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Back to black, un bilancio generazionale: intervista al regista Silvano Spada
Teatro
Dal 14 al 18 febbraio, all’OFF/OFF Theatre di Roma, debutta in prima nazionale lo spettacolo Back to Black, scritto e diretto da Silvano Spada, aiutato alla regia da Orazio Rotolo Schifone. In scena due condomini: un manager affermato (Lorenzo Balducci), giovane, bello e disinvolto, e un’anziana attrice (Elena Croce), che ha avuto una vita fantasiosa e libera e che, di fronte al disagio manifestato dal vicino di casa, lo spinge a mettersi a nudo verso un percorso di libertà.
L’espressione inglese “back to black” ha in sé quel senso di tristezza, di oscurità, che si ha la fine di una relazione. A Silvano Spada, autore della commedia e direttore artistico dell’OffOff Theatre di Roma, chiediamo a quale “nero” si torna nella sua ultima commedia, Back to black.
Back to black – racconta Silvano Spada – è un testo sul parziale bilancio che si fa quando si raggiunge la fascia d’età che va dai 40 ai 45 anni. Una generazione che spesso ha sia figli che genitori. Quella sorta di giro di boa, quando si resetta il passato e ci si confronta con il presente; quando non si è più i giovani spensierati di ieri, ma si comincia a guardarsi allo specchio e a fare il punto della propria situazione. E quando uno resetta, può rendersi conto di aver perso occasioni, non aver realizzato sogni o non aver approfondito curiosità che sono rimaste inesplorate. Uno può anche domandarsi se ne è valsa la pena, se aver scelto quel tipo di vita invece di un’altra sia stata la scelta migliore, quello che davvero si voleva…
Back to black parla dei quarantenni di ora ma, al di là del periodo storico, le generazioni si somigliano tutte perché sono i percorsi umani a ripetersi: puoi cambiare la cornice di un quadro, ma il quadro rimane quello.
E quando lei ha fatto quel bilancio provvisorio, cosa ha tenuto e cosa ha cancellato?
«Sono stato fortunato. Ho vissuto tutte le fasi della mia vita e ho fatto tutto nel momento in cui era normale farlo. In questo senso non ha rimpianti. Però, in qualunque momento uno può porsi delle domande sul rapporto con gli altri, con il proprio compagno, la propria compagna, i figli. C’è un momento di sincerità che credo scatti in chiunque, anche a fronte degli amori più belli: perché, al di là degli slogan e delle etichette, conta quello che uno pensa quando è solo, nella propria intimità, quello che pensi la mattina quando ti guardi lo specchio e ti fai la barba o ti trucchi. Quando sei di fronte a te stesso è il momento in cui ti fai certe domande. A me è andata bene: mi reputo fortunato».
Quali curiosità ha lasciato inesplorate? Quali sono le occasioni perdute che rimpiange?
«Dal punto di vista privato non ho rimpianti. Avrei preferito viaggiare di più da giovane: lo faccio ora da adulto. Non è un rimpianto, perché sono sempre stato abbastanza libero. Magari un leggero rammarico per non aver sfruttato la libertà sempre e in tutti i modi. A volte i condizionamenti della società mi hanno obbligato a scelte che avrei potuto fare diversamente. Magari scelte più serene. Ma, nella maggior parte dei casi, ha vinto la mia la voglia di libertà. C’è una frase del testo, non mia, che dice: nella vita bisogna sempre cercare di ottenere ciò che si vuole, altrimenti si finisce con l’accontentarci di ciò che si ha. Questo credo sia il cuore di Back to black. Finché si ha la possibilità di essere liberi, bisogna tentare di farlo. Altrimenti ci si ritrova, avanti con gli anni, vittime delle nostalgie. Che io non ho e che la commedia spinge a non avere. Il tema di Back to black non è quello di rimpiangere il passato, ma è un invito a seguire liberamente le proprie fantasie nel rispetto degli altri. Back to black parla di come si deve essere liberi amando, viaggiando, ma liberi anche nella quotidianità. Questa è l’anima di Back to black. Al di là delle storie raccontate, la commedia è un invito a cercare sempre di essere felici. Perché essere felici è un diritto».
Nelle note di regia lei scrive che Back to black è “un viaggio per capire ciò che si è o non si è”. Chi è Silvano Spada?
«Una persona come tante che nella vita è stato fortunato. Se avevo dei sogni li ho raggiunti e se avevo immaginato un percorso l’ho seguito. Ma nulla arriva dal cielo. Senza vendersi o rinnegare i propri valori, l’importante è combattere per essere felici: quello che ci circonda, spesso, è talmente orribile che abbiamo il diritto di conquistare le nostre gioie.
Per me è fondamentale essere liberi nel rispetto degli altri; guardarsi allo specchio e chiedersi: cosa ho fatto fin ora? Cosa farò da qui in avanti? C’è qualcosa che posso cambiare?».
Ha creato l’OffOff e lo ha fatto crescere in anni in cui molti teatri romani hanno chiuso. L’OffOff non è solo un teatro quanto una sorta di ritrovo per amici. Un bilancio del suo OffOff?
«Siamo considerati un teatro alla moda e la cerchia di amici si allarga sempre di più. Il bilancio è positivo. Stiamo andando bene in una grande città come Roma, disincantata e distratta, e non è semplice. A un certo punto della vita ho detto: voglio fare anche questo. È stato un mio modo di resettare. Avevo già fatto un Festival, che ho portato al successo e che ho lasciato deliberatamente, perché cambiare fa parte del mio carattere. È stato un modo per mettermi alla prova un’altra volta».
Quasi quarant’anni fa ha ideato e fondato il festival di Todi, ancora un punto di riferimento tra i festival teatrali. Poi ha creato l’OffOff, un teatro privato. In questo momento quali sono i punti di forza e di debolezza del teatro privato?
«C’è più libertà, ma sono come le fatiche di Ercole. Fare teatro non è un’operazione semplice. Non credo che il teatro sia di nicchia, ma nei fatti lo è. La generazione che è al centro di Back to black, i quarantenni, è quella che va meno a teatro. Rapiti da altri interessi, perdono una fetta di vita culturale e sociale. Questo non è un bene per il teatro perché, se non si favorisce l’accostamento al teatro di queste generazioni, il serbatoio del pubblico va a scemare. Andare a teatro è anche un arricchimento sentimentale e quando torni a casa, magari, stai anche più volentieri con tua moglie o tuo marito, invece di addormentarti davanti al televisore. Il teatro arricchisce. Non basta andare ogni tanto a cena con un’altra coppia di amici: la società bisogna viverla dove ci si incontra, ci si vede, ci si confronta. Nel resto del mondo il teatro non è come da noi, soprattutto a Roma. Milano o le piccole città di provincia sono più facili. Roma è disincantata e anche menefreghista. Proprio la generazione dei quarantenni dovrebbe capire che, come si va alla partita, si va a teatro, a un concerto, a vedere una mostra, a giocare a paddle. Altrimenti si diventa monotematici. L’arricchimento culturale si riflette all’interno dei rapporti, anche all’interno del rapporto di coppia. Immersi nella vita culturale, sportiva, sociale, ci si arricchisce e ci si diverte. Questa è la mia filosofia di vita. Ecco perché Back to black non è una commedia solo sui rapporti sentimentali».
In una Roma con un sottobosco che è molto diverso da quello che appare in superficie, la programmazione dell’OffOff, anche quando è leggera, appare profondamente politica. L’OffOff è un teatro politico?
«Roma è una città difficilissima con una storia immensa alle spalle; una città che ha visto tutto. Le racconto un aneddoto. Da ragazzo, piazza Navona non era ancora isola pedonale e iniziava ad essere un punto di ritrovo per intellettuali e gente dello spettacolo. Poi arrivò la Roma che voleva divertirsi. Una sera sentiamo rumoreggiare e tutti a dire “C’è Costantino di Grecia”, che era il re di Grecia in esilio a Roma. La prima sera tutti emozionati. Solo che Costantino di Grecia ebbe la malaugurata idea di tornare anche nei giorni successivi e alla fine i commenti dei romani erano “Ahó, anche stasera ce sta Costantino de Grecia”. Roma è così.
Dal punto di vista politico, trovo che tutto nella vita sia politica. Se per politica si intende, come io intendo, combattere le ingiustizie sociali e far sì che tutti abbiano gli stessi diritti e le stesse opportunità, che non dobbiamo vedere l’altro come una minaccia solo perché è diverso da noi, in questo senso l’OffOff è un teatro politico e la sua programmazione è fortemente politica».
Dopo quanto accaduto al Teatro di Roma il teatro è politico o politicizzato?
«Sono un privato e un battitore libero. Per mia scelta, so pochissimo di quello che accade nel mondo politico che gestisce la cultura a Roma. Che la politica sia entrata negli organismi dei teatri è evidente e non da oggi. Scandalizzarsi è eccessivo perché è una prassi consolidata. Non avrebbe mai dovuto esistere e non dovrebbe esistere in futuro, ma è un’utopia. Non ho nulla contro i teatri stabili ed è giusto che la capitale d’Italia abbia il suo teatro, dove lo Stato investe, e trovo corretto che ci sia il contributo degli enti pubblici. Apprezzo meno la chiusura di questi organismi che si scambiano gli spettacoli tra di loro.
Grazie ai finanziamenti che ricevono, non hanno neanche bisogno di preoccuparsi della biglietteria, perché i contributi coprono i costi. Invece in un teatro privato la biglietteria è vitale. Penso che sia fondamentale sostenere pubblicamente la cultura, i teatri stabili, la lirica, la danza, perché sono realtà che hanno bisogno del sostegno pubblico. Però, secondo me, dovrebbe essere favorita anche l’imprenditoria privata che ha il coraggio di fare questo lavoro. Non per chiedere soldi, ma per avere una pari dignità nel lavoro: e questo non c’è. I teatri privati possono dormire sogni tranquilli perché arrivano finanziamenti che, in alcuni casi, raggiungono milioni di euro. E in momenti di simile crisi sociale è vero che la cultura va sovvenzionata, ma è anche vero che la cultura dovrebbe non sprecare».