In Scena è la rubrica dedicata agli spettacoli dal vivo in programmazione sui palchi di tutta Italia: ecco la nostra selezione della settimana, dal 27 maggio al 2 giugno.
Con L’après midi d’un Faune, Boléro, Le Sacre du Printemps (trilogia dell’estasi), il coreografo catanese Roberto Zappalà affronta tre grandi composizioni classiche e per lui anche “sacre” che hanno segnato il percorso coreografico e musicale del secolo scorso. Un processo creativo lungo dieci anni che oggi giunge a maturità per la messa in scena delle tre creazioni in un unico spettacolo. Una trilogia per trovare un nuovo immaginario che tenendo conto del passato, forte della maturità acquisita, personalizzi un mondo che ha già un forte potere evocativo.
Il lavoro sullo spazio con “dispositivo scenico” unico e valido per le tre composizioni musicali, che limita, amplifica, “modifica”, la danza. Il primo spunto concettuale della creazione è ispirato ad un tragico fatto di cronaca accaduto durante una festa in una villa nella campagna romana agli inizi del 2021 sul quale si innesta un’evocazione dell’iconica sequenza della festa in Eyes wide shut di Kubrick. Ne L’après midi d’un faune, l’esclusione, il sentirsi estranei, il non potere o volere partecipare a una socialità forzata, quasi obbligata, ha una “via di fuga” in un erotismo sognato e vagheggiato, in parte onanistico.
In Boléro, al contrario, l’inclusione, il vizio, la lussuria sono soggetti a una sessualità apparentemente libera ma in realtà sottomessa a una ritualità che prevarica sugli stessi partecipanti al rito. Infine, in Le Sacre du Printemps, la persecuzione e il sacrificio è collettivo e non individuale e sono parte integrante del rito che viene messo in scena.
Prima assoluta il 30 e 31 maggio all’Auditorium Zubin Mehta di Firenze, nel cartellone del Festival del Maggio Musicale Fiorentino, co-produzione Scenario Pubblico|Compagnia Zappalà Danza Centro di Rilevante Interesse Nazionale, Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino (Firenze), Centre Chorégraphique National de Rillieux-la-Pape (Lione), Fondazione I Teatri (Reggio Emilia), MilanOltre Festival (Milano), Teatro Massimo Bellini (Catania).
Per il pluripremiato autore argentino Rafael Spregelburd – drammaturgo, attore, regista, o più semplicemente “teatrista”, come preferisce chiamarsi egli stesso – il panico non è altro che la traduzione moderna del peccato dell’accidia: quello stato d’animo che si genera tra persone affannate a rincorrere una vita divisa tra due o tre lavori, e che si arrangiano come possono e cercano come pazzi – è il caso dei protagonisti – le chiavi smarrite di una fantomatica cassetta di sicurezza.
Un panico ridicolo attanaglia chiunque, come se i personaggi non fossero mai presenti a se stessi e tornassero confusamente e ossessivamente sui propri passi, cercando di ricominciare da capo. Una pièce vorticosa che Jurij Ferrini ha deciso di affrontare, dopo aver già portato in scena con successo un altro capolavoro di Spregelburd, Lucido.
I personaggi della commedia sono molto terreni, con frequenti riferimenti a prodotti commerciali, famose vie della capitale argentina, perfettamente inseriti in una realtà che tuttavia rimane distorta dalle loro stesse apparenti psicosi. Parla di noi, di una umanità che ha perso ogni contatto con il mondo reale; si diverte a mostrarci la sua anti-tragedia. …L’anti-eroe moderno si muove cercando di schivare la catastrofe, pronto a mentire perfino a se stesso, pur di evitarla… la paura della catastrofe fa in modo che il senso del tragico venga spodestato dal senso del ridicolo.
“Il panico”, di Rafael Spregelburd, traduzione di Manuela Cherubini, regia Jurij Ferrini, con Simona Bordasco, Roberta Calia, Jurij Ferrini, Lucia Limonta, Viola Marietti, Elisabetta Mazzullo, Francesca Osso, Michele Puleio, Dalila Reas, Arianna Scommegna, e con (voce al telefono) Toni Mazzara, scene e costumi Anna Varaldo, luci Alessandro Verazzi, suono Gian Andrea Francescutti. Produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale. A Torino, Teatro Carignano, fino al 9 giugno.
Con Visioni del corpo, sei incontri sull’arte contemporanea (a partire dal 27 maggio e fino al 29 novembre) tenuti da Nicolas Ballario, ad affiancare le parole ci sarà la danza, attraverso alcuni interventi performativi in connessione con le opere presentate. I temi dei singoli appuntamenti saranno: il corpo in pericolo, il corpo nudo, il corpo piccolo, il corpo muove, il corpo e altro, il corpo grande.
Ogni incontro sarà diviso in sei momenti dove Ballario introdurrà sei opere di sei artisti diversi, grandi nomi del contemporaneo. Ogni incontro sarà affidato a un coreografo, che metterà in danza le suggestioni mosse dal tema. Ogni incontro arricchirà una piccola “enciclopedia danzante” dell’arte contemporanea, indagando su come illustri artisti hanno trattato il tema del corpo. Visioni del corpo è il ponte lanciato tra il Centro Coreografico Nazionale e grandi temi anche lontani dalla danza, occasione per aprire una finestra più intima sul corpo e sul movimento anche per occhi non allenati alle arti performative.
Sei opere d’arte legate ogni sera a una commissione danzata per un coreografo italiano. Si inizia con Roberto Tedesco (il 27 maggio, alla Fondazione Nazionale della Danza di Reggio Emilia) che ha lavorato sul tema il corpo in pericolo (opere di Marina Abramovich, Jean Michel Basquiat, Joseph Beuys, Yves Klein, Tracey Emin, Bill Viola); e si proseguirà con Lara Guidetti, Roberta Ferrara, Riccardo Buscarini, Pablo Girolami e Carlo Diego Massari dialogheranno con Ballario portando al pubblico corpo e parole, coinvolgendo gli spettatori e favorendo l’incontro con altre comunità culturali. Dalle 20 alle 23 esperienza di danza in VR per il pubblico: È pericoloso non sporgersi.
Torna in scena Una relazione per un’Accademia, del pluripremiato attore italiano Luca Marinelli, spettacolo che durante l’ultima edizione del Festival ha segnato il suo debutto alla regia e che sarà l’anteprima della prossima edizione del Festival di Spoleto (al Teatro Caio Melisso Spazio Carla Fendi dal 30 maggio al 2 giugno, coproduzione Spoleto Festival dei Due Mondie e Teatro Stabile dell’Umbria). Si tratta della trasposizione teatrale del celebre racconto di Franz Kafka del 1917, e vede ancora una volta protagonista un magnetico Fabian Jung.
Rot Peter è il nome della scimmia a cui Kafka dà voce nel 1917 con un racconto breve: Peter viene catturato e, durante la prigionia, capisce che può imitare molto bene gli uomini e garantirsi la libertà. Dopo cinque anni gli antropologi si ritrovano ad ascoltare una scimmia trasformatasi in relatore accademico. Una relazione per un’Accademia affronta in termini grotteschi la condizione di chi è costretto a vivere un’esistenza che non gli appartiene pur di conformarsi ai dettami della società e ricavarne una forma di libertà.
Scritta nel 2013 da Duncan Macmillan assieme a Johnny Donahoe – che ne è anche il primo interprete – e presentata lo stesso anno al Festival di Edimburgo, Every Brilliant Thing (a Milano, Teatro Studio Melato, dal 27 maggio al 1° giugno, coproduzione CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Sardegna Teatro) è una gioiosa autobiografia scandita da liste di “cose per cui vale la pena vivere”. Con la complicità degli spettatori – chiamati di recita in recita a essere elemento destabilizzante e innovativo – e attraverso una scrittura dal ritmo sempre serrato e divertente, lo spettacolo riesce a toccare, con sensibilità e una non superficiale leggerezza, un tema delicato e complesso come la depressione.
Filippo Nigro, protagonista e regista assieme a Fabrizio Arcuri di questa versione italiana, dà vita a un racconto-confessione umano e informale di momenti speciali, illuminazioni, piccole manie, incontri, emozioni e attimi indimenticabili, durante il quale vengono sempre più messi a fuoco i rapporti con il padre, con il primo amore, il fallimento del suo matrimonio, la ricerca di aiuto nei momenti di difficoltà. Sarà così che, alla fine, la lista diventerà utile, più che alla madre, a se stesso: «Se vivi tanto a lungo e arrivi alla fine dei tuoi giorni senza esserti mai sentito totalmente schiacciato, almeno una volta, dalla depressione, beh, allora vuol dire che non sei stato molto attento!».
Acclamata in tutto il mondo come una delle più grandi ballerine della sua generazione, Natalia Osipova sarà protagonista di una serata di assoli e duetti ineguagliabili di virtuosismo e bellezza, per la chiusura della Stagione di Danza al Teatro Comunale di Modena (il 28 maggio). Eclettico e coinvolgente, il programma offre uno spettacolo per tutti e uno showcase che mette in mostra le caratteristiche della ballerina russa e la sua straordinaria versatilità in termini di tecnica e stile.
Lo spettacolo Force of Nature presenta coreografie firmate dai grandi nomi della danza, fra passato e presente, quali Marius Petipa, Jason Kittelberger, Shahar Binyamini, Pawel Glukhov, Alexey Ratmansky, Frederick Ashton e Michael Fokine. Non mancheranno brani celebri dal balletto classico, dalla Morte del Cigno, su musica di Camille Saint-Saëns al passo a due del Cigno bianco dal Lago dei Cigni su musica di Chaikovskij. A fianco di Osipova si esibiranno alcuni fra i migliori ballerini quali Reece Clarke, primo ballerino del Royal Ballet, Daria Pavlenko, prima ballerina del Teatro Mariinskij, Joseph Kudra, primo ballerino del Theatre Rambert di Londra e il danzatore e coreografo Jason Kittelberger.
La compagnia Spellbound Contemporary Ballet festeggia i trent’anni di vita con una produzione in due parti affidata a Mauro Astolfi e al coreografo ospite per questa occasione Jacopo Godani (a Pesaro, Teatro Rossini, il 31 maggio, in collaborazione con AMAT / Pesaro Capitale della Cultura, Festival Torinodanza). Forma Mentis vuole essere un manifesto artistico per le nuove generazioni. In questa nuova creazione, Godani utilizza l’arte della “danza intelligente” come strumento di realizzazione e come mezzo di comunicazione diretta con le nuove generazioni per esprimere e alimentare idee e visioni. Ogni movimento sul palcoscenico è un passo avanti verso la scoperta e la celebrazione del potenziale umano.
In Daughters and Angels – un lavoro ispirato dalla lettura di Knowledge and Powers di Isabel Pérez Molina pubblicato da Duoda, un centro di ricerca interdisciplinare dell’Università di Barcellona nel campo degli Women’s Studies -, Astolfi rielabora storia, sensazioni e percezioni personali, per mettere in evidenza l’automatismo folle che porta a trasformare in violenza, negazione e annichilimento tutto ciò che non si conosce. «Non parlo di magia – dichiara il coreografo -, ma della possibilità di intraprendere un percorso di conoscenza da parte del genere maschile del proprio femminile, smantellando gli stereotipi di genere e mettendo in discussione alcune rocche forti della mascolinità. Cerco di recuperare un’informazione antica, il semplice potere della conoscenza, senza appartenenza né primati. La donna che immagino è stata una figlia ricorda ed amplifica ciò che ha imparato dalla sorgente, l’uomo, sembra aver dimenticato quasi tutto».
A quasi vent’anni dal debutto di Na specie de cadavere lunghissimo – spettacolo cult, andato in scena per dieci anni consecutivi, ideato e interpretato dall’attore, con la regia di Giuseppe Bertolucci – Fabrizio Gifuni con Il male dei ricci (a Milano, Teatro Franco Parenti dal 27 al 29 maggio) ritorna alle pagine di Pasolini con una nuova drammaturgia originale.
La rilettura di Ragazzi di vita romanzo d’esordio dello scrittore – interpolata e storicizzata con altri scritti pasoliniani (poesie, lettere, editoriali, interviste) – dà vita a un racconto molto personale che l’attore‐autore trasferisce in teatro, dialogando ogni sera con i rappresentanti della città, i cosiddetti spettatori, in un gioco di inedite prospettive e vertiginosi sdoppiamenti.
L’attore si fa carico di portarci dentro le giornate di questi giovani ragazzi, ci restituisce la loro generosità e i loro egoismi, il comico, il tragico, il grottesco, la violenza di questo sciame umano che dai palazzoni delle periferie si muove verso il centro, in un percorso che è anche un rito di passaggio dall’infanzia alla prima giovinezza. Ma il corpo/voce di Gifuni ci costringe al contempo a misurarci con un fantasma poetico, una voce inquieta che continua a reclamare un ascolto. Ancora oggi in direzione ostinata e contraria.
Kalila e Dimna sono due sciacalli che vivono alla corte del re leone. Mentre Kalila è soddisfatto della propria condizione, Dimna brama il potere e aspira agli onori ed è pronto a impiegare qualsiasi mezzo per ottenerli. Dalla palude arriva una voce potente e misteriosa che terrorizza il re. Dimna vede in questa voce l’opportunità per realizzare i suoi sogni di gloria, ignorando gli avvertimenti di Kalila.
Intrighi, complotti, menzogne e scaltrezza: Dimna è pronto a tutto per arrivare ai propri fini. Panchatantra, è una raccolta di favole, composta nel III secolo in sanscrito e tradotta nell’VIII secolo in arabo da Ibn al-Muqaffa con il titolo Kalila e Dimna, pilastro della prosa artistica araba e fonte d’ispirazione per le favole di La Fontaine. Il gioco corale del Grande Teatro di Lido Adriano torna a misurarsi con un capolavoro che rivela le radici orientali dell’Occidente.
“Panchatantra o le mirabolanti avventure di Kalila e Dimna”, direzione artistica Luigi Dadina, Lanfranco Vicari, regia Luigi Dadina, drammaturgia Tahar Lamri, in scena Camilla Berardi, Marco Montanari, Marco Saccomandi e il Coro del Grande Teatro di Lido Adriano, collaborazione artistica Spazio A – Camilla Berardi, Marco Montanari, Marco Saccomandi, costumi Federica Savorelli, Federica Francesca Vicari, musiche e arrangiamenti Francesco Giampaoli, songwriting Lanfranco Vicari, coordinamento musicale Francesco Giampaoli, Enrico Bocchini, coordinamento coro Jessica Doccioli, Lanfranco Vicari, cura degli spazi scenici Massimiliano Benini,. Coproduzione CISIM|LODC, Ravenna Festival in collaborazione con Ravenna Teatro / Albe e Equidistanze | Residenze Artistiche. A Ravenna, Lido Adriano, Viale Parini 48, dal 30 maggio al 2 giugno.
La quarta edizione di Rami d’ORA, rassegna di arti performative promossa dal collettivo Laagam (dal 24 maggio al 30 giugno) torna ad animare i boschi e i sentieri delle Orobie valtellinesi irradiandosi quest’anno dal quartier generale di ORA – Orobie Residenze Artistiche a Castellaccio, frazione abbandonata di Piateda, sino ai comuni di Sondrio, Tirano e Morbegno con performance, laboratori ed esperienze in natura. Diretta da Erica Meucci con Francesca Siracusa e la consulenza artistica di Riccardo Olivier, anche questa edizione intreccia le performance dal vivo con l’esperienza intima del territorio. Le proposte infatti si diramano attraverso boschi, sentieri, radure proponendo come d’abitudine anche esperienze in natura, come l’ormai consolidata notte nel bosco in attesa dell’estate il 20 giugno o le pratiche di arrampicata per tutti il 23 giugno alla Falesia Cràp de la Nona.
Fil rouge di questa edizione è l’ENTRARE NEL BOSCO, inteso non come luogo fisico ma come porta d’accesso per un contatto privilegiato con ciò che ci circonda, da sperimentare in sei fine settimana. Tra gli artisti il greco Ioannis Mandafounis, la compagnia mk di Michele Di Stefano, Michele Ifigenia Colturi / Tyche, Piergiorgio Milano, Filippo Porro e Silvia Dezulian, Chiara Marolla, Suzi Cunningham, Francesca Bertolini. Il programma sul sito www.orobieora.it.
La valorizzazione del talento e delle giovani generazioni è uno dei focus principali di Körper, Centro Nazionale di Produzione della Danza di Napoli. Il 2 giugno, presso lo Spazio Körper, la performance Vuoto/Vertigini, spettacolo conclusivo del progetto Körper Young, un percorso di avviamento al mondo professionale della danza ideato da Gennaro Cimmino.
Sulla scena due storie, frammenti di vita, due percorsi, due strade parallele con un valore in comune: raccontare. Vuoto di Susanna Sastro, nasce per raccontare un vuoto che non si può riempire, un bisogno di ricercare delle risposte. I danzatori si confrontano con una realtà difficile da esprimere: lo studio del movimento corporeo è il prodotto di ciò che accade nella testa, le immagini si fanno sempre più sbiadite e confuse. Le parole sono frammentate, il suono rimanda a un passato che ha il sapore del jazz e l’ambientazione è quella di una pellicola in bianco e nero; in collaborazione con Vito Pizzo, la voce di Jack Kerouac si trasforma in suono in uno spazio scenico allestito dalle fotografie di Luigi Bilancio.
Vertigini è un progetto coreografico di Flavio Ferruzzi, una storia personale che diventa narrazione universale e che si ramifica nel racconto inedito delle otto interpreti presenti sulla scena. La nascondiamo, la osserviamo, la viviamo e ci vergogniamo, è un nostro segreto, nessuno vuole conoscerlo, eppure è sempre con noi: la paura. La prima storia è ispirata da Il mare verticale, un libro/fumetto di Brian Freschi e Ilaria Urbinati. Ogni interprete ne ha scritta una propria inedita.
Il TeatroBasilica di Roma, in collaborazione con il Gruppo della Creta, presenta la seconda edizione della rassegna di danza Nel Blu, curata da Chiara Marianetti.
Apre la rassegna, il 29 maggio, All About Adam, ideazione e regia di Giuliano Scarpinato, con il danzatore Cristian Cucco. Un uomo come tanti, vestito di un completo nero, danza su un cumulo di ceneri e macerie. Sono forse le sue, quelle di chi lo ha preceduto e si è estinto, quelle di una civiltà. Di lui non sappiamo nulla: come sia giunto su quel pezzo di crosta terrestre, se vi sia stato precipitato. Quell’uomo cerca una strada, una direzione, un orientamento. Tra crolli e risalite, scosse e sospensioni, quell’uomo cerca una nuova strada, la sua. E una luce, a illuminarla.
Il 30 maggio Soggetto senza titolo di e con Olimpia Fortuni, un flusso di coscienza traslato in un corpo che muta il suo stato materico e snoda il suo viaggio in tre movimenti (presente, passato, futuro), dove l’irreale si fonde con il reale, in una dimensione onirica del tempo, in un dialogo intimo e, ugualmente, aperto, che prova a cercare una verità.
Il 31 maggio, Quasi caduta – Calcinacci, di Claudio Larena, una performance che nasce da un’indagine attorno al gesto della Spinta, inteso come gesto multivalente in termini relazionali, individuali e fisici, un meccanismo di corpi spinti e spingenti, una macchina umana fatta di azioni e reazioni, in cui l’intenzione all’origine del gesto si perde e si confonde tra i diversi momenti di questo dialogo fisico.
Il teatro popolare ritorna a Milano con Palchi Fioriti, la sessione di primavera del Festival Le mille e una piazza 2024 di Atelier Teatro, giunto alla sua quinta edizione. Il Festival, con 16 spettacoli e 3 concerti, riporta i classici greci e latini nei parchi e nei giardini urbani, con spettacoli gratuiti adatti a un pubblico di tutte le età (in scena fino al 9 giugno). Il Festival conferma l’abituale attenzione alle periferie e ai territori caratterizzati da criticità sociali come i quartieri ERP e propone alcune incursioni nel centro storico, nel contesto dei Giardini Indro Montanelli.
In questa seconda sessione (a cui seguirà Racconti d’autunno in settembre) Palchi fioriti ha come obiettivo il recupero della dimensione pubblica in cui ebbe origine il teatro: i classici greci e latini sono infatti i primi testi teatrali e sono nati per essere recitati all’aperto rivolgendosi a una società complessa e stratificata che rifletteva sui conflitti sociali mettendoli in scena. I parchi in fiore della primavera meneghina vedranno alternarsi le opere di Aristofane e Apuleio. La compagnia porta in scena Gli uccelli, Le Nuvole, Le Rane, e la riscrittura – in collaborazione con Carlo Boso – della più celebre favola latina: L’asino d’oro di Apuleio. Il programma sul sito www.atelierteatro.it.
Si conclude il 2 giugno la lunga rassegna dell’Azienda Speciale Palaexpo iniziata il 2 febbraio, presentata presso il Mattatoio di Roma, organizzata in collaborazione con l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico: la messa in scena di progetti di didattica e spettacolo con la supervisione di maestri d’eccezione come Antonio Latella, Giorgio Barberio Corsetti, Valentino Villa, nuove realtà del teatro italiano come Giovanni Ortoleva, Federica Rosellini, Leonardo Manzan, affiancati a progetti e proposte di giovani autrici e autori, registe e registi, che si affacciano oggi sul panorama nazionale.
Sono state più di 30 giornate di spettacoli aperte gratuitamente al pubblico della città. Lo spettacolo di chiusura, dal 31 maggio al 2 giugno, è Quando noi morti ci risvegliamo, firmato da Leonardo Manzan e Rocco Placidi, che vede in scena i giovani attori Eva Cela, Pietro Giannini, Fabiola Leone, Irene Mantova, Riccardo Rampazzo, Daniele Valdemarin, la scenografia di Giuseppe Stellato, i costumi di Graziella Pepe, il sound design di Franco Visioli, e le luci di Simone De Angelis.
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