Categorie: Street Art

Urban Roots: a Roma, la mostra dedicata ai linguaggi della strada

di - 16 Marzo 2023

Presso la nuova sede della galleria Wunderkammern di Roma, sarà visitabile fino al 15 aprile la mostra “Urban Roots”, dedicata ai diversi linguaggi artistici e alle sperimentazioni stilistiche personali e innovative di alcuni fra i più importanti esponenti dell’arte urbana. La mostra introduce il visitatore ad alcuni dei nomi più importanti del panorama nazionale e internazionale di questo movimento, come Blek Le Rat, D*Face, JonOne, Shepard Fairey, 2501, Sten & Lex e Tellas, raccogliendo opere inedite al pubblico romano, alcune delle quali realizzate appositamente per l’occasione.

«Questo percorso espositivo vuole essere un viaggio senza bussola all’interno della Street Art, tema di cui si parla e si vede molto sul web, sui quotidiani, sui social, etc. ma di cui ancora si sa poco e si fatica a comprenderne a pieno l’impatto. Se, come suggerisce Wim Wenders, “l’America ci ha colonizzato l’inconscio”, l’hip hop ci ha colonizzato l’immaginario visivo delle città. Ognuno di noi associa qualcosa a graffiti e tag, poster e stencil, murales e sculture urbane. È sorprendente vedere quante cose vengano mixate insieme quando si prova a parlare e a ragionare sulla Street Art. Vengono in gioco i concetti di vandalismo, legalità, pubblicità, riqualificazione, arte, muralismo, marketing, comunicazione, urbanismo e degrado. E tutto solo per degli strani segni che, a partire da un certo momento in avanti, hanno iniziato ad apparire in maniera sempre più potente e prepotente sui muri delle nostre città. Siamo ancora molto lontani dall’aver trovato una sintesi. L’unica cosa che oggi non possiamo fare è ignorare tutto ciò. Buona passeggiata», si legge nel testo critico dell’esposizione, curata da Giovanni Pizzuto.

Tra le opere più significative in esposizione, i celebri topi di Blek Le Rat, da cui l’artista prende il nome rat che è anche anagramma di art; le rappresentazioni della società odierna in chiave provocatoria e pop di D*Face; le esplosioni cromatiche di JonOne in grado di far vibrare di emozione gli spettatori; le iconiche e provocatorie opere di Shepard Fairey anche in formato orizzontale. E ancora, opere di 2501 appartenenti al progetto “Animated Landscape” che unisce Land Art, documentazione filmica e interazione con il tessuto urbano; le opere “colorate” di Sten Lex, una rarità nella bicroma produzione del noto duo italiano, caratterizzato dallo stencil poster, tecnica incisoria contemporanea. E, infine, la visione personale e appassionata degli elementi del paesaggio naturale elaborata da Tellas.

Abbiamo intervistato il curatore della mostra per conoscere tutti i dettagli di questo esperimento.

Tellas, Condado (2023), Acrylic on canvas, 70 x 100 cm., Credits Tellas, Wunderkammern gallery

“Urban Roots” è una mostra che mette al centro della sua ricerca la strada, come è nata questa idea?  Perché la scelta di questi artisti?

«Potremmo dire che la “strada” (intesa in generale come spazio pubblico urbano) è il minimo comun denominatore di tutta l’arte urbana. A partire dal titolo abbiamo cercato di fare una selezione di pochissimi artisti (e quindi senza nessuna pretesa di completezza) per provare a proporre un percorso emotivo che provasse a raccontare l’evoluzione di alcuni linguaggi che noi consideriamo chiave all’interno di questo complesso e fluido movimento. Partendo da alcuni che non esiterei a definire personaggi chiave all’interno del panorama artistico contemporaneo (Blek le Rat e OBEY) per arrivare ad esponenti più giovani anagraficamente ma che hanno segnato comunque uno step fondamentale. Penso a Sten Lex e ai loro stencil poster, a 2501 con le sue linee e con le sue costanti interazioni uomo-macchina oppure uomo-paesaggio e Tellas con i suoi murales ispirati da elementi connessi con la natura e riproposti in una sintesi ed equilibrio visivi impressionanti».

Quali sono le novità proposte in questa esposizione?

«Forse la novità più interessante sta nell’approccio. Cercare di trattare in maniera unitaria ciò che unitario assolutamente non è. E quindi cercando di illuminare il viaggio dello spettatore anche se con un qualcosa più simile ad un flash che ad una lampada (o un lampione, visto che l’ambientazione è comunque quella della strada). Quindi accostare artisti come JonOne ad artisti come 2501, o Sten Lex a JonOne è una scelta a nostro avviso coraggiosa in cui invitiamo ogni spettatore a cercare la sua bussola ed il suo livello di lettura in uno scenario complesso, stratificato e anche confusionario com’è sicuramente quello della strada. In pratica è un invito a resistere allo spaesamento che si può provare di fronte a questo mix di linguaggi».

Sten Lex, Mirror XII (2023), Stencil poster on wood, 90 x 70 cm, Credits Vittorio Lico

Molti degli artisti in mostra sono dei veri e propri pionieri del genere, i tempi sono maturi per la storicizzazione di questo fenomeno?

«Dipende molto da cosa intendiamo con il concetto di storicizzazione. L’esposizione all’interno dei musei? Non si contano ormai le mostre museali dedicate al fenomeno della street art (e all’interno delle quali sono stati coinvolti tutti gli artisti presenti in questa mostra). Le pubblicazioni? Idem. L’attenzione del mercato e dei collezionisti? Come sopra. Forse quello che manca è una riflessione scientifica più strutturata che possa fare lo sforzo (piuttosto titanico) di collocare questo movimento all’interno del panorama dell’arte contemporanea, uscendo dall’equivoco per cui spesso alcune di queste espressioni vengono relegate a forme di protesta giovanilistiche, atti vandalici o una specie di divertissement. Indagare invece l’impatto a 360° sull’attuale panorama culturale di questa particolarissimo movimento artistico (perché si dipinge in strada? Qual è la valenza artistico-politica di questo gesto? Quali sono i profili estetici più interessanti? Quali sono gli impatti sulla comunità e sulla società?) è a mio avviso una delle cose più interessanti che rimane ancora da fare e le cui risposte sono ancora apertissime».

Esporre o musealizzare opere e rappresentazioni nate per la strada, perché?

«Questo forse è uno degli equivoci più comuni. Le opere nate per la strada solitamente (salvo rare eccezioni) rimangono per la strada e subiscono tutte le conseguenze di essere appunto un lavoro nato spesso illegalmente nello spazio pubblico. Per questo si fa spesso uso dell’aggettivo “effimera” quando si parla di Street Art. Il ruolo delle gallerie e dei musei è invece legato ad un percorso di scoperta di opere di artisti che venendo da questo movimento hanno poi proseguito la loro carriera e la loro opera con dei lavori e delle produzioni da studio che quindi trovano la loro naturale sede espositiva nelle gallerie e nei musei. Sono le opere realizzate in strada che devono (o dovrebbero) rimanere in strada. Non gli artisti. Gli artisti sono liberi per definizione e quindi devono essere liberi di poter esporre dove meglio credono così come devono essere liberi di poter affiancare alla produzione di opere nello spazio pubblico la produzione di opere nei propri studi. Perché mai non dovrebbe essere così? Io diffido molto da chi dice che gli artisti che vengono da questo movimento dovrebbero continuare a lavorare solo ed esclusivamente nello spazio pubblico».

Può esistere “un’arte di strada” senza sfida, rottura, riappropriazione?

«Provo a ribaltare la domanda: può esistere un’arte senza sfida, rottura, riappropriazione?»

2501, Orizzonte ottico AL 2 (2022), Photo proof and mixed media on paper, 100 x 30 cm, 102 x 32 x 3,5 cm, framed Co-author Guido Borso Credits 2501

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