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Beata la parola nella terra dei ciechi: l’Edipo re di Sinisi e De Rosa
Teatro
L’Edipo re è la storia del grande “peccatore” alla ricerca della verità sulle proprie colpe e il proprio destino, il mitico uomo che si misura col problema dell’identità e si carica della condanna per un destino soltanto subito. Deciso a estirpare la causa di una pestilenza che tormenta la sua città, Tebe, contaminata a causa della morte rimasta impunita del suo vecchio re Laio, Edipo vuole scoprire chi è l’assassino, e bandirlo. Ma presto scoprirà di essere figlio di un uomo che egli stesso ha ucciso, e di una donna, la madre, con la quale si è congiunto e ha generato dei figli. La conoscenza che ha acquisito si rivela una tragedia; e si acceca per non veder più il mondo nel quale ha commesso tanto male. La luce della verità è il dono del dio. Ma anche la sua maledizione.
Nel dramma successivo della serie tebana di Sofocle, l’Edipo a Colono, dopo 20 anni di peregrinazione nella cecità, e prossimo alla morte, egli avrà maturato l’orgoglio di uomo responsabile solo degli atti compiuti in piena consapevolezza. Nell’alterità delle due condizioni umane Sofocle esprime il tragico cammino, utile per chiunque, verso un maggior grado di conoscenza che va oltre l’umano sapere. Al tema della “Cecità” che segna tutta la stagione teatrale torinese del TPE, e che artisti di diversa generazione e linguaggi hanno approfondito nei loro spettacoli, si aggiunge la bellissima, potente, versione dell’Edipo re nella nuova traduzione di Fabrizio Sinisi con la regia di Andrea De Rosa (coproduzione Fondazione Teatro Piemonte Europa, Teatro di Napoli e Lugano Arte e Cultura, con debutto al Teatro Astra di Torino). Che rivela subito la particolarità, nel suo adattamento del testo, di aver affidato ad uno stesso attore i ruoli di Tiresia e dei messaggeri, e aver introdotto Apollo, il dio nascosto, la cui voce guiderà Edipo attraverso l’inchiesta per rivelare il colpevole. Di lui si snoccioleranno, come una sorta di litanie, alcuni degli attributi che lo caratterizzano – «Apollo dio dei lupi, Apollo danzatore, Apollo costruttore di altari di cenere e sangue, Apollo obliquo, Apollo squartatore, Apollo simile alla notte, Apollo arrogante, Apollo eccessivo, Apollo scuoiatore, Apollo melodia, Apollo incoronato di alloro» – rivelando il suo essere capriccioso, vendicativo, infantile, ambiguo, competitivo, sanguinario.
Nell’allestimento trionfa la parola in tutta la sua forza e senso entrando immediatamente nel vivo della storia di Edipo al quale viene indicato già da subito la verità: «Sei tu! Sei tu l’assassino, sei tu che hai ucciso tuo padre, sei tu a giacere con tua madre e ad essere allo stesso tempo padre e fratello dei tuoi stessi fratelli», gli dice Tiresia i cui occhi rimangono sempre occultati da una striscia di carta attaccata sul pannello trasparente che lo copre. Il peso di quel pronunciamento s’insinuerà, nel doloroso percorso di svelamento, fino a lacerarlo nell’anima e nel corpo. Lo esprimono da subito le risonanze vocali di un lamento greco (di Demetrio Stratos, mitica voce del gruppo musicale Area) con cui si apre lo spettacolo – sono le voci della città di Tebe – intonato dal Coro di due sole donne – persone familiari e intime del re e di Giocasta -, e le successive incursioni acustiche e cupe sonorità elaborate da G.U.P. Alcaro. Lo evidenzia soprattutto, con geniale inventiva, la scenografia di Daniele Spanò, un’opera installativa che meriterebbe la collocazione in un Museo di arte contemporanea: un emiciclo – che è tempio, arena, reggia e piazza – con davanti pannelli di plexiglas striati di vernice bianca che occlude la vista, e dietro, disposti a semicerchio, delle lastre metalliche dorate. E poi fasci luminosi, neon, lampade e riflettori, che determinano zone d’ombre e zone di luci, come lo sono la psiche, i pensieri, le azioni.
Lo straziante finale del sovrano accecatosi, è un alternarsi di maledizioni, riso, urla, paura, imprecazioni, e in ultimo, rivolto a Creonte affinché si prenda cura delle figlie, preghiera: «Ti prego, mio signore! Lascia che io le tocchi con le mani e pianga insieme a loro la mia fine. Toccandole con queste mani, mi sembrerà di vederle ancora come quando ancora vivevo nella luce». Nell’epilogo Edipo fa sue le parole del Coro: «Guardate, cittadini! Davanti a voi c’è Edipo: l’eroe che risolveva enigmi. Un uomo potente e fortunato, che tutti guardavamo con invidia. Guardatelo adesso. Non dite mai di un uomo che è felice, finché non sia scoccato il suo ultimo giorno».
Marco Foschi è di umanissima resa nel percorso dolente dell’uomo alla ricerca della verità, toccante nel fondere mente e cuore con sfumature e accenti di toni. Come anche, encomiabili, Roberto Latini nel dar voce e corpo al suo Tiresia/Apollo, Frédérique Loliée in Giocasta, Fabio Pasquini, autorevole Creonte, Francesca Cutolo e Francesca Della Monica, presenze e voci del coro. Lo spettacolo sarà in scena al festival Pompeii Theatrum Mundi dal 4 al 6 luglio, e ripreso nella prossima stagione teatrale.