L'avventuriero
In Scena è la rubrica dedicata agli spettacoli dal vivo in programmazione sui palchi di tutta Italia: ecco la nostra selezione della settimana, dal 17 al 23 marzo.
Prima assoluta al Teatro Due di Parma, e per la prima volta in Italia, de L’avventuriero di Aphra Behn (1640-1689), prima autrice professionista delle lettere anglosassoni. Libera e audace in un mondo misogino e impreparato a tanta emancipazione intellettuale, Behn è stata pioniera e regina della letteratura inglese. Dedita “al piacere e alla poesia” ha scritto e pubblicato commedie, opere in prosa e poesie, tutte contraddistinte da grande innovazione e che affrontano erotismo e sessualità in maniera raffinatamente schietta e spregiudicata. Confinata, dopo la sua morte, ai margini del canone letterario perchè bollata come figura immorale, è stata riscoperta grazie a Virginia Woolf e poi rivalutata definitivamente dalla critica femminista degli anni ’70, che ne ha illuminato la scrittura pionieristica e l’originale prospettiva protofemminista.
I temi centrali della poetica di Behn esplodono gioiosamente nella sua commedia più nota, L’avventuriero. Ambientato nella Napoli spagnola di metà Seicento durante il carnevale, è la storia di smanie del corpo e trasalimenti della mente, dove la tradizionale trama basata su seduzione, amore e matrimonio viene rielaborata in modo originalissimo, mettendo in discussione l’ideologia libertina e la morale sessuale.
L’avventuriero è il vertice teatrale della produzione di Behn, sensibile scandagliatrice di una nuova consapevolezza del corpo, del linguaggio, del ruolo culturale e sociale della Donna nell’Inghilterra nuovamente monarchica e gaudentemente libertina, dopo la parentesi repubblicana e puritana di Oliver Cromwell.
“L’avventuriero”, di Aphra Behn, traduzione Luca Scarlini, regia Giacomo Giuntini, con Massimiliano Aceti, Valentina Banci, Cristina Cattellani, Luca Cicolella, Laura Cleri, Rosario D’Aniello, Irene Paloma Jona, Davide Gagliardini, Viviana Giustino, Stefano Guerrieri, Francesco Lanfranchi, Lucia Lavia, Nicola Lorusso, Luca Nucera, Salvo Pappalardo, Giovanna Chiara Pasini, Massimiliano Sbarsi, Francesca Tripaldi, costumi Andrea Sorrentino, luci Luca Bronzo. Produzione Fondazione Teatro Due. A Parma, Teatro Due, dal 12 al 30 marzo.
Un impietoso viaggio nell’amarezza di un fallimento senza riscatto, di un attore famoso, ormai in declino, una moglie vittima della dipendenza da oppiacei, due figli in lotta con i propri demoni. È Lungo viaggio verso la notte, il più autobiografico dramma del drammaturgo statunitense Eugene O’Neill. Scritto tra il 1941 e il 1942, fu rappresentato per la prima volta a Stoccolma nel 1956 e vinse il Premio Pulitzer l’anno successivo, dopo la morte dell’autore.
Ambientato nel 1912, il dramma, racconta una giornata della famiglia Tyrone, tra conflitti, dipendenze e segreti dolorosi. Scrive Gabriele Lavia nelle sue note di regia: «H Long Day’s Journey into Night è il titolo che dà alla sua opera centrale, alla sua opera-confessione. (Il padre di O’Neill era stato un attore di grande successo, come il protagonista della sua opera teatrale). La casa-prigione della “famigliaccia” che O’Neill ci racconta, in fondo, è proprio casa sua. E qui sta il cammino tortuoso di una possibile messa-in-scena-viaggio di quest’opera, davvero amara, scritta da O’Neill ormai vicino alla morte per fare “un viaggio all’indietro” nella sua vita. Un viaggio impietoso dentro l’amarezza di un fallimento senza riscatto. Le vite degli uomini sono fatte di tenerezza e violenza. Di amore e disprezzo. Comprensione e rigetto. Di famiglia e della sua rovina».
“Lungo viaggio verso la notte”, di Eugene O’Neill, con Gabriele Lavia e Federica de Martino, e con Jacopo Venturiero Ian Gualdani Beatrice Ceccherini scene Alessandro Camera, costumi Andrea Viotti, musiche Andrea Nicolini, luci Giuseppe Filipponio, suono Riccardo Benassi. Produzione Effimera, Teatro della Toscana. A Milano, Piccolo Teatro Strehler, dal 18 al 30 marzo; a Imola, Ebe Stignani, dall’1 al 6 aprile; a Udine, Nuovo Giovanni da Udine, dal 7 al 9; a Pavia, Teatro Fraschini, dall’11 al 13.
Un re che per diventare tale ha dovuto eliminare tutti i possibili rivali; un attore che finalmente ha ottenuto il ruolo della vita. Un monologo che è un’originale “variazione sul tema” di Riccardo III, in cui i confini tra epoche e identità si fanno labili, sullo sfondo di una stessa realtà di ambizione, sete di potere, violenza repressa.
Classe 1982, cofondatore, nel 2005, in Uruguay, della compagnia Complot – con cui ha creato una trentina di spettacoli – Gabriel Calderón è per la prima volta al Piccolo di Milano, dal 14 marzo al 6 aprile, sul palco del Teatro Studio Melato, per dirigere la produzione in lingua italiana di un suo lavoro di successo, Storia di un cinghiale. Qualcosa su Riccardo III, protagonista Francesco Montanari. I
spirato al capolavoro di Shakespeare, il testo racconta la vicenda di un attore di teatro che non ha mai avuto la soddisfazione di interpretare un ruolo da protagonista. Ora che finalmente è arrivato il suo momento, desidera sfruttare al meglio l’opportunità. A poco a poco, si accorge di un’inquietante affinità tra la sua vita e quella del personaggio: ambizione, rabbia repressa, sete di riscatto, opportunismo… Interpretandone il celebre monologo, ritrova in se stesso i lati oscuri del sovrano di York.
Da vent’anni impegnato sui palcoscenici del mondo, Calderón ci parla dei pericoli del palcoscenico, teatro di passioni violente, non sempre soltanto simulate.
Lo spettacolo si ispira alla vicenda di Billy Milligan, protagonista di uno dei più controversi procedimenti giudiziari della storia americana. Alla fine degli anni ’70, Milligan fu accusato di aver rapito, stuprato e rapinato tre studentesse. Durante il processo emerse un elemento senza precedenti: il giovane ospitava dentro di sé 24 personalità diverse. La sua condizione lo portò a essere il primo imputato nella storia degli Stati Uniti a essere dichiarato non colpevole per infermità mentale dovuta a un disturbo dissociativo della personalità, dando il via a un acceso dibattito tra giustizia, psichiatria e opinione pubblica.
«Da molti anni coltivavo la fantasia di sviluppare uno spettacolo su questo caso – afferma il regista Fausto Cabra – ma volevo che fosse più di un semplice racconto giudiziario. Ho chiesto quindi a Gianni Forte di trasformarlo in un viaggio più ampio sull’identità, la finzione, l’auto-menzogna e il processo di liberazione dal trauma».
La messinscena si sviluppa come un flusso continuo di piani narrativi sovrapposti, riflettendo la frammentazione mentale del protagonista. In uno spazio scenico in cui i confini tra sogno, ricordo e presente si dissolvono, il palcoscenico diventa un luogo fluido, un territorio mutevole dove le certezze si sgretolano e la narrazione assume la forma di un mosaico da decifrare. Questo gioco di sovrapposizioni si riflette nella drammaturgia di Forte, che costruisce la storia intrecciando tre livelli narrativi distinti ma intrecciati tra loro.
Nel ruolo di Milligan, Raffaele Esposito si immerge in un vortice di trasformazioni, dando corpo e voce ad alcune delle molteplici identità del protagonista. Attraverso un continuo passaggio da un’identità all’altra, si trasforma con un’abilità camaleontica, capace di esaltare e restituire tutta la complessità del personaggio.
“Schegge di memoria disordinata a inchiostro policromo”, uno spettacolo di Fausto Cabra drammaturgia Gianni Forte, con Raffaele Esposito, Anna Gualdo, Elena Gigliotti scene Stefano Zullo drammaturgia luminosa Martino Minzoni, costumi Eleonora Rossi, musiche e drammaturgia sonora Mimosa Campironi. Produzione Teatro Franco Parenti. A Milano, Teatro Franco Parenti, dal 18 marzo al 13 aprile.
Due artisti si trovano a vivere in un’Italia cambiata, in cui i loro «spettacolini di sinistra» non hanno più spazio. Per sopravvivere in un mondo in cui «hanno vinto loro» e non sapendo fare altro nella vita se non teatro, l’unica soluzione che vedono è quella di diventare artisti di destra. A provarci con Uno Spettacolo Italiano sono Niccolò Fettarappa, attore e autore, e Nicola Borghesi, co-fondatore della compagnia Kepler-452.
«Spazi, case, televisioni e piazze – affermano gli autori – hanno i loro colori. E noi, sempre più sbiaditi. / Se non puoi batterli, e non possiamo, unisciti a loro. Loro sono la maggioranza. E forse un motivo c’è. / Nel mondo della cultura c’è bisogno di una nuova classe dirigente. E noi siamo pronti. Dove c’è discordia, porteremo armonia. Dove c’è errore, porteremo verità. Dove c’è dubbio, porteremo fede. Dove c’è angoscia, porteremo speranza. Questo è uno spettacolo di destra. Siamo Nicola e Niccolò e siamo pronti a rinnegare tutto, siamo pronti a salire sul carro dei vincitori. E non faremo prigionieri».
I due artisti si informano, studiano, immaginano e fantasticano su che cosa significhi “destra”, su quali siano i suoi confini. Fettarappa prende spunto da uno dei primi provvedimenti presi dal Governo, la così detta “norma anti-rave” e si chiede perché vietare proprio questo tipo di raduni. Nel cercare di capire il disegno nascosto dietro questa legge, Fettarappa si accorge di iniziare a pensare come un politico di destra.
“Uno Spettacolo Italiano”, un progetto di Niccolò Fettarappa e Nicola Borghesi, drammaturgia, regia e interpreti Niccolò Fettarappa e Nicola Borghesi. Produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Agidi, Sardegna Teatro. A Bologna, Arena del Sole, dal 18 al 30 marzo.
Tra gli spettacoli di teatro nell’ambito della seconda edizione di SOUL Festival di Spiritualità -promosso da Università Cattolica del Sacro Cuore e Arcidiocesi di Milano, che quest’anno esplorerà il tema “Fiducia, la trama del noi” con oltre 90 protagonisti dal mondo della letteratura, della scienza, della politica, dell’economia, del teatro, della cultura e delle tradizioni religiose e spirituali-, in programma, il 19 marzo, al Teatro Franco Parenti, La strada, con Luigi Lo Cascio che legge il capolavoro del premio Pulitzer Cormac McCarthy.
Un uomo e un bambino, padre e figlio, percorrono strade di cenere attraverso un paesaggio esausto. Sono l’uno il mondo intero dell’altro, tenacemente in viaggio verso la costa, dove li attende un mare che forse è ancora blu. A guidarli, la convinzione di essere i buoni, quelli che “portano il fuoco” in un universo da cui è stata bandita ogni altra luce.
Il 23 marzo, al Piccolo Teatro Grassi, Lino Guanciale racconta La fiducia nel denaro: la rocambolesca storia di John Law. L’attore ripercorre la rocambolesca parabola del finanziere John Law, l’uomo geniale e spregiudicato che all’inizio del ‘700 mandò in bancarotta la Francia di Filippo d’Orleans. Un’avventura fatta di passioni, scalate clamorose e rovinose cadute, che mostra come nella finanza rischio e fiducia siano intrecciati secondo un delicato equilibrio: quando l’uno diventa azzardo speculativo e l’altra degenera in illusoria creduloneria, l’esito è inevitabile. Molte recenti vicende stanno a dimostrare la persistente attualità di questa lezione.
Terza tappa di un progetto che comprende gli spettacoli Tiresias e Guida immaginaria, Lemnos prende le mosse da una riflessione sul mito di Filottete, confrontandosi con l’omonima tragedia di Sofocle e con le vicende biografiche, i diari, le poesie, i racconti delle tante persone antifasciste greche che vennero confinate, torturate, uccise in Grecia dal 1946 al 1974.
Il poeta Ghiannis Ritsos (confinato più volte) e con lui molti uomini e donne della letteratura e del teatro greco vissero l’esperienza della tortura reiterata ma, contemporaneamente, riuscirono in quel confino a fare teatro, riscrivendo proprio delle tragedie. Negli anni ’60, quando in Europa la riscrittura del mito diveniva un gesto politico e di rivolta per un nuovo teatro nascente, qualcuno faceva altrettanto in mezzo al Mar Egeo. Ma nessuno lo sa.
Lemnos nasce da scoperte e risonanze con il presente, da viaggi alla scoperta di quei luoghi, da incontri e interviste. Da diari scritti nei mesi di lavoro. Il mito narra che Ulisse e il giovane Neottolemo tornino a Lemnos, dove avevano abbandonato Filottete durante il viaggio verso Troia, per sottrargli con l’inganno l’arco donatogli da Eracle, senza il quale la guerra di Troia non avrebbe potuto essere vinta. Alla fine, però, la rivoluzione interiore di Neottolemo modificherà l’esito della storia.
Nello spettacolo creato da Giorgina Pi con alcuni interpreti storici della compagnia Bluemotion, Filottete ed Eracle sono due donne, due polarità che circondano i due diversi modelli maschili di Neottolemo e Ulisse.
“Lemno”, drammaturgia Giorgina Pi con Bluemotion, regia, video e scena Giorgina Pi, drammaturgo Massimo Fusillo, con Gaia Insenga, Giampiero Judica, Aurora Peres, Gabriele Portoghese, Alexia Sarantopoulou, ambiente sonoro Collettivo Angelo Mai, arrangiamenti e cura del suono Cristiano De Fabritiis, Valerio Vigliar, costumi Sandra Cardini | luciAndrea Gallo | colorista Alessio Morglia. Produzione Teatro Nazionale di Genova / ERT / TPE. A Roma, Angelo Mai, dal 19 al 23 marzo; a Jesi (An), il 26.
«Avrei potuto dire con Emily Dickinson: non ho mai visto una brughiera, non ho mai visto il mare. Eppure so com’è fatta l’erica, e come è fatta un’onda». Rachel Carson, nata nel 1907 in una fattoria della Pennsylvania, non aveva mai visto il mare fino a vent’anni, quando decise di specializzarsi in biologia marina. Fu l’inizio di una conoscenza profonda e di una grande passione, passione per il mare e per una scrittura nitida e poetica. Il mare attorno a noi, scritto come una biografia del mare, divenne un bestseller in tutto il mondo.
Ma Rachel Carson è nota soprattutto per il suo ultimo libro, Primavera silenziosa (1962). Al centro non più la meraviglia, ma la preoccupazione per il degrado dell’ambiente, del paesaggio, delle specie vegetali e animali. Un grido di allarme sullo stato dell’ambiente che scosse le coscienze in America e poi in tutto il mondo. Primavera silenziosa è stata una delle scintille che hanno acceso la nostra coscienza ecologica, oltre che un esempio di quale impatto possa avere la parola scritta, se arriva al posto giusto e nel momento giusto. Proprio come le onde del mare che tanto affascinavano Rachel.
Attraverso le voci della protagonista, della sua grande amica e forse amante Dorothy, dei suoi feroci critici, Laura Curino ricostruisce una delle figure più drammatiche e influenti del secolo scorso, a sessant’anni dalla sua scomparsa.
“Rachel Carson, la signora degli oceani”, di Massimiano Bucchi, con Laura Curino, regia Marco Rampoldi, scene Lucio Diana, costumi Agostino Porchietto, disegno luci Alessandro Bigatti. Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Tangram Teatro, Associazione Culturale Muse, in collaborazione con Festival Internazionale dell’Agricoltura Coltivato. A Torino, Teatro Gobetti, dal 18 al 23 marzo.
Il Centro S. Chiara di Trento è tra i coproduttori dello spettacolo Amour, acide et noix del coreografo canadese Daniel Levéillé. Quattro corpi abbandonati alla danza rivelano ciò che si è rifugiato dietro la pelle stranamente opaca: muscoli, acqua, respiro, energia, uno sguardo sulla vita, così vivo e consapevole dell’altro, nonostante o forse proprio per il bisogno di non essere completamente soli. Con Amour, acide et noix, il coreografo canadese Daniel Léveillé parla di solitudine ma anche e soprattutto dell’infinita tenerezza del tatto, della durezza della vita e del desiderio di evitare o fuggire da questi corpi, spesso così pesanti.
«Amour, acide et noix, è il peso della solitudine e il desiderio insopprimibile dell’altro. – spiega lo stesso Daniel Léveillé – È anche un’intensità di vita, particolare per i giovani ed estremamente acuta. La pelle, qui, costituisce il vero costume della danza. Infatti, la nudità rivela ciò che è nascosto sotto: una fragilità e un’infinita tenerezza, nonostante l’implacabile durezza della vita».
“Amour, acide et noix “, coreografia Daniel Léveillé, danzatori Lou Amsellem, Marco Arzenton, Marco Curci, Jimmy Gonzalez, luci Marc Parent; musiche Antonio Vivaldi “Le quattro stagioni”; direttore Justin Gionet. Produzione DLD, residenze Studio Cunningham, Montpellier Danse / l’Agora, cité internationale de la danse, avec le soutien de la Fondation BNP Paribas (France), Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento, coproduzione Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento + DLD (Canada). A Bolzano, Teatro Cristallo, 19 marzo; a Trento, Teatro SanbàPolis, il 21; a Pesaro, Teatro Sperimentale, il 23.
Per la nuova stagione di danza del festival Exister, promossa da DANCEHAUSpiù – Centro Nazionale di Produzione della Danza di Milano, grazie alla collaborazione tra MASDANZA – Festival Internazionale delle Isole Canarie – e DANCEHAUSpiù, sono ospiti delle due serate, il 22 e il 23 marzo, cinque delle compagnie di danza contemporanea partecipanti al MASDANZA Solo and Choreography Contest 2024.
Panoptico del greco Vasiliki Papapostolou, in arte Tarantism, esplora il conflitto interiore tra l’ego, il super-ego e il subconscio, evidenziando la tensione tra ordine e caos e il desiderio di controllo su una vita imprevedibile. Featherweight del coreografo coreano Kim Jiuk, si esprime come una figura barbarica – figure grezze senza ragione concentrate sulla religione, sulla mitologia e su oggetti e spazi simbolici. Le azioni e i movimenti dei danzatori si basano su un’immaginazione panteistica cosparsa di credenze.
Titre provisoire di Johana Malédon, coreografa e performer originaria della Guyana francese, è un assolo in fuga dall’identità, dalla definizione, dalle parole. Messo in scena con uno schermo interattivo sopra/sotto la dicitura – la sua “grande etichetta” – mette in discussione il nostro bisogno di definire tutto.
Il 23 marzo è in programma We shall meet in the place where there is no darkness, di Dario Wilmington e Selene Martello, una coreografia ispirata a 1984 di George Orwell, esplorando gli effetti del controllo totalitario e della manipolazione della verità. Segue Delicious overdose, ideazione e interpretazione di Alice Beatrice Carrino e Cristian Cucco, una metafora visionaria ed onirica di un percorso interiore.
Si apre il 17 marzo al Teatro Palladium – Università Roma Tre, con ingresso libero, la quarta edizione di Herencias – scritture di memoria e identità, un’immersione nella cultura ispanica attraverso un ciclo di performance teatrali e dialoghi sui processi di liberazione e di resistenza. A confronto i traumi del passato con un presente di discriminazione, violenza, emarginazione.
A inaugurare la rassegna saranno tre potenti performance: la mise en espace di Musica per Hitler di Yolanda García Serrano e Juan Carlos Rubio con la regia Luca Biagiotti, Sbandate di Laila Ripoll, il 18-19 marzo Sbandate di Laila Ripoll, diretto da Loredana Scaramella e con Mimosa Campironi, e, il 5 aprile, Il Circolo di Nona Fernández, regia di Alessia Oteri. Il programma della rassegna, basato su importanti testi teatrali ispanici tradotti in italiano, è curato da Simone Trecca.
L’appuntamento del 17 esplora il tema del coraggio e delle scelte etiche, come simbolo di resistenza morale contro il regime nazista. Saper dire di no, nonostante le possibili conseguenze, quando dire di sì rappresenterebbe un tradimento ai propri princìpi etici. Questo osò fare, nella Francia occupata dal Terzo Reich, Pau Casals, uno dei violoncellisti più eccelsi del Novecento, quando a chiedergli di esibirsi fu, per interposta persona, Adolf Hitler.
Serrano e Rubio riscattano un evento storico apparentemente secondario della vita del grande musicista e volgono i riflettori su una di quelle decisioni che più di altre qualificano chi le prende e che talvolta riassumono in sé il senso di una esistenza intera.
Un racconto corale, per immagini musicali su alcuni dei brani più iconici degli anni ’80. Ballade è questo, e molto altro: la creazione del coreografo e regista Mauro Bigonzetti per la MM Contemporary Dance Company omaggia un decennio che ha ormai perso i suoi confini temporali, ed è diventato simbolo di un’epoca. Lo spettacolo va in scena, il 22 marzo al Teatro Del Monaco di Treviso, assieme ad un secondo titolo, Elegia, a cura del coreografo Enrico Morelli.
Ballade, da Prince all’anarchica genialità di Frank Zappa, dalla poesia profonda di Leonard Cohen sino all’estetica punk ed esistenziale dei CCCP, trae anche ispirazione dallo scrittore Pier Vittorio Tondelli, una delle voci letterarie più significative dell’epoca. Elegia nasce intorno a Frédéric Chopin: tra una mazurka e un preludio domina la coreografia il secondo movimento del Concerto n.1 per pianoforte e orchestra in Mi minore. Un racconto di momenti e rapporti perduti, insieme alla ricerca, nella propria memoria, di immagini e paesaggi che ci erano familiari e di conforto. Un viaggio onirico per ritrovare il proprio essere ormai smarrito.
Al Teatro Basilica di Roma, il 18 e 19 marzo, va in scena A colpi d’ascia, Un’irritazione, di Thomas Bernhard, riduzione drammaturgica, regia e interpretazione di Marco Sgrosso, musiche dal vivo Cristiano Arcelli. Con la sua ironia spietata, Bernhard scandaglia miserie, perfidie e ipocrisie dell’ambiente artistico della sua amata e odiata Vienna, ma il livido quadro finale che emerge da questo vorticoso pamphlet non ha confini geografici.
Senza sconti per nessuno, letteralmente a colpi d’ascia, la sua penna implacabile traccia ritratti al vetriolo di artisti e intellettuali riuniti nell’atroce mondanità di una cena artistica come ad un festino di maschere grottesche, in cui falsità, invidie, cinismo e arroganza affiorano senza pudore e il tragico suicidio di una sfortunata amica comune diventa palcoscenico di orrende bassezze e ridicole vanità.
«… e intanto correvo, come fuggendo da un incubo – scriveva Bernhard – correvo, correvo sempre più velocemente… e pensavo, mentre correvo, che le persone che ho sempre odiato e odio adesso e sempre odierò le maledico ma non posso fare a meno di amarle…e mentre correvo pensavo su questa cena artistica io scriverò, pensavo…non importa che cosa, solo subito, pensavo, subito e immediatamente, prima che sia troppo tardi…».
Lo scontro tra cultura contadina e crudeltà imprenditoriale in uno spettacolo che ripercorre l’ascesa e il tramonto del capitalismo industriale in Italia. Nell’ambito di Materia Prima Festival presso Goldoni Spazio Eventi di Firenze, debutta il 22 marzo Il Macello, lavoro firmato dal duo under 35 Federico Mattioli e Stefano Donzelli, che si inserisce nel filone del teatro d’indagine raccontando il rapporto tra uomo, carne animale e lavoro. Basato su interviste con ex-lavoratori dei mattatoi emiliani e sulla storia familiare dello stesso Mattioli, è il frutto di un anno di ricerca su un luogo e un’attività censurati alla nostra vista. La violenza dell’uomo sull’animale è il tabù che, messo alla luce, rivela il lato violento della società che abitiamo.
«Raccontando le trasformazioni della nostra relazione con la carne – spiegano gli artisti – Il Macello mette a fuoco la cultura capitalistica italiana, le sue promesse ei suoi inganni». La vicenda è ambientata nell’Emilia degli anni ’60. Nani lavora nella tripperia di un macello e gestisce un negozio di alimentari con il fratello Domenico. Il suo sogno, però, è quello di diventare macellaio e ricomprare la casa contadina dove vivere con il nonno. Quando nel macello iniziano le lotte sindacali, Nani decide di schierarsi dalla parte del padrone, tradendo gli altri lavoratori. Sempre più isolato, Nani accetta lo sfruttamento e la violenza come parte della propria identità, rivolgendola non solo contro il corpo degli animali, ma anche verso le persone che più gli stanno vicino.
Il collettivo di coreografi Kor’sia presenta una rielaborazione esplosiva e minuziosa della tradizione della taranta: lo spettacolo debutta al teatro…
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Nata su impulso di Loretta Amadori, in collaborazione con Alberto Masacci, a Cesena nsce la Fondazione LAM per le Arti…