Nel raffinato atelier Nonostantemarras, sempre pieno di lucine anche lontano dal periodo natalizio, dopo un bicchiere di vino frizzante le maschere conducono nella sala che viene aperta per le occasioni speciali, più grezza, industriale in cui si vedono ancora i segni della sua vita precedente: ora è la potenza della serata (e degli stylist) che trasforma ogni volta l’atmosfera. Le poltrone guardano la porta d’ingresso. Federica Fracassi entra e chiude dietro di sé la porta vetrata. Una Dora Maar elegantissima, algida e passionale al tempo stesso, in lungo abito nero di tulle, con una profonda scollatura e un intreccio di trasparenze, con un soprabito smanicato e fascetta sulla fronte, tutto targato Marras. Molto lontana dal ritratto verde e spigoloso alla quale Picasso ha condannato per la Storia l’immagine della sua musa.
Henriette Theodora Marković è il nome di battesimo della fotografa di origini croate che ha passato l’adolescenza tra Parigi e Buenos Aires. Ha conosciuto sul suo corpo le grandi correnti e rivoluzioni del secolo breve: amante di Louis Chavance, George Battaille, Paul Eluard, Jaques Lacan, ma rimane nota soprattutto come “la donna che piange” ritratta e amata da Picasso:
L’ho conosciuta da bambina, nei suoi ritratti che mi impressionavano così tanto – duri verdi spigolosi come cocci di vetro, gli spilloni negli occhi, le lacrime.
Ci portavano, a noi scolari con le divise blu, cresciuti nella Spagna ancora per pochi anni del generalisimo Franco, in visita ai musei dove di Dora, sempre, c’era traccia. Non vi sto a dire perché, non è che ancora io stessa lo sappia, ma di tutte le figure di donna magnifiche, opulente, rosa e bianche, esili invece, emaciate e di certo per questo disperate, le donne di Rubens, le donne di El Greco, io nel mio grembiule pensavo che tutte le altre erano figure, dipinti. Dora invece era una donna davvero, una persona.
La descrive così Concita De Gregorio all’inizio di Dora Pro Nobis, monologo tratto dal racconto con tracce di autobiografia Malamore. La luce in sala è forte, anche perché rimbalza dai numerosi specchi su un muro. In una lettura passionale e concitata, Federica Fracassi ci fa percorrere i quasi cento anni di vita della sua eroina, messi in ombra dal rapporto con l’artista: Lamberto Curtoni che accompagna il testo con il suo violoncello, diventa la voce del pittore spagnolo, in un dialogo sonoro ma senza parole, in cui le emozioni hanno il sopravvento alla razionalità. L’amore e il suo dolore si rivelano con tutta la loro forza nel racconto di una profonda solitudine.
Tutti pensavano che mi sarei uccisa dopo il suo abbandono. Anche Picasso se lo aspettava. Il motivo principale per non farlo fu privarlo di questa soddisfazione. Non mi sono uccisa perché ero certa che lui fosse certo che lo avrei fatto. È stata la mia ultima parola, in un certo senso. Vivere ancora. Sopravvivergli.
È forse proprio la sua voglia di vita ad aver irritato Shakeel Massey, che pochi giorni fa in un raptus ha strappato la tela esposta alla Tate di Londra, nella più grande retrospettiva dedicata all’amante di Picasso.
Federica Fracassi si misura con un testo difficile, che rischia in più punti la banalità della tormentata storia d’amore. Ma riesce a trasportarci in un’altra epoca, in un altro tempo, quando le donne riescono a reagire, decidono la loro solitudine senza rammarico, affermano una identità che non dipende da un uomo, nemmeno se geniale. In una magistrale interpretazione attoriale, Fracassi mostra la femminilità, l’erotismo e l’umanità di Dora Maar, facendoci dimenticare i ritratti picassiani e liberandola dal cliché nel quale era intrappolata, presentandoci un’altra possibilità di riscatto e di memoria.
Testi tratti da Dora Pro Nobis, Concita de Gregorio.
Spettacolo visto a Nonostantemarras, 12 dicembre 2019
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