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Antigone e i suoi fratelli, una tragedia sempre contemporanea
Teatro
Il segno forte di “Antigone e i suoi fratelli” del regista Gabriele Vacis (produzione Teatro Stabile di Torino), è nella coralità di un manipolo di 14 giovanissimi interpreti, nel loro attingere alla tragedia greca per interrogarsi sul proprio fragile presente e sull’incerto domani. Sono già lì, a scena aperta, mentre entra il pubblico. Nel loro camminare in gruppo, in coppie sparse, guardandosi, urtandosi, accelerando il passo, spostando le traiettorie e gli incroci avanti e indietro, mentre scorrono sguardi e si formano abbracci e si compongono file, s’intravede un’energia cinetica che nasce dal cuore. Che scuoterà gli animi. Che muoverà le menti. Quell’incedere lento avviato, quei movimenti di partenza preludono a un esercizio di fratellanza in atto che è il motivo dello spettacolo firmato da Vacis con gli allievi dello Stabile di Torino costituitosi come nascente compagnia PEM – Potenziali Evocati Multimediali. Quei corpi dai costumi color terra sono portatori di istanze che squasseranno l’ordine costituito.
Rimanda prepotentemente nel vivo dell’attualità, la vicenda di Antigone che sacrifica la sua vita per amore del fratello Polinice. «Antigone è un’eroina ribelle che assomiglia alle ragazze iraniane, che lottano e sono disposte a morire per affermare i loro diritti» dichiara, tra il resto, Vacis, immettendoci così nel focus del suo adattamento della nota tragedia sofoclea, ricercandone la «sostanza pesante della fraternità». Parte da “Sette contro Tebe” di Eschilo e da “Fenicie” di Euripide, le altre tragedie dove si parla della reciproca uccisione di Eteocle e Polinice – racconto riassunto da più voci rivolte al pubblico -, per giungere all’eroina di Sofocle.
I temi morali e politici che la tragedia impone continuano a far parte di una sorta di codice genetico della cultura occidentale che ci invia ancora segnali vitali. I contesti culturali poi sono quelli che determinano le valenze ideologiche dello scontro fra individuo e Stato. Antigone vuole seppellire per pietas Polinice che ha tradito la patria, mentre Creonte, sovrano di Tebe, ne proibisce la sepoltura come monito. Antigone, sua nipote e promessa al di lui figlio Emone, trasgredisce ed è condannata a morte, e da lì la serie di sventure familiari per Creonte. Il conflitto mortale fra le ragioni della pietà e quelle della convenienza politica, è qualcosa che non ha mai smesso e mai smetterà di concernere la storia del mondo e, insieme, la coscienza di ciascun individuo.
Vacis, nel suo allestimento, lascia parlare i ragazzi per evidenziare l’assoluta perennità del tema, inserendo dei loro pensieri e riflessioni. Sono limpide e forti parole di resistenza quelle pronunciate da Antigone, che si sovrappongono a quelle di oggi degli stessi attori, foriere di inquietudini, con domande, autoaccuse e risposte personali elaborate durante il lavoro in prova: “Avete qualcosa per cui vale la pena vivere? Avete qualcosa per cui vale la pena morire? Siete mai stati corrotti? Siete mai stati corruttori”, sono alcuni degli interrogativi sollecitati dal testo ed inclusi nella drammaturgia, che interpellano a schierarsi, assumere responsabilità, compiere scelte sapendo delle conseguenze che esse generano. E non sfugge il chiaro riferimento – pronunciato da uno degli attori nel mettersi in discussione – a chi combatte in Ucraina, esempio di chi compie scelte impegnative combattendo per uno scopo.
Nella vastità dello spazio scenico delle Fonderie Limone Moncalieri segnato da una lunghissima pedana ricoperta di terra – luogo di scorribande e di attraversamenti, che si alzerà sulla battaglia tra i fratelli solo evocata da voci e rumori -, risalta la coralità-comunità degli interpreti, alcuni dei quali impegnati nello sdoppiamento dei personaggi principali, alternando assoli e dialoghi con messe a fuoco di Giocasta, Ismene, Creonte, Tiresia, Emone.
Tra effetti di specchi riflessi nelle grandi pareti che creano ombre; l’immenso velario di nylon fatto scorrere sulla platea coprendola, poi trasformato in muro; il suono di una chitarra elettrica imbracciata e quello di un pianoforte su una pedana mobile; la pioggia di terra poi spazzata e ammucchiata; gli indumenti sparsi di un campo di battaglia e raccolti nel lento piegamento di ginocchia; tra corse e grida, canti rap e balli, si compone infine una messinscena di vibrante tensione che attualizza, come non mai, le inquietudini di una generazione in ricerca.