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Il teatro in carcere, e l’esperienza di Volterra: intervista ad Armando Punzo
Arti performative
di Milene Mucci
Nel 1988 Armando Punzo, regista, drammaturgo e attore, varca il cancello del Carcere di Volterra e fonda, insieme alla associazione Carte Blanche, la Compagnia della Fortezza, prima esperienza di teatro in un istituto penitenziario. Questo l’incipit di un racconto ormai lungo trent’anni diventato una esperienza di teatro in carcere che ha travalicato la sua stessa primigenia natura diventando un luogo di arte teatrale di altissima avanguardia.
Caposaldo ormai consolidato di una ricerca artistica, culturale ed emotiva della condizione umana di altissimo livello.
Incontriamo Punzo alla fine dell’ultimo lavoro della Compagnia della Fortezza.
Questo “Naturae22 la valle della Permanenza” che chiude otto anni di un ciclo in cui con i suoi attori attraverso Shakespeare o Borges ha attraversato valli ed cammini della natura umana arrivando oggi, come scrive l’autore, “…al suo ultimo atto, raggiungendo la più difficile delle valli, quella della Permanenza. Ultimo capitolo, la rivelazione, la riscoperta in noi di qualità dimenticate, negate, soppresse”.
Ricerca in cui l’homo sapiens è solo una fase per arrivare a guadagnarci l’homo felix, ricominciando a sognare un nuovo uomo e imporlo alla realtà. Ecco, questa la spiegazione didascalica ma la Compagnia della Fortezza ed il lavoro di Armando Punzo sono decisamente difficili da descrivere solo a parole perché vivono completamente del nostro essere dell’essere stati lì, in quel cortile del Carcere della Fortezza Medicea di Volterra che ogni volta muta, almeno una volta nella nostra vita.
Il lavoro di Punzo,infatti, si alimenta delle emozioni più forti che ci colgono in quel luogo, delle domande sorprendenti che ci pone mentre la meraviglia di quello che accade davanti ai nostri occhi si ripete.
In quel palcoscenico unico al mondo di trentasei metri per undici che è il cortile dell’ora d’aria del carcere che si trasforma ogni volta creando un mondo nuovo per coloro che assistono attoniti e sempre,ogni volta, profondamente commossi. Incontriamo Punzo alla fine dello spettacolo e chiedendogli in primis come racconterebbe questi trenta e più anni con la Compagnia della Fortezza a chi non la conoscesse?
“È difficile rispondere brevemente a questo – risponde – Io per raccontarlo e fare il punto ho dovuto concentrarlo in un libro, “Un’idea più grande di me “ che narra questi trenta anni di lavoro, partendo dalle origini. Sono entrato nel carcere nel 1988 e la base di tutto è che io sono entrato per fare teatro, vedendo il carcere come luogo di metafora per il mio teatro. Mi interessava l’idea della prigione ma non tanto la prigione legata alla attualità ma quanto davvero come metafora. Mi interessava fare leva su questo luogo della realtà per porre delle domande su cosa sia la natura umana, la sua libertà. Quanto sono prigioniero io, quanto siamo prigionieri noi. E questa domanda è quella che ancora mi interessa oggi ed è il motivo per cui ancora sono qui”.
Punzo ha lo sguardo sereno di un bambino, l’abbiamo visto muoversi durante lo spettacolo come sempre ieratico, carismatico ed elegante insieme ai suoi attori ma, questa volta, con un sorriso sul volto durante l’intera rappresentazione e , forse, non è un caso dato che Naturae 22 racconta di speranza, di Homo Felix come traguardo da raggiungere.
Una provocazione forte oggi. Cosa significa, chiediamo. Un volerci ricordare che siamo il nostro passato ma anche miriadi di possibilità future?
“Io penso che il luogo cosi potente, il carcere, sia dentro di noi. Che la prigione è dentro di noi. Siamo noi che riconosciamo le nostre prigioni, i nostri limiti, le nostre paure, tutto ciò che ci blocca che ci ferma. Chiaro è che esiste la prigione reale che è fatta di altre storie ma, seguendo la metafora, non possiamo che partire da noi stessi. Questa prigione che abbiamo dentro deve rendersi visibile, dobbiamo renderci consapevoli di questa perché questo è il vero senso di questo lavoro. Se noi riconosciamo di essere consapevoli di questo cosa mai potremmo arrivare a fare per affrancarci da questo?” Cosa sarebbe possibile fare? – prosegue Punzo – Purtroppo oggi sembra che non ci siano più queste domande in giro. Sembra che questi siano discorsi utopici o sì interessanti ma, alla fine, un gioco senza concretezza perché la Vita è dura, la realtà è altra e pare che ci si debba confrontare solo con questa realtà. Io credo, invece, che questo sia una fuga rispetto alla responsabilità di mettersi in gioco, in discussione veramente. Da questa considerazione nasce il lavoro di questi ultimi otto anni. Quello che è importante è cosa possiamo fare oggi. Con i miei attori io dico che siamo qui e stiamo facendo teatro. Io non parto da loro non come detenuti ma dal loro potenziale, da cosa possiamo fare insieme”
Quest’anno lo spettacolo della Compagnia della Fortezza ha avuto repliche a Lajatico, al Teatro del Silenzio di Bocelli ma anche alle Saline di Volterra con un notevole lavoro di riadattamento dato che nasce pensato per un luogo, il cortile del carcere della imponente struttura medicea, che è un palcoscenico enorme e difficilmente replicabile.
”Certo e questo è un aspetto tecnico, anche interessante da approfondire se si vuole” risponde Punzo. “Ma il fatto del mio spingere l’acceleratore su altri luoghi non è il senso di una tournè, quanto il voler rafforzare l’esigenza di far capire che è teatro , che noi siamo li per il teatro ed è propria del teatro anche la possibilità si spostarsi. Io ho usato il Teatro sempre come un grimaldello per “aprire”. Modificando mentalità o spazi perché è questo che il teatro riesce a fare. Trasformando luoghi, rivoluzionandoli, portandovi il suo linguaggio, le sue potenzialità, le sue storie e lì ha, ovviamente, la sua forza”.
Così che, questa volta per Naturae il cortile del carcere è diventato un enorme foglio a quadretti bianco e nero, dove passano personaggi che rimandano ai lavori precedenti insieme a quadri viventi nuovi. Dove il bianco abbagliante si illumina di colori forti, libri, figure, specchi,movimenti eleganti di uomini che danzano come dervisci insieme alle loro gabbie ora leggere ora pesantissime in un viaggio poetico che, dentro di noi, si completa con lo sguardo che si alza verso l’alto, verso quel pezzo di cielo libero ma racchiuso dai torrioni antichi.
“Ci è dato sognare sapendo di sognare – recita la voce fuori campo durante lo spettacolo – la nostalgia per una vita non vissuta. Un viaggio nell’Uomo, nelle pene, nelle speranze.
Commozione è bellezza che si dispiega. Si può provare gioia? Si. Come un presente parallelo che ricrea la Vita, spazio di infinite possibilità”
Chiediamo ancora a Punzo se in questo suo teatro dalle fondamenta colte e sempre estremamente ricche di suggestioni e di rimandi sia necessario cercare di capire con la ragione interpretando quello che passa davanti al nostro sguardo o se sia meglio il solo lasciarsi andare alle emozioni, sentendo quello che arriva, rispondendo solo ed unicamente al proprio privatissimo intimo ed intenso, emozionarsi.
“Io credo – risponde Punzo – che ad ognuno arrivi qualcosa e che ad ognuno arrivi quello che emoziona profondamente. Certo c’è l’approccio analitico della comprensione ovviamente ma io privilegio altri aspetti. La parte analitica la usiamo tutti i giorni.
Per me è interessante l’aspetto spiazzante. Vedere qualcosa che piace, qualcosa che affascina ma non sai perché. La mia intenzione è far porre domande alle persone”.
“Nel futuro vedo disegnata una strada che mi corre incontro-prosegue la voce fuori campo – una strada che mi corre incontro con occhi scintillanti. Il mio viaggio è di altro tipo,cerca la profondità”.
È in questa sfida ad ogni possibile razionale convinzione, ad una realtà che parrebbe indicare oggi solo strade predefinite e prive di ogni immaginazione, fantasia la pura Bellezza pura del lavoro di Armando Punzo e della sua Compagnia della Fortezza.
In questo suo cercare di spingerci sempre “oltre” e altrove, in luoghi nuovi, territori inesplorati del nostro emozionato e stupefacente essere, dove neanche avremmo mai saputo di volere o potere arrivare.