Sperimentale, interdisciplinare, attento ad affrontare temi di attualità e di indagine sociale, l’Alkantara Festival, svoltosi a Lisbona dal 13 al 28 novembre, ha rafforzato la sua natura internazionale, presentando le nuove produzione del ballerino e coreografo congolese Faustin Linyekula, che segna il suo ritorno in Portogallo, di Cherish Menzo, dell’artista trans brasiliana Gaya de Medeiros, del libanese Ali Chahrour, della camerunense/findlandese Sonya Lindfors, per ricordarne solo alcuni. Il festival si è inaugurato con História(s) do Teatro II di Faustin Linyekula, che ha rivisitato i primi anni dell’indipendenza congolese attraverso i ricordi dell’infanzia, quando vedeva in televisione le danze del corpo di ballo nazionale, che era stato creato per volontà del dittatore Mobuto per creare un simbolo di unità nazionale, poi trasformato in strumento di propaganda. Linyekula ha invitato tre interpreti dell’epoca, ancora oggi membri del corpo di ballo, per raccontare il loro vissuto, ed ha ideato uno spettacolo in cui i confini tra canto, danza e teatro si confondono. I diversi percorsi di vita dei danzatori, insieme ai racconti di Linyekula, forniscono una rivisitazione appassionata della tormentata storia della nazione.
Anche Cherish Menzo, nata in Olanda nel 1988, ma figlia di genitori surinamesi, si occupa di identità, non di carattere geografico ma di genere. Con lo spettacolo Jezebel ha decostruito gli archetipi riguardanti la rappresentazione del corpo delle vixen, donne ipersexy presenti nei video e nella scena hip-hop. Video che la stessa Menzo guardava da adolescente su MTV, come lei stessa ha dichiarato al termine dello spettacolo, nell’incontro con il pubblico.
“Ho voluto trasformare la rappresentazione mediatica delle vixen, anche chiamate Jezebel, in riferimento alla tentatrice biblica. Corpi perfetti, simboli di seduzione e strumenti di ascesa sociale verso la classe sociale bianca. Anch’io da ragazzina frequentavo i club e amavo la musica hip-hop, ma non mi identificavo nella rappresentazione delle vixen, e delle donne fornita dai gruppi musicali maschili, e nell’immaginario a loro legato. Per questo in Jezebel ho scelto di rendere tutto enfatico, esagerato, sia per me come performer, che sono sola sul palco dove mi travesto e trasformo, sia per il pubblico, che è immerso in una scena contradditoria e a tratti violenta”. La violenza a cui si riferiva la Menzo, era quella dei suoi movimenti frenetici, ripetitivi, a un passo dallo sfinimento, del suo volto nascosto dietro lunghe unghie finte, dai primi piani della sua bocca con denti d’acciaio, proiettati in scena su un grande schermo, insieme alla durezza delle liriche dei brani da lei stessa interpretati.
Dopo questa immersione ipnotica e respingente, nella prima parte dello spettacolo, è l’artista stessa a cercare lo sguardo del pubblico e a infilarsi in un abito gonfiabile dorato, che la trasforma in un corpo espanso, minaccioso e ironico. La drammaturgia cambia, i gesti spasmodici e sensuali scompaiono, il suo corpo macchina si trasforma in una presenza fuori formato, da cui emergono seni appuntiti, segni di opulenza sfrenata e/o strumenti di difesa. La voluta ambiguità di Menzo, che ha lavorato con alcuni dei maggiori coreografi internazionale, mostra la volontà di indagare l’immaginario contemporaneo, indagine che continuerà anche nel nuovo spettacolo a cui sta lavorando, riguardante l’Afrofuturismo, come ha dichiarato al termine dell’incontro. Tema di cui si occupa
Cosmic Latte, lo spettacolo della findlandese/camerunense Sonya Lindfors.
Spettacolo che mette in scena un futuro che non possiamo ancora immaginare. È l’anno 3021 e viviamo in un mondo che sfugge a definizioni e categorie. Questioni razziali e di genere sono diventate fluide e indistinte. Il bianco e il nero non sono più opposti ma si completano vicendevolmente. Afrofuturismo, arte contemporanea, cosmologia dell’Africa occidentale, Sun Ra e Bach coesistere in Cosmic Latte, spazio poroso, vario e dai molti colori. È il terzo spettacolo della Lindfors sulla black identity, ed è stato presentato in anteprima nazionale.
Afrofuturismo è il termine coniato dal teorico americano Mark Dery nei primi anni ‘90, indica come gli afrofuturisti, appropriandosi della tecnologia e dell’immaginario science-fiction, possano reinventare il concetto di Blackness e Black identity, in una interzona immaginifica in cui misticismo, tradizioni tribali e fantasy si contaminano tra loro. Istanze che sfuggono a limitazioni e confini, che permettono di immaginare narrazioni non lineari. Pratiche condivise dalla Lindfors, membro fondatore e direttore artistico di UrbanApa, comunità artistica interdisciplinare e piattaforma antirazzista, attiva in pratiche artistiche femministe post-coloniali. È inoltre membro del Miracle Workers Collective, comunità transdisciplinare e anazionale di artisti, registi, scrittori, intellettuali, artisti e attivisti, che ha rappresentato la Finlandia alla 58a Biennale di Venezia.
Diretto da Carla Nobre e David Cabecinha, Alkantara Festival ha permesso di conoscere cartografie in divenire, nelle performance, negli open studio in cui Vânia Doutel Vaz, Filiz Sızanlı & Mustafa Kaplan e Sofia Dias & Vítor Roriz mostravano l’inizio del loro processo creativo, e nel simposio Becoming Aware of Other Bodies, che ha raccolto le riflessioni di accademici e artisti sulla percezione del corpo che invecchia nella danza e nella società in generale.
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