Scritta durante la crisi argentina, nel 2002, all’epoca sull’orlo di una bancarotta, Il panico, testo dell’autore, attore e regista Rafael Spegelburd, è un’istantanea di una condizione di precarietà che riguarda tutti ancora oggi. Fa parte dell’Eptalogia di Hieronymus Bosch, un corpus di opere ispirate al quadro dei Sette peccati capitali del pittore olandese. Tradotto in Italia da Manuela Cherubini alla quale si deve la scoperta del geniale drammaturgo – capace di far convivere generi teatrali e drammaturgici diversi, tradizione e sperimentazione di scrittura, tematiche contrapposte -, e messo in scena, per primo, da Luca Ronconi, è oggi il Teatro Stabile di Torino a riproporlo felicemente con la intrigante regia di Jurij Ferrini, anche protagonista, e un cast di attori perfetti (debutto al Teatro Gobetti di Torino).
Denso di battute brevi, di lunghi soliloqui sulla vita e la morte, di dialoghi privi di senso, esternazioni tutt’altro che educate, Il panico intreccia le storie di una stramba famiglia allo sfascio mettendo in luce i peggiori vizi e le manie della nostra società, generando situazioni grottesche, tragicomiche, e molto equivoche. Il testo ha molteplici piani narrativi che certamente ingarbugliano lo svolgimento della trama. Ma che godimento stare dentro questa assurda vicenda, seguire le azioni dei personaggi, l’accavallarsi delle storie che ognuno introduce, catturati dalla loro personalità, dall’uragano di parole, di cambi di registro, di sbieche posture, per arrivare infine a comporre il ritratto di un nucleo famigliare sgangherato, animato da un crescente, e contagioso, “panico”! Ovvero, secondo il dizionario, quella “reazione, individuale o collettiva, che invade improvvisamente di fronte a un pericolo reale o immaginario, togliendo la capacità di riflessione e spingendo alla fuga o ad atti inconsulti”.
Il plot ruota attorno alla chiave introvabile di una cassetta di sicurezza della banca, a un morto che non sa di esserlo, e a dei vivi così impegnati in troppe cose da non rendersi conto di quel che accade realmente. Una vicenda in cui la vita e la morte si incontrano e si scontrano. Tutto si svolge dentro l’appartamento – infestato dagli spiriti – pronto per essere affittato dopo la morte del capofamiglia, i cui componenti, in lutto, sono impegnati alla ricerca disperata di una chiave che apra la cassetta contenente i soldi del defunto, ricerca resa necessaria dalla predizione della crisi imminente e del crollo delle banche.
La madre, ora troppo asfissiante, ora del tutto assente con i figli, è totalmente incapace di relazionarsi con loro. Il marito era in realtà il figlio adottivo di questa, e la scoperta improvvisa scardina ulteriormente i legami affettivi già precari. La figlia, col sogno di ballerina, partecipa alle prove di uno spettacolo completamente privo di senso; e il fratello, vittima delle due donne, si scopre sessualmente confuso e cerca conferme in una sensitiva che in realtà lo porterà a smarrire totalmente la sua identità sessuale. Nel calderone compaiono anche una agente immobiliare, una medium del paranormale, un psicoterapeuta, un’agente penitenziaria, una funzionaria di banca, una coreografa, un travestito, mentre qua e là compare di tanto in tanto il fantasma del capofamiglia. Insomma, un gioco al massacro in cui morti e vivi si sfiorano senza mai riconoscersi.
Dentro la scena di un interno domestico che riprende i colori e, vagamente, la struttura del quartiere La Boca di Buenos Aires (scenografia di Anna Varaldo), il ritmo e l’ambientazione che Ferrini imprime alla commedia allegramente dark, con il buio che intervalla le varie sequenze, è da sit-com, una telenovela dal meccanismo a orologeria con entrate e uscite dai tempi perfetti, e con una tensione sempre viva sostenuta dalla magnifica squadra composta da, oltre allo stesso Ferrini, Arianna Scommegna, Michele Puleio, Simona Bordasco, Roberta Calia, Lucia Limonta, Elisabetta Mazzullo, Viola Marietti, Francesca Osso, Dalila Reas.
E la chiave in questione che fine avrà fatto? Sbadatamente vista e buttata nella spazzatura, ritrovata e non più riconosciuta, allude, oggetto simbolo, a qualcosa che ci riguarda. Ognuno cerca la propria chiave accorgendosi appena di chi gli sta vicino. Cosa abbiamo perduto e cercato?
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