Tornano continuamente, nei dialoghi, nelle battute, nelle allusioni, i riferimenti al freddo. Il ghiaccio, il gelo, è quello dell’anima, metafora della vita “paralizzata” dei protagonisti. Forse è più esatto dire “congelata”. Della loro mente, delle azioni, e delle ossessioni. Quelle di Ralph, un pedofilo serial killer, di Nancy, madre di una delle vittime, e di Agnetha, una psicologa islandese-americana in cerca di conferme delle sue tesi sulle azioni criminali dell’abusatore. Quella sensazione di congelamento sembra suggerirlo la trasparente struttura di cellophane della scenografia a scomparti – con corridoi e rami secchi -, la cui resa visiva rimanda a una cella frigorifera. In quello spazio raffreddato si agitano le esistenze dei tre personaggi della pièce di Bryony Lavery, “Ghiaccio” (titolo originale “Frozen”), con la regia di Filippo Dini anche interprete insieme con Lucia Mascino e Mariangela Granelli.
«Tre vite conducono un’esistenza avvolta nel freddo ghiaccio della conservazione, della determinazione a sopravvivere. Si può solo tentare di vivere, ma nel ghiaccio, nell’immutabilità del tutto, nella consacrazione di un vuoto», così Dini sintetizza la sua messinscena. Il testo del 1998 della drammaturga inglese ci mette davanti alle conseguenze morali ed emotive di un orribile caso di sequestro e omicidio di minori. «Volevo raccontare la banalità del male e il coraggio della gente normale», aveva dichiarato la scrittrice. Una storia immaginaria e, nel suo orrore assoluto, del tutto verosimile.
Apprendiamo che Rhona, la figlia di 10 anni di Nancy, è scomparsa mentre si recava dalla nonna per portarle delle cesoie da giardino. La madre vive nella speranza di ritrovarla e che sia ancora viva, mentre Ingrid, la sorella della vittima – che conosciamo nella descrizione che la madre dà di lei -, assiste, negli anni che seguono, alla disperazione e alla disgregazione familiare (ma sarà lei a dare la chiave di volta alla madre per superare l’angoscia e la rabbia tenuta dentro). A seguito del ritrovamento della bambina e di altre vittime a distanza di vent’anni, il serial killer Ralph incontra in carcere Agnetha e in ultimo Nancy. La trama ruota intorno all’intreccio fra i tre con, al centro, l’interrogatorio all’omicida da parte della psichiatra la quale, recatasi in Gran Bretagna per tenere una conferenza sulla pedofilia e studiare le origini di tale comportamento, giunge a chiedersi se le azioni del criminale, a sua volta abusato in famiglia e con danni fisici al cervello, siano peccato o sintomo, male o malattia criminale. Nello speech iniziale di Agnetha, “Serial killer… Si può perdonarli?”, del suo discorso pubblico, troviamo un indizio di quello che sarà l’evolversi della vicenda che vedrà Nancy elaborare la sua sofferenza e avviarsi verso la liberazione del peso del lutto, cedere alla “tentazione del bene” e giungere alla possibilità del perdono.
Dicevamo della scenografia costituita da pareti di cellophane, da completare nella descrizione con i buchi e le bruciature che contengono. Ci ricordano le “combustioni” delle opere di Alberto Burri e che associamo alle “cicatrici” che portano con sé tutti i personaggi. A “rimarginarle” – così interpretiamo noi – sembrano intervenire i festoni di bandierine tibetane di preghiera (di cui c’è traccia in una sequenza del testo) che nel finale saranno srotolate e tese da Agnetha e Nancy lungo tutta la platea e sulle nostre teste, mentre le due donne, desiderose di riprendersi le loro vite, si raccontano sorridendosi vicino alla tomba di un cimitero.
Dai monologhi iniziali al rapportarsi nei dialoghi, dal tono intimo allo scontro urlato, il terzetto d’interpreti, Filippo Dini, Lucia Mascino e Mariangela Granelli, è a dir poco perfetto, pienamente dentro i difficili ruoli e il travaglio psicologico che li anima, come se stessero vivendo realmente le loro vite davanti a noi. E noi, tra sentimenti di ribrezzo, sdegno, compassione, a giudicarli.
“Ghiaccio”, di Bryony Lavery, traduzione Monica Capuani e Massimiliano Farau, regia Filippo Dini, scene Maria Spazzi, costumi Katarina Vukcevic, luci Pasquale Mari, musiche Aleph Viola. Produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale. Al Teatro Gobetti, fino al 10 aprile. Per rimanere aggiornati sulla programmazione nei teatri di tutta Italia, potete seguire la nostra rubrica settimanale “In Scena“.
Il collezionista Francesco Galvagno ci racconta come nasce e si sviluppa una raccolta d’arte, a margine di un’ampia mostra di…
La Galleria Alberta Pane, 193 Gallery, Spazio Penini e Galleria 10 & zero uno sono quattro delle voci che animano…
Si intitola “Lee and LEE” e avrĂ luogo a gennaio in New Bond Street, negli spazi londinesi della casa d’aste.…
Un'artista tanto delicata nei modi, quanto sicura del proprio modo d'intendere la pittura. Floss arriva a Genova in tutte le…
10 Corso Como continua il suo focus sui creativi dell'arte, del design e della moda con "Andrea Branzi. Civilizations without…
Tra progetti ad alta quota e una mostra diffusa di Maurizio Cattelan, il programma del 2025 della Gamec si estenderĂ …