Per il desiderato ritorno a teatro lo Stabile di Torino ha subito rimesso in moto l’allestimento de Il piacere dell’onestà di Luigi Pirandello, uno degli spettacoli andati in scena a gennaio solo in forma privata causa Covid, e oggi finalmente mostrato al pubblico. Che l’ha festeggiato, al Teatro Carignano, con calorosa partecipazione. Al suo primo incontro col drammaturgo agrigentino, il regista Valerio Binasco punta a una acuta riflessione sui rapporti famigliari e interpersonali. Dalle temperie del microcosmo provinciale tipicamente pirandelliano vira invece verso un’astrattezza universalizzante vicino alle atmosfere di feroci inferni domestici di certo teatro nordico frequentato dal regista (quello di Jon Fosse e Strindberg, ai quali, dichiaratamente, fa riferimento nei suoi intenti), facendo emergere nella sua chirurgica lettura quel germe che muove ogni rapporto umano: l’amore. E ne fa un’emblematica storia d’amore.
Angelo Baldovino, un uomo socialmente sconfitto, reduce da un passato non encomiabile, senza ideali, preda della dissipazione, ma dotato di una sottile intelligenza e di una profonda cultura filosofica, accetta – non per lucro ma per una sorta di scommessa con se stesso e di rivalsa verso il mondo – di diventare il marito “pro forma”, soltanto sulla carta, di una giovanissima e disperata ragazza di buona famiglia, la ricca Agata Renni, incautamente messa incinta da un marchese malmaritato, Fabio Colli, risolvendo così il problema di un’unione non legalizzabile. In cambio di questo “favore”, il marchese salderà i debiti contratti da Baldovino nel corso della sua burrascosa esistenza.
Rispetterà le regole di questo matrimonio “falso”, fino a che, malgrado le trappole tesegli dal marchese – che, facendolo anche risultare ladro, lo vorrebbe via di casa dopo la nascita del bambino e così poter tornare dalla donna –, cederà ai sentimenti, al magmatico fluire della vita che lo costringerà a gettare la maschera e a essere se stesso ma, ora, diverso da prima, trovando al suo fianco la giovane moglie colpita dalla rettitudine dell’uomo. Nella sua rigida logica, nel fascino tutto astratto dell’onestà, Baldovino ha trovato la possibilità di dare un senso alla sua vita e trionfare sulle convenzioni sociali.
Binasco regista, destruttura il dramma pirandelliano concentrando l’attenzione sui personaggi in quanto persone e non marionette del destino, e sulla loro dimensione interiore. Binasco, anche attore, di Baldovino offre una verità umana tutta spalancata e vissuta. Le offre di spessore, di dialettica interna, di vibrazioni morali. Si avverte già all’inizio nell’illustrazione che egli fa di sé, del conflitto tra natura e cultura onde è stato devastato, fino a prestarsi all’odioso artificio di un matrimonio “bianco”, per riparare “colpe” altrui che tali sono in realtà solo nel giudizio di una società falsa e ipocrita. Anche nei caparbi sofismi del personaggio si fa luce dunque un’umanità dolente e dimessa che continua quindi a serpeggiare sotto la maschera da lui assunta per svolgere fino in fondo la parte assegnatagli.
A impaginare la vicenda è una semplice struttura di pareti che cala dall’alto e poi ruota per ridefinire due ambienti di un interno borghese, un bianco tendaggio trasparente sul fondo, e pochi oggetti d’arredo fra cui una tavola imbandita per festeggiare il battesimo del bambino (scena di Nicolas Bovey). Lo spettacolo scorre rapido, con barlumi poetici come, in una delle prime scene, il gioco di ombre cinesi creato su una parete dal marchese per far sorridere la donna affranta.
Con una recitazione alquanto sostenuta, l’ottimo cast – l’Agata di Giordana Faggiano, la madre Maddalena di Orietta Notari, il Marchese di Rosario Lisma, il cugino Maurizio Setti di Lorenzo Frediani, e il prelato di Franco Ravera – rende chiari quei caratteri umani e il subbuglio interiore che li anima. Fino alla scena conclusiva, da lieto fine, quando Anna e Baldovino, tenendosi per mano, saltano dal palcoscenico e attraversano la platea correndo. Verso una nuova vita.
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