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In Scena è la rubrica dedicata agli spettacoli dal vivo in programmazione sui palchi di tutta Italia: ecco la nostra selezione della settimana, dal 2 all’8 dicembre.
Danza e teatro
Il Requiem di Angelin Preljocaj
Nella sua nuova coreografia REQUIEM(S) (al Teatro Comunale di Modena, il 4 dicembre, per la rassegna Danza Autunno) Angelin Preljocaj costruisce una serie di rituali immaginari che rimandano alla ricchezza di emozioni che ci attraversano quando perdiamo una persona cara. Nel suo progetto, danze rituali che spaziano dal dolore più profondo alla gioia dell’esistenza vogliono disinnescare i pericoli che minacciano la nostra ragione di fronte alla morte. Ad accompagnare i danzatori, un tessuto sonoro che copre mille anni di musica, dai canti medievali a György Ligeti, da Wolfgang Amadeus Mozart a Hildur Guonadóttir.
«Non volevo creare la coreografia di un requiem – spiega l’autore – come quello di Mozart, di Fauré o di Ligeti, ma proporre una struttura musicale eterogenea e aggiungervi delle creazioni sonore. Si tratta piuttosto di requiem(s) in coreografia, una processione di corpi per cercare di dare un’idea del mosaico di sentimenti provati dopo una perdita. Nel 2023 ho perduto mio padre, mia madre e molti amici cari. Queste circostanze hanno fatto emergere in me la voglia più profonda e remota di creare una coreografia sui sentimenti legati alla perdita dei nostri cari. Ne Le forme elementari della vita religiosa il sociologo Emile Durkheim mostra come la civiltà prenda corpo nei rituali della memoria. Il requiem segue questa derivazione e questa dimensione strutturante della nostra società e della nostra collettività».
Il Macbeth di Jacopo Gassmann
A incarnare la coppia più ambigua del teatro elisabettiano, Macbeth e Lady Macbeth, sono Roberto Latini e Lucrezia Guidone. Il regista Jacopo Gassmann rilegge la tragedia shakespeariana come il lungo viaggio di un uomo alle radici del male o come il progressivo inabissamento di una coscienza nel vasto e inesplorato territorio del rimosso.
«Macbeth è la storia di uno sguardo – scrive il regista – uno sguardo che vede troppo perché si è nutrito della “radice della follia”. La sua mente poderosa racchiude – come in un eterno corto circuito – passato, presente e futuro ed è questa stessa capacità di contenere e accelerare il tempo, di vedere e allucinare il futuro, varcando i confini del possibile e dell’impossibile che lo porterà, alla fine, alla sua stessa autodistruzione. In questo luogo metafisico (che tanto ricorda la “Zona” di Andrej Tarkovskij), abitato da proiezioni fantasmatiche, dove il tempo stesso può essere piegato e i desideri più sfrenati sembrano potersi avverare, è come se il protagonista compisse un percorso a ritroso nella propria vita. All’inizio del testo lo incontriamo all’apice della sua virilità – il guerriero più rispettato della Scozia, “prediletto del Valore” – e lentamente lo vedremo tornare bambino. Un bambino sperduto, con i capelli bianchi. Macbeth infatti è anche la storia di un trauma antico che attiene all’infanzia e che sembrerebbe avere origini nell’impossibilità dei due protagonisti (che Freud definiva parti complementari e inscindibili della stessa psiche) di poter procreare».
“Macbeth” di William Shakespeare, regia di Jacopo Gassmann, con Roberto Latini, Lucrezia Guidone, Gennaro Apicella, Riccardo Ciccarelli, Sergio Del Prete, Antonio Elia, Fabiana Fazio, Marcello Manzella, Nicola Pannelli, Olga Rossi, Michele Schiano di Cola, Paola Senatore; scene Gregorio Zurla, costumi Roberta Mattera, disegno luci Gianni Staropoli, disegno sonoro Daniele Piscicelli, video Alessandro Papa, movimenti Sara Lupoli. Produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, in coproduzione con Campania Teatro Festival – Fondazione Campania dei Festival. A Napoli, Teatro Mercadante, dal 4 al 15 dicembre.
Körperformer, una settimana di danza contemporanea
Per la stagione 2024 di Spazio Körper, Centro Nazionale di Produzione della Danza, ritorna Körperformer, rassegna di danza contemporanea a cura di Gennaro Cimmino (dal 3 all’8 dicembre, Sala Assoli di Casa del Contemporaneo, a Napoli), un focus sulla regione Campania, uno spazio aperto e attento alla ricerca artistica dei giovani autori del territorio che da anni approdano sulla scena nazionale ed europea. Questa edizione propone i progetti artistici di Roberto Tedesco (Körper), Francesco Colaleo e Maxime Freixas (Cie MF), Maria Anzivino, Ginevra Cecere e Viola Russo (Funa), Gianmaria Borzillo (Corpo Celeste), Maša Kolar, Nicolas Grimaldi Capitello, Nyko Piscopo (Cornelia) e Adriano Bolognino (Körper).
Si inizia il 3 con Decisione Consapevole di Roberto Tedesco, un lavoro coreografico che vede quattro danzatori confrontarsi con le loro scelte: uno spazio vuoto, da riempire e liberare grazie alla loro consapevolezza e al potenziale delle loro decisioni. Il 4, Ça ira, di Francesco Colaleo e Maxime Freixas, performance liberamente ispirata alla teoria filosofica dell’eterno ritorno di Friedrich Nietzsche, è il secondo capitolo del progetto coreografico C’est Pas Grave, una trilogia sul significato ambivalente della gravità. Il 5, Handle with care di Maria Anzivino, Ginevra Cecere, Viola Russo, un archivio emotivo dove le memorie si trasformano in tracce tangibili di un passato che si dissolve e si riforma incessantemente.
Inoltre, il 6, Femenine di Gianmaria Borzillo, uno spazio queer, sghembo, un microcosmo creato per e dalla musica “organica” di Julius Eastman; Hybridus, un trittico della compagnia Cornelia firmato da Maša Kolar, Nyko Piscopo e Nicolas Grimaldi Capitello che affronta la figura dell’ibrido, ispirato al celebre fenomeno dei Ballet Russes. La rassegna si conclude con Your body is a battleground e Gli Amanti, dittico di Adriano Bolognino.
Al via Teatri di Vetro a Roma
Attraverso strategie performative diverse – spettacoli, performance, pratiche corporee, installazioni performative, sperimentazioni musicali, progetti di partecipazione -, Teatri di Vetro (dall’8 al 21 dicembre) pone l’attenzione oltre che sull’opera, sul processo creativo, creando le condizioni per nutrire la relazione con lo spettatore. La 18esima edizione, con 30 spettacoli, 6 prime nazionali, 5 prime romane, giunge alla tappa finale del percorso progettuale: Oscillazioni.
Teatri di Vetro è un progetto curatoriale articolato in sezioni. Trasmissioni, Composizioni, Oscillazioni, Elettrosuoni. Composizioni, l’8 dicembre al Teatro Lido di Ostia, prevede il coinvolgimento diretto dei cittadini proponendo progetti artistici dal carattere partecipativo; la musica elettronica e le sperimentazioni compositive tra musica e video di Elettrosuoni, dall’8 al 21, attraversano il Teatro India e il Teatro del Lido; Oscillazioni, l’11 e il 13 al Teatro Quarticciolo e dal 16 al 21 al Teatro India, intercetta le spinte più significative della produzione artistica contemporanea di ricerca presentando i lavori degli artisti della scena nazionale tra cui Silvia Gribaudi, Operabianco, Alessandra Cristiani, Bartolini Baronio, Carlo Massari, Paola Bianchi e altri.
«La 18ma edizione affianca spettacoli di cui il festival ha seguito i processi creativi a nuclei di ricerca in una costellazione di possibili scenici – spiega Roberta Nicolai, direttrice artistica del festival -. La programmazione risponde alla complessità dei linguaggi della contemporaneità e invita a interrogare e condividere con il pubblico i processi di creazione, le necessità interne che la scena svela e nasconde, la compresenza e le tensioni vive tra il discorso del teatro e il discorso del pensiero».
La XV edizione di NAO performing Festival a Milano
METAnature: soglie algoritmiche è il titolo evocativo scelto per la XV edizione di NAO performing Festival in programma dal 6 al 8 dicembre in diversi spazi di Fabbrica del Vapore a Milano con la direzione artistica di Claudio Prati. Il festival da 15 anni esplora la danza nell’intreccio con altre discipline e arti, sempre con una particolare attenzione alle nuove generazioni di artisti e invita quest’anno a una riflessione sul mutamento della natura delle cose, sulla trasformazione delle relazioni che possiamo instaurare con questi nuovi (s)oggetti mutati e con l’ambiente che li contiene. Questo cambiamento ci interroga sui limiti, le possibilità e le soglie percettive di un mondo sempre più mediato dai sistemi computazionali e sui confini dei corpi che si muovono al suo interno.
Proprio il corpo è punto di partenza e terreno d’indagine per i giovani artisti coinvolti, quasi tutti selezionati tramite il Bando NAOpf2024, tra cui Michele Ifigenia Colturi, Elena Boillat selezionata per il Premio Schweiz e co-prodotta da LAC Lugano, i poeti-performer Filippo Balestra e Marko Miladinovic, e ancora Simone Lorenzo Benini e Miriam Budzáková in prima nazionale, e Collettivo Delirium Tremens con Il re dei ratti-ovvero l’isteria che precede l’atto mortale, performance che attraverso materia, luce e suono dà forma tangibile alle pulsioni più carnali e recondite, o in relazione alla tecnologia sul confine tra reale e virtuale in Hide and Reveal di Francesco Ferrari.
Il misantropo di Luca Micheletti
«Una storia d’amore, un amore-possesso, una nevrosi. Un tema moderno come non mai». Un capolavoro del teatro, Il Misantropo messo in scena con un’attenta cura filologica del testo dalla regista Andrée Ruth Shammah, con protagonista il talentuoso regista e attore Luca Micheletti. In scena c’è la “disperata vitalità” di un uomo solo davanti al potere, solo davanti ai benpensanti; un uomo folle, deriso dalla società, ma in realtà l’unico capace di cogliere la follia di chi lo circonda. Un uomo in costume scuro, che si muove al centro di un mondo popolato da personaggi vestiti in colori pastello, a simboleggiare una società variegata nella forma, ma omologata nella sostanza.
«Non c’è volontà di giudizio – scrive Shammah – nessuno ha ragione, nessuno ha torto, la trama stessa si compone dall’evoluzione delle posizioni di ciascun personaggio. E credo stia proprio in quest’assenza di giudizio e nell’esplorazione dei diversi punti di vista la vera essenza del Teatro, e dunque il mio omaggio a uno dei più grandi autori di tutti i tempi».
“Il Misantropo”, di Molière, traduzione Valerio Magrelli, regia Andrée Ruth Shammah, con Luca Micheletti, Marco Balbi, Matteo Delespaul, Angelo Di Genio, Filippo Lai, Francesco Maisetti, Marina Occhionero, Guglielmo Poggi, Emilia Scarpati Fanetti, Andrea Soffiantini, Maria Luisa Zaltron e la partecipazione di Corrado D’Elia; scene Margherita Palli, costumi Giovanna Buzzi, luci Fabrizio Ballini, musiche Michele Tadini. Produzione Teatro Franco Parenti e Fondazione Teatro della Toscana. A Brescia, Teatro Sociale, dal 4 all’8 dicembre.
La grande magia
Ne La grande magia di Eduardo De Filippo lo stile del grande commediografo napoletano incrocia temi pirandelliani, suggerendo interpretazioni psicologiche e filosofiche del testo. I personaggi, pur essendo inizialmente presentati come burattini nelle mani del furbo mago Marvuglia, diventano a loro volta burattinai, amplificando la complessità e la fluidità dell’opera.
Con questo spettacolo, che è anche un omaggio alla “grande magia” del teatro, Gabriele Russo cerca di proiettare la tradizione eduardiana nel futuro: «Per esplorare nuove possibilità all’interno delle trame e dei temi, che inevitabilmente ci parlano diversamente settantacinque anni dopo. D’altra parte fu proprio Eduardo ad usare la metafora della tradizione come trampolino». Calogero Di Spelta, interpretato da Natalino Balasso, è un marito tradito caratterizzato da una spiccata mania per il controllo e dall’incapacità di amare e fidarsi, aspetti che lo rendono specchio delle sfide e delle difficoltà dell’uomo contemporaneo nell’ambito delle relazioni. Ne risulta un uomo con la costante esigenza di aggrapparsi a certezze granitiche, a costo di rinchiuderle simbolicamente in una scatola: il luogo sicuro. Suo contraltare è Otto Marvuglia (Michele Di Mauro), mago manipolatore, dalle facce sempre diverse ed interscambiabili che modificano il contesto e la percezione della realtà. Intorno a loro due ruotano tutti gli altri personaggi della commedia, smarriti nel continuo fondersi del vero e del falso.
“La grande magia” di Eduardo De Filippo, regia Gabriele Russo, con Natalino Balasso, Michele Di Mauro, e con (in o. a.) Veronica D’Elia, Gennaro Di Biase, Christian di Domenico, Maria Laila Fernandez, Alessio Piazza, Manuel Severino, Sabrina Scuccimarra, Alice Spisa, Anna Rita Vitolo; scene Roberto Crea, luci Pasquale Mari, costumi Giuseppe Avallone, musiche e progetto sonoro Antonio Della Ragione. Produzione Teatro Biondo Palermo / Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini / Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale. A Palermo, Teatro Biondo, dal 6 al 15 dicembre. In tournée.
Fahrenheit 451, le derive socio-politiche e culturali del nostro presente
Prende le mosse da un capolavoro della letteratura del Novecento, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, il nuovo spettacolo Il fuoco e la cura della pluripremiata compagnia teatrale fiorentina Sotterraneo. Il libro descrive un futuro in cui è vietato leggere pena l’arresto, schermi costantemente accesi alienano il tempo libero delle persone e il tentativo di pensare causa malessere fisico.
In questo mondo il corpo dei pompieri non è più impiegato per spegnere gli incendi, bensì per bruciare i libri e se necessario i loro possessori. Come in tutti i regimi totalitari, esiste una comunità segreta di dissidenti, le persone-libro, che si impegnano a imparare a memoria un grande classico della letteratura mondiale, per salvarlo dall’oblio e tramandarlo così alle generazioni future. Il romanzo, uscito nel 1953, è ambientato negli anni ‘20 del XXI secolo, vale a dire oggi.
«Quindi Bradbury si è sbagliato?» si domandano i componenti della compagnia, che a 71 anni dalla pubblicazione, ha scelto di esplorare le pagine di questo classico contemporaneo attraverso la lente del teatro, per interrogarsi insieme agli spettatori sulle possibili derive socio-politiche e culturali del nostro presente.
“Il fuoco era la cura”, liberamente ispirato a FAHRENHEIT 451 di Ray Bradbury, creazione Sotterraneo, ideazione e regia Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Daniele Villa, con Flavia Comi, Davide Fasano, Fabio Mascagni, Radu Murarasu, Cristiana Tramparulo, scrittura Daniele Villa, luci Marco Santambrogio, abiti di scena Ettore Lombardi, suoni Simone Arganini, coreografie Giulio Santolini, oggetti di scena Eva Sgrò. Produzione Teatro Metastasio di Prato, Sotterraneo, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, con il sostegno di Centrale Fies / Passo Nord. A Bologna, Arena del Sole, dal 6 all’8 dicembre.
La Compagnia blucinQue e la danza aerea di Puccini
Teatro, danza, musica dal vivo, opera lirica e circo contemporaneo si intrecciano in Puccini Dance Circus Opera, per coro di corpi e strumenti (al Teatro Regio di Parma il 6 dicembre, coproduzione Fondazione ORT, Centro nazionale di produzione blucinQue Nice, Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Regio di Parma), per portare in scena, in occasione del centenario pucciniano, cinque icone femminili delle opere del compositore toscano: Manon Lescaut, Mimì, Tosca, Madama Butterfly e Turandot. Un coro di donne in movimento, capaci di scegliere e affermare la propria personalità, i propri sogni e i propri ideali.
Lo spettacolo della Compagnia blucinQue, è ideato da Caterina Mochi Sismondi che firma anche regia e coreografia. Puccini Dance Circus Opera si struttura in coreografie aeree e terrene, in un atto liberatorio del corpo che vuole emergere privo di costrizioni danzando. Così le donne si sostengono, cadono e si rialzano, si preparano, viaggiano nel tempo, tra passato presente e futuro, e nello spazio scenico si spostano come un’onda che di volta in volta fa affiorare caratteristiche, segni, luoghi e personalità delle cinque figure, da Manon a Cio Cio San, da Mimì a Tosca a Turandot.
Queste immagini femminili non sono solo icone della scena pucciniana, ma anche la trasposizione di donne conosciute da Puccini, storie di mondi che ancora oggi fanno riflettere e portano l’attenzione sull’identità femminile del nostro tempo.
Le amarezze di Bernard-Marie Koltès
Un ragazzo al centro di un vortice di relazioni familiari e sociali, come in un sogno oscuro e indecifrabile, lacerato dai conflitti, dagli slanci dell’esistenza e dai presagi di morte: così il 22enne Bernard-Marie Koltès, nel 1970, ricostruiva per il teatro il romanzo autobiografico di Maksim Gor’kij Infanzia. Dovevano passare ancora sette anni prima che lo sconvolgente debutto di La notte poco prima della foresta ad Avignone-off lo lanciasse come uno dei più importanti drammaturghi francesi, morto prematuramente di Aids nel 1989, a soli 41 anni.
Andrea Adriatico è stato il primo regista a portare in scena in Italia le sue opere, in una lunga e intensa frequentazione. Adesso, ancora per la prima volta in Italia, Adriatico esplora il cantiere teatrale adolescenziale di Koltès con Le amarezze. Titolo ambiguo, spiegato così dall’autore: «Come l’acido sul metallo, come la luce in una camera oscura, le amarezze si sono abbattute su Alexis Peskov», il protagonista muto dell’opera, che è il nome vero dello scrittore russo dalla cui autobiografia Koltès ha preso ispirazione, e che scelse come pseudonimo letterario “Gor’kij”, ovvero “L’amaro”.
Così concludeva la presentazione della sua opera e del suo Alexis il 22enne Koltès: «L’hanno aggredito con la violenza e la rapidità della grandine e del vento, senza che un tratto del suo volto abbia avuto un fremito. Stracciato, bruciato, in piedi finalmente, ha fermato gli elementi come si soffia su una candela. E la sua voce ha trafitto il silenzio».
“Le amarezze”, di Bernard-Marie Koltès, traduzione di Marco Calvani, uno spettacolo di Andrea Adriatico, con Olga Durano, Marco Cavicchioli, Anas Arqawi, Michele Balducci, Innocenzo Capriuoli Ludovico Cinalli, Nicolò Collivignarelli, Alessio Genchi, Sofia Longhini, Giorgio Ronco, Myriam Sokoloff; scena Andrea Barberini, Giovanni Santecchia. Produzione Teatri di Vita. A Torino, Officine Caos, il 6 e 7 dicembre; a Bologna, Teatri di Vita, il 10 e 11; a Lecce, Teatro Koreja, il 14 e 15.
Stereotipi e discriminazioni di genere
Una travolgente stand-up comedy (ma anche un po’ tragedy), che è un invito a reagire per dare voce alle donne: Esagerate! spettacolo diretto e interpretato da Cinzia Spanò, collaborazione al testo di Paola Giglio (a Roma, al 3 all’8 dicembre, Teatro Torlonia) per riflettere su stereotipi e discriminazioni di genere attraverso una parola che, spesso usata per smussare il potenziale di protesta, ne etichetta disparità e rivendicazioni.
«E allora, tanto vale esserlo!» afferma l’autrice e attrice teatrale, che trasforma l’aggettivo in esortazione, un appello deciso e chiaro, rivolto alle donne: essere esagerate diventa una connotazione necessaria per farsi ascoltare attraverso la cultura come strumento di conoscenza, consapevolezza e dissidenza femminista. Con un vero e proprio diploma in “esageranza”, si esce da teatro, informati sulla reale situazione femminile in Italia attraverso una stand up che, intrecciando numeri, dati, storia, sacro e profano, intende divertire, indignare e «soprattutto mettere i puntini sulla i. «Anzi sulla ǝ!».
Laguna Cafè, tra realtà e immaginazione
In uno spazio sospeso tra realtà e immaginazione, due uomini – gli attori Giuseppe Affinito e Gianluca Merolli – si ritrovano dopo anni per affrontare ricordi e rimpianti. Compiono un viaggio emotivo che esplora l’amore e le relazioni e che li condurrà fino al compimento ineluttabile del loro destino. Un incontro che mette a nudo la vulnerabilità umana, l’inadeguatezza dei sentimenti e la ricerca di una verità condivisa.
Del testo di Giuseppe Affinito, Laguna Cafè, scrive Benedetto Sicca nelle note di regia: «L’anima è una forza che ci permette di percepire tutto ciò che ci è estraneo. Ci fa sentire un’emozione, ma non si riduce a un semplice sentimento; ci aiuta a costruire idee e valori, ma non è solo un pensiero; ci porta al piacere, ma non è soltanto piacere, perché include sempre qualcos’altro. Quando la coscienza la riconosce, l’anima ci offre l’opportunità di superare i limiti dell’Io, e la sua bellezza si manifesta in questo movimento. I due protagonisti di Laguna Cafè, Giosuè ed Andrea, si rincontrano dopo 10 anni per una sorta di resa dei conti dell’anima. Si ritrovano accecati dal loro battito cardiaco ed assordati dalla luce dei propri desideri, in un viaggio sinestetico in cui il senso sta tutto nel percorso e non nell’approdo».
“Laguna Cafè”, di Giuseppe Affinito, regia Benedetto Sicca, con Giuseppe Affinito e Gianluca Merolli, scene Luigi Ferrigno e Sara Palmieri, luci Cesare Accetta, costumi Dario Biancullo, drammaturgia musicale e disegno del suono Chiara Mallozzi, coreografie Luna Cenere. Produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival, in collaborazione con Casa del contemporaneo. A Napoli, Ridotto del Mercadante, fino all’8 dicembre.
Erri De Luca, in nome della madre
Uno sguardo inedito sulla Sacra Famiglia e su una delle maternità più celebri della storia – quella di Maria, madre di Gesù – dalla penna di uno dei più sensibili autori del nostro tempo: Erri De Luca (il 6 e 7 dicembre, Teatro Cantiere Florida di Firenze, produzione Elsinor) In nome della madre: dall’omonimo romanzo dell’acclamato scrittore, giornalista e poeta uno spettacolo evocativo per muovere riflessioni nuove attorno a uno degli archetipi culturali più fondativi della nostra società.
Diretta da Danilo Nigrelli, l’intensità recitativa di Patrizia Punzo porta in teatro il racconto dei nove mesi di gravidanza di Maria, in ebraico Miriàm, dal punto di vista di lei stessa: una ragazzina alle prese con un evento molto più grande di lei. De Luca, profondo conoscitore dell’ebraico antico e delle Sacre Scritture nonché ateo dichiarato, si mette nei panni di un’adolescente vissuta più di duemila anni fa per farne un ritratto intimo, rispettoso e amorevole, dal concepimento alla nascita del figlio, che mette in risalto tutta la sua forza, tenacia e fede.
Teatro delle Bambole a Bari
Per il progetto di ricerca Dalla Letteratura al Teatro, il Teatro delle Bambole presenta Cenere di Grazia Deledda, tre spettacoli per Michele Lamberti, allestimento e regia di Andrea Cramarossa (a Bari, Piccolo Teatro E. D’Attoma, il 6 e 7 dicembre). Una storia fatta di odori e di sensi di un corpo che cerca di ricomporre i tasselli di una esistenza frantumata.
Il giovane Anania, abbandonato dalla madre Olì in tenera età, trascorrerà gran parte della sua gioventù, alla ricerca di quella madre che, per necessità, ha dovuto disfarsi di un fardello troppo pesante e al quale non avrebbe potuto garantire alcuna forma di sussistenza. Il giovane segue le tracce odorose, il suo istinto, come un segugio con la sua preda, attraversando il pianeta selvaggio e quello civilizzato, trasportandosi dalla realtà periferica del mondo civile a quella centrale, cittadina, dove tutto è in movimento e dove questo movimento, a sua volta, muove le cose, le esistenze e ne determina anche la sorte.
L’ostinazione di un figlio che vuole sua madre non più come entità assente nella propria vita, condurrà il suo peregrinare fin sulla soglia del parossistico desiderio di morte che si rifletterà tutto sul corpo vecchissimo e sterile della madre, ossia il suo difficile calarsi in un presente che è solo polvere.
Alessandro Preziosi è re Lear
Uno spettacolo sul difficile rapporto tra i padri e i figli, tra l’Uomo e la Natura, sulla perdita e il ritrovamento dei valori. Alessandro Preziosi dirige e interpreta con Nando Paone Aspettando Re Lear, adattamento di Tommaso Mattei da William Shakespeare con echi di Aspettando Godot di Samuel Beckett. La pièce (a Firenze, Teatro La Pergola, dal 3 all’8 dicembre) si concentra sul momento chiave dell’intera tragedia: la tempesta che colpisce Lear mentre vaga disperato nella landa desolata per allontanarsi dalle sue figlie senza cuore, Goneril e Regan, tra cui ha diviso il suo regno. Accompagnato dal conte di Kent (sotto le mentite spoglie di un servo) e dal fedele Fool (quasi un alter ego dell’esiliata Cordelia, l’amorevole terza figlia), assiste inerme alla solitudine e al caos dentro e fuori di lui. Proprio come in Aspettando Godot i personaggi di Aspettando Re Lear sembrano abitare il vuoto che rimane dopo la tragica fine di Re Lear.
Amleto, la tragedia in commedia di Filippo Timi
L’attore torna con una nuova edizione del suo Amleto (a Perugia, Teatro Morlacchi, dal 3 al 5 dicembre) una rilettura dove ogni gesto o parola diventa gioco e voce personale, provocazione intelligente. Timi prende il testo shakespeariano e lo stravolge, rovescia passioni e personaggi nella stessa gabbia da circo all’interno della quale si svolge questo elogio della follia. Il suo è un Amleto annoiato, non ha più voglia di amare Ofelia, non ha più voglia di niente. Quasi un leone in gabbia, il principe, un po’ bambino viziato, un po’ vate visionario, si aggira in mezzo ad una festa luttuosa. Intorno a lui, personaggi direttamente scaturiti dalla sua mente folle, interpretati dalle attrici storiche della sua compagnia (Elena Lietti, Lucia Mascino, Marina Rocco e Gabriele Brunelli) ancora una volta eccezionalmente insieme per dar vita a questa nuova edizione.
Un Amleto spiazzante, comico, furibondo, folle e colorato. Di fronte alla tragedia esistono due possibilità: soccombere o esplodere nel massimo della vitalità. Timi ha scelto la seconda, trasformando la tragedia in commedia, esasperando così la radice comica di Shakespeare che faceva dire a Nietzsche: «Non conosco lettura più straziante di Shakespeare: cosa deve aver sofferto un uomo per avere a tal punto bisogno di fare il pagliaccio».