Non poteva andare meglio di così».

Jerico «Nel 2013 io ero alle prime armi e tutti noi sapevamo ancora poco del muralismo. A distanza di sette anni il rosso dei capelli della Principessa era sparito, ma io non volevo ritoccarlo. Ho come dimenticato quel soggetto, ora ho altre volontà d’immagine, di gestualità. Ho preferito scegliere dei ragazzi vicini a me che non facessero parte della scena più conosciuta della street: volevo un’immagine diversa, dei colori nuovi. Il ruolo di direttore artistico mi ha insegnato ad avere una visione più ampia della qualità delle immagini e del rapporto con lo spazio. Inoltre, per quanto ci fosse già una certa confidenza tra me e gli artisti, è stato costruttivo confrontarsi sui metodi di lavoro e sui vari aspetti della realizzazione delle opere, approfondendo le diversità di ciascuno».

Jerico, O Principessa e Samuele, La bagnante, con artisti, foto di Andrea Pau

Jerico, gli artisti con cui hai collaborato sono tuoi amici, alcuni sin dagli anni della tua formazione al Liceo artistico di Tor Marancia. Si esprimono ognuno con il proprio personalissimo stile, nel caso di Gaia, Virginia e Samuele decisamente pittorico, nel caso di Setter più grafico. Li accomuna un linguaggio figurativo con elementi al limite dell’astrazione e aspetti d’influenza Espressionista e vagamente Surrealista. Come li hai selezionati e cosa apprezzi del loro stile?

«Sì, siamo amici con gli stessi interessi. Nessun Dorma mi ha lasciato carta bianca e io ho scelto gli artisti con fiducia. Gaia e Virginia giocano sull’espressione dei colori opposti e sull’accostamento tra pieno e vuoto. Hanno sempre desiderato lavorare insieme, sapevo che si sarebbero divertite e, se nel fare arte c’è divertimento, c’è più libertà. Con Samuele ho sempre dibattuto sulla nostra poetica, siamo sempre stati molto vicini. Ultimamente sta affrontando il muro con una pittura più delicata rispetto a quella delle vecchie tele, sembra voglia prendersi il suo tempo per tirare fuori la bellezza dalle sue figure femminili. Setter ha uno stile più illustrativo e un linguaggio essenziale, in cui i soggetti emergono chiaramente dagli spazi profondi con i loro colori netti. Non c’è mai troppo, ci sono gli elementi giusti per leggere tutto»

Samuele, La bagnante, particolare, foto di Andrea Pau

Parliamo dei soggetti delle tre opere: “Le maglie della catena” di Gaia e Virginia, “La Bagnante” di Samuele, “Vecchio e nuovo” di Setter. Come sono state scelte queste tre tematiche, qual è il loro legame con il quartiere e come sono state reinterpretate dagli artisti?

IM «Le tematiche delle opere sono state proposte da Nessun Dorma. Il murale di Gaia e Virginia ritrae la famosa scena in cui, durante il Tour de France del ’52, Gino Bartali e Fausto Coppi si scambiarono la borraccia in segno di solidarietà sportiva. I personaggi richiamano la toponomastica del quartiere, visto che tutte le vie di Roma70 sono intitolate ad atleti e sportivi, e riporta una scritta di benvenuto che recita “Enjoy Roma70”. “La bagnante” di Samuele è una reinterpretazione di “O Principessa” di Jerico ispirata all’aria della Turandot, dalla quale Nessun Dorma prende il nome. Samuele, che è molto sensibile alle tematiche legate alla natura e agli effetti di luce, ha realizzato una figura femminile che si abbandona al contatto con l’acqua e con le foglie. Il murale di Setter ricorda l’invadente intervento di cementificazione realizzato nel quartiere, che ha coperto i resti archeologici di una villa romana.  L’intento era quello di far riemergere la realtà sotterranea del territorio, troppo spesso dimenticata o cancellata».

Samuele, La bagnante, foto di Andrea Pau

Nessun Dorma si è occupata di sostenere interventi di street art già nel 2013, con il murale di Tellas sulla facciata della scuola media Dalla Chiesa e quello realizzato all’esterno del mercato di Roma70, oltre alle opere di Jerico. Perché è importante promuovere la street art in un quartiere come Roma70?

BT «Promuovere la street art è importante in tutti i quartieri periferici di Roma. Nelle periferie, grandi comunità si sono formate lontano dal centro storico della città e hanno costruito una propria identità. Questi quartieri sono diventati il cuore narrante di Roma, per questo è importante trovare un modo per raccontarli. Pensiamo che una forma d’arte figlia dei nostri tempi come la street art possa aiutare le comunità ad esprimersi in modo diretto, perché è la più esplicita, la più prepotente. Le opere ti si parano davanti mentre guidi o cammini distratto, ti aiutano a guardare i luoghi che attraversi e a conoscere le comunità che li vivono, alcune ti folgorano. La periferia parla attraverso i suoi murales».

L’obiettivo della riqualificazione urbana compete solo in parte all’espressione artistica, che può essere un primo importante passo verso un cambiamento sociale. In che senso la street art rappresenta uno strumento di relazione e coesione e un motore di cittadinanza attiva?

IM «Basti vedere quello che è successo al nostro quartiere in questi giorni, la risposta degli abitanti al progetto è stata veramente positiva. Decine e decine di persone sono venute ad assistere alla realizzazione delle opere e a supportarci: si fermavano a chiacchierare con noi, scattavano foto da condividere sui social, si confrontavano, si scambiavano opinioni. È raro che questo accada in un quartiere i cui non ci sono piazze né punti di aggregazione. Questo progetto ha rappresentato un momento di vicinanza tra le persone, uno strumento di relazione e di unione per le comunità. Siamo sicure che dopo Roma70art il quartiere sarà molto più coeso e pronto a nuove sfide, a nuove forme d’arte e di socializzazione».

BT «Racconto qualche aneddoto che rende bene l’idea. Una signora ci ha detto: “Menomale che state facendo i murales, così superiamo Tor Marancia”. Gli abitanti vogliono sentirsi orgogliosi del proprio quartiere e percepire la comunità unita, soprattutto in questo periodo difficile. Un’altra signora ci ha scritto: “Sono in quarantena ma la mia camera affaccia sul muro di viale Erminio Spalla, grazie perché non mi sento sola”. Una bimba ci ha portato delle caramelle e io le raccontato la scena tra Coppi e Bartali. Il nonno, che aveva vissuto in diretta quel Tour de France, è stato felicissimo di condividere con la nipotina un suo ricordo di vita e di trasmetterle le emozioni che aveva provato di fronte a quel gesto».

JC «La riqualificazione è un obiettivo importante per noi artisti che viviamo direttamente il contesto urbano. Abbiamo la possibilità di condividere un bene prezioso come l’arte in uno spazio comune, creando un ponte tra le comunità. Lavorare per strada è un piacere, noi ci divertiamo un sacco. È la creazione di un momento di crescita collettivo, sebbene non comporti dei cambiamenti tangibili nell’immediato. Non c’è niente di materiale, è tutto ideale: le opere di street sono gesti liberatori per chi le realizza e nuove visioni per chi le guarda. Dalle immagini può nascere un dialogo che coinvolge tutti, anche coloro che hanno la possibilità concreta di mettere in atto il bene comune».

Stefano Setter, Vecchio e nuovo, foto di Andrea Pau

La realizzazione di Roma70art introduce alcuni temi fondamentali per la comprensione dell’arte urbana. I murales di Gaia e Virginia e di Setter mostrano in modo particolarmente evidente come gli interventi di street art vivano del dialogo con il contesto urbano, di cui fanno parte non solo i nomi e la storia dei luoghi, ma anche le storie e l’immaginario dei cittadini. Sono opere di arte pubblica, democratica e relazionale per eccellenza. Nella loro progettazione, soprattutto se regolarmente commissionata come in questo caso, quanto è importante conoscere e tenere conto del fattore “ambientale” e in che modo si riesce a conciliare questo aspetto con le volontà espressive dell’artista?

JC «Anche le opere che non hanno alcun legame con il quartiere possono creare nuovi racconti, ma è fondamentale che l’artista si senta rispecchiato in qualche modo dal contesto e che abbia cura della storia del luogo. Spesso interpretare il contesto viene automatico, è una specie di coinvolgimento naturale. Nel caso di Roma70art, il mio compito è stato proprio quello di avvicinare gli artisti al quartiere, lasciando loro la possibilità di esprimere in modo personale le tematiche proposte da Nessun Dorma. Samuele era interessato all’indagine sulla figura femminile immersa in uno spazio naturale, tra elementi acquatici e vegetali; per Gaia e Virginia il punto era lo studio formale del rapporto dinamico tra le figure e il paesaggio che le circonda; Setter ha interpretato il suo tema in modo semplice, collegando colonne e capitelli in rovina con un “filo” colorato che rappresenta l’emozione, il moto o l’energia».

Stefano Setter, Vecchio e nuovo, particolare, foto di Andrea Pau

Jerico, la grande Bagnante di Samuele ha preso il posto della tua opera. Hai cancellato tu stesso la tua Principessa con una leggera mano di vernice bianca, che ha lasciato che l’ombra del grande volto femminile rimanesse visibile, mentre il corpo della donna di Samuele si colorava di scuro. Allo stesso modo, tu sei rimasto al fianco del tuo collega per tutto il tempo. Nella street art esiste questa sorta di generosità, di anti-individualismo, di comunione di vedute, nonché una rivendicazione dell’inesorabile impermanenza delle opere legata alla mutevolezza della vita urbana. Questo è in evidente contraddizione con l’idea della conservazione, spesso richiesta dalla comunità che si affeziona alle immagini. Come vivi il carattere effimero delle opere e come pensi possa risolversi il conflitto tra questo aspetto e la loro conservazione?

«Sono stato abituato dai graffiti che niente rimane e tutto è sempre circolare, ho imparato che c’è una quantità di persone che vuole esprimersi e bisogna lasciare spazio agli altri. Di solito il tempo che avanza si combatte conservando le opere d’arte sotto vetro, per strada questo non esiste. Le cose vanno e vengono, il muro è grande, è forte, sul muro te ne freghi dell’approccio delicato e non hai la volontà dell’eterno. È strano che per le opere di street ci sia sempre un countdown di morte e che si abbia meno paura di affrontarlo perché l’opera rimane lì, non è più tua. È bello, è una cosa che tranquillizza l’anima. Negli ultimi anni la durevolezza dei lavori è migliorata per la qualità dei materiali e sempre più richiesta quando si usano i fondi pubblici, ma le leggi della natura e della strada rendono le opere temporanee e in continuo cambiamento. Si dovrebbero ridipingere i muri ciclicamente, allo scopo di creare sempre nuovi legami, nuove possibilità di conoscere altre cose. La conservazione della street art non è materiale, ma è la conservazione di questi legami».

Gaia e Virginia, Le maglie della catena, particolare, foto di Andrea Pau

Originariamente abusiva e sovversiva, la street art vede ormai da anni la sua inclusione nel sistema artistico ufficiale, che la coinvolge in numerosi progetti di committenza, visite guidate ed esposizioni. Questa particolare rilevanza negli ultimissimi tempi sta subendo una forte accelerazione. Quali effetti pensi possa avere questo fenomeno?

JC «Sono quasi dieci anni che vedo questo processo in atto. La street art, inizialmente associata ai graffiti realizzati illegalmente, è addirittura arrivata a creare dei fenomeni satellite come le visite guidate, non solo grazie all’ufficializzazione del muralismo, ma anche grazie all’ampiezza delle possibilità che offre. È necessario che le opere rimangano dei beni condivisibili da tutti e che questo concetto sia chiaro a chi vorrebbe sfruttarle per fini di lucro a scapito della collettività. Se vent’anni fa il bisogno primario era quello di creare il pezzo illegale per essere contro il sistema, anti-qualcosa, oggi per la maggior parte di noi artisti questo non esiste più: ci siamo avvicinati al popolo e alle istituzioni e abbiamo trasformato quel gioco in un’opera pubblica. Per me è importante condividere questa passione con persone alle quali l’arte interessa veramente. La street art è libertà, altre possibilità, nuovi fronti di relazione, far parte di qualcosa».

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Tag: Beatrice Tabacco Gaia Flamigni Ilaria Musci interviste jerico Nessun Dorma roma Roma70art Samuele Stazi Stefano Setter Virginia Volpe

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