Come parlare del presente, raccontando del passato, proiettandoci in un mondo futuro. Reale e distopico. È quanto fa lo spettacolo Confini affrontando temi importanti: le migrazioni di ieri, di oggi e di domani, con uno sguardo che abbraccia la storia dell’Unione europea, attraversando un secolo di rivoluzioni industriali, politiche, guerre e crisi economiche, facendosi monito sull’emergenza climatica e l’avvenire dell’umanità sulla Terra. Argomenti ancor più stringenti oggi che viviamo la globale emergenza sanitaria dovuta alla pandemia, le chiusure dei confini tra un Paese e l’altro, e le conseguenze derivate da paure e discriminazioni. Opera alquanto impegnativa, per il lavoro di ricerca e di scrittura, Confini è da inscrivere in quel genere di teatro-documentario che traccia solchi profondi nella memoria del consorzio umano utile a ravvivare le menti e i processi storici, per comprendere meglio da dove veniamo e dove andiamo. Ideatori e registi del progetto (iniziato nel 2018 e sviluppato nei due anni successivi attraverso numerose residenze in Italia e in Lussemburgo) sono Davide Sacco e Agata Tomšič della compagnia ravennate ErosAntEros e l’italo-lussemburghese Ian De Toffoli autore del testo. La scena si apre con uno sguardo retrospettivo che ci giunge dallo spazio stellare, un luogo ancora inesistente, ai confini di una galassia, in un futuro indefinito.
Due “Donne del futuro”, sorta di corifee in tute argentate, disposte davanti a delle lastre metalliche – navicelle spaziali o porte di passaggio verso un altrove – e ai lati di un oblò centrale che è schermo per proiezioni di immagini, ci guidano nella lunga cronaca della storia europea. Le pensiamo provenienti da uno spazio lontano, atterrate tra le rovine di un mondo ormai disabitato, intente a decifrare e leggere il libro della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ritrovata tra le macerie. All’apparizione di un “Presidente del futuro” col suo discorso che annuncia il tempo, finalmente, della ricostruzione dopo quello del disastro e degli sconvolgimenti, seguiranno, alternativamente inframezzati, i discorsi di personaggi come Winston Churchill, Robert Schuman, Paul-Henri Spaak, Denis de Rougemont, padri fondatori dell’Unione europea.
A rendere questa più umana, calata nel vissuto, sono le storie reali di tre personaggi che entrano ed escono di scena calandosi nei panni di emigranti del secolo scorso. Sono gli “uomini del ferro”, lavoratori italiani partiti per andare a lavorare nei bacini minerari dei Paesi del Nord, dopo gli accordi bilaterali con l’Italia e dopo il primo del 1948 con il Lussemburgo. Queste figure di gente comune e di operai (gli attori Hervé Goffings, Sanders Lorena, Djibril Mbaye), determinati e desiderosi di riscattarsi dalla povertà, figli che hanno seguito le orme dei padri, ci portano dentro la dimensione del viaggio anche come presa di coscienza della vita. Sono i rappresentanti di quell’esercito di immigrati partiti per affrontare un soggiorno temporaneo e prolungato che, per molti si è trasformato in definitivo. Nei racconti emergono il tema dello sfruttamento, la vita difficile nelle baracche delle fabbriche, tutte uguali, nelle case dopo, gli atteggiamenti razziali nei confronti degli immigrati, lo strascico del periodo bellico.
Le citazioni, i riferimenti storici, la recitazione straniante delle donne (le attrici Emanuela Villagrossa e Agata Tomšič), gli intrecci dei monologhi, le incursioni video, sono tutte sullo sfondo di un’ambientazione sonora astratta, siderale, con in mezzo suoni metallici che richiamano il lavoro delle acciaierie, e nella quale si insinua il motivo musicale dell’Inno alla gioia dalla Nona Sinfonia di Beethoven, diventato l’inno europeo. Non mancano riferimenti e discorsi di personaggi della scena europea più recente, come Jean-Claude Junker o Ursula von der Leyen, e ulteriori interventi in video affidati all’attore poliglotta Marco Lorenzini, che interpreta i diversi personaggi alterando grottescamente la sua fisionomia facciale e i toni recitativi. Insomma, c’è tanta materia. Ed è forse troppo per uno spettacolo che si rivela infine didascalico e piuttosto datato nella riproposizione di uno stile di rappresentazione teatrale caratterizzato (e penalizzato) da una frontalità scenica statica e da una drammaturgia fondamentalmente illustrativa e cronachistica. In questa, la ricostruzione storica ha tuttavia il pregio di metterci come davanti ad uno specchio che ci rimanda e riporta alla nostra immagine remota, di un altro ieri che abbiamo dimenticato e che invece perdura e resiste e persiste nonostante tutto.
Dopo il debutto il 3 luglio a Campania Teatro Festival, è andato in scena al Teatro Alighieri per il Ravenna Festival. Produzione Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse, TNL – Théâtre National du Luxembourg, Ravenna Festival, ErosAntEros – POLIS Teatro Festival.
La Galleria Alberta Pane, 193 Gallery, Spazio Penini e Galleria 10 & zero uno sono quattro delle voci che animano…
Si intitola “Lee and LEE” e avrà luogo a gennaio in New Bond Street, negli spazi londinesi della casa d’aste.…
Un'artista tanto delicata nei modi, quanto sicura del proprio modo d'intendere la pittura. Floss arriva a Genova in tutte le…
10 Corso Como continua il suo focus sui creativi dell'arte, del design e della moda con "Andrea Branzi. Civilizations without…
Tra progetti ad alta quota e una mostra diffusa di Maurizio Cattelan, il programma del 2025 della Gamec si estenderà…
Lo spazio extra del museo MAXXI di Roma ospita un progetto espositivo che celebra la storia della Nutella, icona del…