Due persone sono state arrestate a Parigi, la mattina di martedì, 4 febbraio, in merito al furto dell’opera di Banksy, avvenuto nella notte tra il 31 agosto e il 1 settembre 2019 nella capitale francese. Ricordate la dinamica? Sembrava un film e, conoscendo il personaggio in questione, non si può mai essere certi della differenza tra cronaca e finzione.
I ladri infatti erano attrezzati di tutto punto per il furto e riuscirono agilmente a staccare l’opera di Banksy dalla sua sede, che pure si trovava in alto, su un cartellone pubblicitario, e in una zona centrale di Parigi, nei pressi del Centre Pompidou. Di certo non furono silenziosi, avendo usato trapani e un camion con una pensilina mobile, tanto che un vicino infastidito dai rumori notturni riprese tutta la scena con il suo cellulare, lamentandosi di non riuscire a dormire. Il video amatoriale fu poi trasmesso da varie emittenti televisive. Tutto molto scenografico. Sicuramente ben organizzato, il furto, considerando i mezzi a disposizione.
Ma a quanto pare non si trattava di una performance. La polizia ha svolto le sue indagini e ha arrestato due sospetti, tra i 32 e i 35 anni, domiciliati a Seine-et-Marne e a Val-d’Oise, peraltro già noti per crimini minori. Gli investigatori della polizia giudiziaria di Parigi hanno effettuato le loro perquisizioni nelle case dei due fermati e, secondo quanto riportato da Francetvinfo, sono stati trovati anche altri lavori simili a quelli di Banksy ma che devono ancora essere autenticati. D’altra parte, l’opera trafugata a settembre non è stata ritrovata.
Si trattava dello stencil di un topo dall’aspetto molto poco rassicurante, mascherato e armato di matita, che oltretutto era anche protetta da un pannello di plexiglas. Il topo fu rivendicato dallo stesso artista il 25 giugno 2018, con tanto di didascalia commemorativa in perfetto stile Banksy: «Cinquant’anni dalla rivolta di Parigi del 1968. La culla dell’arte dello stencil». Per il momento, l’indagine continua e si concentrerà in particolare sul determinare se gli indagati sono i responsabili dei furti o falsari di opere d’arte.
Che poi, quanto valgono le opere di Banksy? Moltissimo. Per esempio, oltre 12milioni di dollari per il Devolved Parliament da record venduto a ottobre da Sotheby’s Londra. Insomma, nelle strade delle nostre città ci sono delle enormi casse del tesoro che dovrebbero far gola a diversi pirati metropolitani. E in effetti le opere pubbliche di Banksy sono protette e costantemente monitorate. Ma qual è il loro valore storico, anzi storicizzato?
Nel mondo continuano a impazzare le mostre temporanee dedicate allo street artist anonimo e nel 2020 se ne terranno ben due in Italia. Una al Chiostro del Bramante, a Roma, in apertura il 21 marzo, ideata da Madeinart e in collaborazione con 24Ore Cultura, seconda tappa di quella – piuttosto turbolenta, tra tribunali e furti – al MUDEC di Milano. L’altra a Palazzo dei Diamanti di Ferrara, in apertura il 1 maggio, primo passo della nuova gestione di Ferrara Arte a firma di Vittorio Sgarbi e salutata dal forzista Matteo Fornasini, assessore alla cultura e al turismo di Ferrara, come «un evento culturale in più per rendere maggiormente attrattiva e promuovere Ferrara al meglio». Un illuminato, non c’è che dire. La prossima sarà: «Sapete così l’arte? Bene, è un po’ come il petrolio».
Ma i musei, nelle collezioni permanenti d’arte contemporanea, preferiscono continuare a puntare su altri nomi, quelli che vediamo nelle gallerie private, a documenta, a Frieze, alla Biennale di Venezia – invitati ufficialmente nei padiglioni, non sulle bancarelle. Anche i musei che possono permettersi di presentare artisti più sperimentali, considerati all’avanguardia e difficilmente riconoscibili, non scelgono Banksy, che pure è senza dubbio un artista che ha assunto posizioni radicali nella sua ricerca. Insomma, una sua opera è un hotel distopico sulla Striscia di Gaza.
E invece no. Secondo Francesco Bonami, Banksy non è stilisticamente innovativo. Il critico d’arte, intervenendo in un articolo sul New York Times, ha dichiarato che «I grandi artisti, credo, inventano una lingua e una grammatica. Banksy no», aggiungendo che il suo stile di stencil fu sviluppato dal graffitista francese Blek le Rat – cioè Xavier Prou – già negli anni ’80 ed era in circolazione da molto tempo. «Quello che fa Banksy è più simile a una campagna pubblicitaria che all’arte», ha aggiunto Bonami.
E allora, come mai si vende nelle aste da Sotheby’s per milioni di euro? Perché, sostiene Bonami, invece che nelle singole immagini, la cui qualità è trascurabile, gli ammiratori di Banksy riconoscono il valore artistico nel suo ruolo di attivista impegnato a denunciare certe storture della politica e della società, oltre che del sistema dell’arte stesso. Insomma, non è l’opera in sé ma l’autore, la sua “presenza” eccezionale – al di là dei tradizionali sistemi relazionali di valorizzazione codificati dall’economia dell’arte – a determinare l’aura.
E cosa succederà quando l’artista, tra moltissimi e moltissimi anni, non ci sarà più (scusa Banksy ma il ragionamento doveva pur trovare una conclusione)? Siamo solo degli storici dell’arte/giornalisti e non possiamo/sappiamo leggere le stelle, quindi a questa domanda si potrà dare una risposta solo tra molti, moltissimi anni. Che poi, l’anonimato teoricamente mette al sicuro da queste questioni “anagrafiche”. E infatti, per il momento, anche i direttori dei musei preferiscono non prendere posizione, evitando giustamente la responsabiltà di spendere milioni di dollari per mettere in collezione un nome, una presenza che tra molti, moltissimi anni, potrebbe dire nulla.
Tranne che per le mostre temporanee, per quelle Banksy è perfetto. Per esempio, ben 180mila visitatori hanno visto la mostra che ha messo in dialogo la famosissima Girl with Balloon tagliuzzata durante l’asta di Sotheby’s e l’Autoritratto con cappello rosso di Rembrandt, alla Staatsgalerie di Stoccarda, in Germania. Cioè il doppio dei visitatori abituali del museo tedesco. Magari non sarà preso molto sul serio ma fa comodo che sia così.
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