In Scena è la rubrica dedicata agli spettacoli dal vivo in programmazione sui palchi di tutta Italia: ecco la nostra selezione della settimana, dal 28 ottobre al 3 novembre.
Dal 31 ottobre al 9 novembre 2024 è in programma a Bologna la ventiduesima edizione di Gender Bender, il festival internazionale curato da Daniele Del Pozzo e Mauro Meneghelli, che ospita ogni anno opere, artisti e artiste da tutto il mondo per esplorare gli immaginari legati ai corpi e ai generi. Focus sulla nuova scena coreografica tedesca con gli spettacoli di Moritz Ostruschnjak, James Batchelor e Margarida Alfeirão, tre artisti che hanno scelto la Germania come base per il proprio lavoro creativo.
Nella sezione cinema la proiezione di From Ground Zero, film collettivo palestinese selezionato per la corsa all’Oscar. La sezione danza presenta otto prime nazionali. Per la scena coreografica tedesca, tra i debutti, in prima nazionale Shortcuts To Familiar Places del coreografo australiano James Batchelor, un duo coreografico che fonde quattro generazioni di danza moderna, europea e australiana.
Il coreografo Moritz Ostruschnjak presenta due lavori: Terminal Beach e Tanzanweisungen (it won’t be like this forever) quest’ultimo è un solo frenetico e ironico affidato all’eccezionale danzatore Daniel Conant: un fuoco d’artificio di passi, giri e calci che rispecchia lo stile eclettico di Ostruschnjak, formatosi nella scena della street art e dei graffiti. Gaetano Palermo presenta in prima nazionale The Garden (3-4-5 novembre), un’opera che sfida le abitudini degli spettatori, fondendo i dispositivi del cinema, della danza, del teatro e delle arti visive.
Dalla Francia, Reface di Les Idoles esplora la trasformazione fisica e musicale. Due interpreti in scena mutano in maniera caleidoscopica forma, dando vita a personaggi e caratteri camaleontici grazie a del semplice nastro adesivo, parrucche e straordinarie capacità mimetiche, apparendo buffe, spaventose, candide, perturbanti e grottesche.
Il programma completo sul sito genderbender.it.
Acclamato da critica e pubblico a Londra e Broadway arriva in Italia 1984, dal romanzo capolavoro di George Orwell, nella rivisitazione teatrale del regista Giancarlo Nicoletti (vincitore del Premio Franco Enriquez 2023), e con interpreti principali Violante Placido, Ninni Bruschetta e Woody Neri.
Il capolavoro Orwelliano, ormai un classico contemporaneo, è diventato nel tempo il prototipo di ogni utopia negativa ed è probabilmente la rappresentazione più forte di ogni totalitarismo, oltre che uno dei libri più letti e amati della storia. Nella visione onirica e innovativa di Icke e Macmillan, 1984 mantiene intatta ancora oggi tutta la sua sconvolgente attualità, e si trasforma in un vero e proprio tour de force spettacolare, a metà fra thriller, storia romantica, grande letteratura e noir.
1984 racconta di un gruppo di storici che, nel 2050, scoprono il diario del compagno 6709, Winston Smith, scritto appunto nel 1984, anno in cui il mondo è diviso in tre superstati in guerra fra loro: Oceania, Eurasia ed Estasia. L’Oceania, la cui capitale è Londra, è governata dal Grande Fratello, che tutto vede e tutto sa. I suoi occhi sono le telecamere che spiano di continuo nelle case, il suo braccio la Polizia del pensiero che interviene al minimo sospetto. Tutto è permesso, non c’è legge scritta. Niente, apparentemente, è proibito. Tranne pensare. Tranne amare. Tranne divertirsi.
“1984”, di George Orwell, regia Giancarlo Nicoletti, con Violante Placido, Ninni Bruschetta e Woody Neri insieme a Silvio Laviano, Brunella Platania, Salvatore Rancatore, Tommaso Paolucci, Gianluigi Rodrigues, Chiara Sacco; scene Alessandro Chiti, video Alessandro Papa, costumi Paola Marchesin, luci Giuseppe Filipponio, musiche Oragravity. produzione Goldenart Production. A Roma, Teatro Quirino, fino al 3 novembre; Carpi, Teatro Comunale, dal 9 al 10 novembre; Genova, Teatro Ivo Chiesa, dal 14 al 17; Milano, Teatro Carcano, dal 20 al 24; e in tournée.
«Portare il teatro fuori dal teatro, farlo vivere». È con queste parole che la compagnia messicana Lagartijas Tiradas al Sol racconta il processo creativo di Centroamérica (al Mattatoio di Roma, il 2 e 3 novembre, per il Romaeuropa Festival). Un progetto dall’anima plurale che se da un lato sembra tenere salde le riflessioni sulla realtà e sul suo rapporto con la finzione che hanno caratterizzato l’estetica della compagnia, dall’altro si apre alla necessità di dare voce a chi non può più averla. Centroamérica nasce infatti dall’incontro con una donna nicaraguense costretta a lasciare il suo Paese per estendersi gradualmente a tutta la regione dell’America Centrale.
Una regione di cui in Messico sappiamo poco, che non fa parte del nostro immaginario o delle nostre fantasie» prosegue la compagnia «un gruppo di sette Paesi, un nome, un’intenzione politica, un segno. Un luogo vicino ma lontano perché dal Messico guardiamo sempre verso Nord. (…) L’America Centrale è uno specchio che, oltre a mostrarci il nostro riflesso, si è trasformato in una premonizione. (…) Un campo di sperimentazione: il Canale di Panama, le piantagioni di banane, i Bitcoin, i sogni di rivoluzione, le dittature che ritornano sempre, le zone speciali per lo sviluppo industriale e commerciale, le bande, gli esodi e le migrazioni causate dall’insicurezza, dalle dittature, dall’instabilità politica, dai conflitti armati». Così, Lagartijas Tiradas al Sol ci invita alla scoperta di un territorio, con le sue storie e interviene nella vita di una persona in particolare, per rappresentare chi non può più tornare sul palcoscenico della sua vita precedente.
La rassegna di danza internazionale di Genova Resistere e Creare prosegue la programmazione ospitando, il 31 ottobre ai Teatri di S. Agostino, lo spettacolo Gli anni di Marco D’Agostin, artista attivo nel campo della danza e della performance, con Marta Ciappina, vincitore di due Premi UBU nel 2023: Migliore Spettacolo di danza dell’anno e Miglior Performer a Marta Ciappina. P
rendendo spunto dall’omonimo libro di Annie Ernaux, Gli anni è un lavoro pensato con e per Marta Ciappina, interprete unica nel panorama della danza italiana per itinerario artistico e peculiarità tecniche. Danza, parole, musica e immagini sul senso del tempo che scorre e il rapporto con il passato, tra grande e piccola storia, tra memoria individuale e collettiva. Un viaggio tra il presente –momento della performance, irripetibile incontro romantico – e il passato di ognuno in cui la performer rende disponibile sul palco la propria impetuosa esistenza, lasciandoci entrare nei luoghi di luce e d’ombra della sua storia, invitandoci a giocare con i nostri ricordi, in una trama di andate e ritorni che confonde le storie, le canzoni e memorie.
Un intreccio tra dimensione individuale e collettiva, che si stende tra palco e platea come l’ombra di un romanzo da scrivere insieme a cento mani; una spinta ad attraversare le rovine guardando in alto.
A più di quarant’anni dalla scrittura di Interrogatorio a Maria, le brucianti domande rivolte dal grande autore lombardo Giovanni Testori alla Madonna ancora hanno la forza di trapassare ognuno di noi. Di colpo ci troviamo precipitati dentro l’avvenimento di un incontro cruciale, in cui, quasi fuori dal tempo e dallo spazio, il figlio di carne e la madre celeste si incontrano. È un incontro di respiro potentemente universale e, allo stesso tempo, commoventemente intimo, personale. È il tentativo struggente e audace di mettere parole nello spazio muto e però denso di pensieri, inquietudini, domande, sentimenti e contraddizioni che abita il rapporto di un figlio con la madre.
Con una parola alta, austera e poetica, Testori, in un momento di profonda crisi e di drammatico dialogo – ora tenero, ora spietato – sottopone la Madonna alle domande più urgenti, tormentate e, a volte, scomode. Maria – madre di Gesù, madre dell’umanità, ma anche incarnazione di inesorabili contraddizioni e di insondabili misteri – non si sottrae, ma si fa vicina.
“Interrogatorio a Maria”, di Giovanni Testori, con Leda Kreider e Miriam Giudice, regia Paolo Bignamini, adattamento Giulia Asselta, scene e costumi Nani Waltz, disegno luci Fabrizio Visconti. Produzione Centro Teatrale Bresciano, in collaborazione con CMC Centro Culturale di Milano. A Brescia, Teatro Mina Mezzadri, dal 29 ottobre al 3 novembre
Come il mare che si ingrossa e cresce sotto l’influenza della Luna. Flusso, come quello di coscienza: i pensieri messi in fila dalla fretta di farli uscire. Flusso di Christian di Furia è un testo dalla natura anfibia: un monologo per due attori, Lino Guanciale e Gianmarco Saurino, presentato in forma di studio al Mattatoio di Roma il 30 ottobre, per il Romaeuropa Festival. Due attori, un solo personaggio. Un solo personaggio e due vite, l’uomo è il bambino che è stato e quello che è ancora. Entrambi vivono in una camera, una stanza vera e inventata, un luogo reale come le navi e i vascelli dei grandi romanzi. La sua vita è accaduta e immaginata, come una storia, che succede solo se la leggi e la dici. Il racconto si articola in parole che sciabordano come in una tempesta, fino a strabordare e a cadere tra le pagine di romanzi classici e avventure paradigmatiche.
Dal 27 ottobre al 29 novembre, al TeatroLaCucina ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini di Milano, c’è un’installazione sensoriale, abitata per uno spettatore alla volta. Succede, di Gabriella Salvaterra, è un progetto dedicato alla violenza contro le donne. È realizzato con la collaborazione drammaturgica di Miguel Jofrè Sarmiento, psicologo e attore, con i costumi di Giuliana Pavarotti e con Arianna Marano, Giuliana Pavarotti, Giovanna Pezzullo, Angela Sparvieri, Antonella Carrara, protagoniste sulla scena con Salvaterra.
Questo labirinto non mira a denunciare “gridando”, indaga piuttosto, con delicatezza, fuori da sensazionalismi e voyerismo, la forma di violenza sottile che moltissime donne vivono, considerando un contesto sociale ancora regolato da una forte tendenza al patriarcato. La violenza viene affrontata come componente intrinseca e invisibile di alcune relazioni, come impulso talvolta così sottile e impercettibile da risultare “culturalmente accettabile”.
L’autrice ha lavorato ponendo domande a se stessa e ai componenti della compagnia, partendo da materiale biografico per arrivare a riconoscere forme di violenza vissute in prima persona e magari fino a quel momento non riconosciute come tali. Gli spettatori saranno invitati a vivere il percorso uno alla volta perché in solitudine si possono cogliere sfumature emotive nascoste, lasciandosi avvolgere dallo stupefacente paesaggio visivo, olfattivo (a cura di Giovanna Pezzullo) e sonoro (cura di Pancho Garcia), che è tra le cifre distintive del SST – Sense Specific Theatre. Ingresso dalle ore 18.00 o 19.30, a seconda dei giorni, prenotazione obbligatoria.
Lo spettacolo La tenda di Achille della compagnia Manovalanza, regia, drammaturgia e spazio scenico di Adriana Follieri (il 28 ottobre al Teatro Comunale di Caserta), costituisce il secondo capitolo del progetto DISADIRARE nato nel 2022 dall’incontro tra le associazioni CCO – Crisi Come Opportunità e Manovalanza nell’ambito del progetto nazionale a cura di CCO – Crisi Come Opportunità Presidio Culturale Permanente negli Istituti Penali per Minorenni.
Il sostegno della Fondazione Campania dei Festival ha consentito al progetto di consolidare la sua visione artistica nella creazione di una Compagnia teatrale con attrici e attori professionisti insieme a persone detenute ed ex detenute, condividendo spazi di ricerca e creazione fino alle fasi di produzione teatrale, aprendo un piccolo varco nella realtà e affacciandosi così a edificarne una nuova, alternativa a quella brutale che l’esterno pone come specchio.
L’azione si sviluppa tra quello che potrebbe essere l’accampamento degli Achei e il mare, uno spazio esteso e desolato abitato da persone lontane con all’orizzonte l’agognata Itaca, incombenti le mura di Troia da espugnare, e in una suadente prossimità la tenda di Achille dove i corpi in vicinanza seppur apolidi trovano la casa, il nido ideale per elaborare la propria crescita e la trasformazione che ne deriva. La violenza incombe, straziante. Tuttavia il processo che porta ciascuno a disadirarsi continua tenacemente. Connotato ciascuno da un Ex Voto, frammento di armatura Per Grazia Ricevuta, ogni eroe ed eroina attraversa la possibilità di deporre le protezioni in gesto di sovversiva rinuncia alla guerra, verso un capovolto sistema di affermazione di sé, in campo aperto di anime esposte, rovesciate.
Prosegue rassegna di danza contemporanea a cura di Körper, Centro Nazionale di Produzione della Danza attento alla sperimentazione e alle nuove proposte, con la direzione artistica di Gennaro Cimmino (al Teatro Nuovo di Napoli, dal 29 ottobre al 3 novembre), con le produzioni della MM Contemporary Dance Company.
La serata Night Stories propone le performance Short Stories di Michele Merola, e Skrik di Adriano Bolognino (29 ottobre), e Ballade di Mauro Bigonzetti (31 ottobre). Il 2 e 3 novembre spazio dedicato alle produzioni Körper con MDMA di Gennaro Maione, un lavoro ispirato all’immaginario cinematografico di Dario Argento, e il dittico Your body is a battleground e Gli Amanti di Adriano Bolognino.
Short Stories coinvolge i corpi danzanti in un disegno continuo, costruito su ripetizioni e differenze, momenti di assoli, duetti e partiture corali, un susseguirsi di quadri generati dal sound della musica live di Natalia Abbascià. Skrik invece, si ispira al dipinto L’Urlo di Edvard Munch, opera che ha portato il coreografo a indagare il tema della tragedia, dell’angoscia e della piccolezza dell’uomo nell’immensità dell’universo.
Ballade è un omaggio, un racconto corale, un ritratto a tutto tondo degli anni Ottanta. Una narrazione per immagini musicali che recupera le sensazioni di una generazione, cucito su una drammaturgia musicale strutturata sulle tensioni e le visioni di quegli anni, che attinge da autori diversi protagonisti di quel periodo, da Prince all’anarchica genialità di Frank Zappa, alla poesia profonda di Leonard Cohen, sino all’estetica punk ed esistenziale dei CCCP.
Noto alle cronache come lo “007 dell’arte”, Rodolfo Siviero è stato spia, funzionario statale, dongiovanni e influencer ante-litteram. La sua vita è materiale per un romanzo storico, una storia d’avventura, un feuilleton sentimentale. O forse è altro? Avrei preferito essere un gabbiano, il nuovo spettacolo di Teatro dell’Elce di e con Marco di Costanzo (a Firenze, Cantiere Florida, il 30 ottobre, nell’ambito della stagione di prosa a cura di Elsinor Centro di Produzione Teatrale), intreccia la storia straordinaria di un uomo diventato famoso per aver recuperato le opere trafugate allo stato italiano dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale a quella con S maiuscola dell’Italia repubblicana, tra luci e ombre, spacconate e segreti, fino alla definitiva caduta delle illusioni.
C’è anche una terza vicenda, quella più misteriosa dell’umanità di Siviero: una sorta di discesa agli inferi, un percorso tortuoso che indaga le sfumature di un animo tormentato, in cui gli slanci convivono col più cupo disincanto. Tre voci umane e una strumentale, quella di un violoncello elettrico, inseguono le tracce ambigue della memoria di Siviero tra inciampi, scoperte, incontri, alla ricerca di qualcosa che sfugge ma irresistibilmente attrae.
Il gioco di passaggi e continui cambi di fronte di Guerra e pace, l’alternarsi di proiezioni e apparizioni dal vivo, il forte contributo epico delle musiche si presentano come ideale seconda puntata di un dittico che indaga i grandi temi dell’umanità e che Tolstoj paragonava alle grandi creazioni omeriche. Denso di riferimenti filosofici, scientifici e storici, il racconto unisce la forza della storicità e la precisione drammaturgica. Mescolando personaggi storici e di fantasia, Tolstoj racconta l’epopea di alcune famiglie aristocratiche russe – i Rostov e i Bolkonskij, depositari dei valori autentici e genuini, intrecciate a quelle dei corrotti e dissoluti Kuràgin – dal 1805 alla travolgente insurrezione di tutto il popolo russo nel 1812.
Grandiosa epopea, toccante esplorazione dei lati oscuri e luminosi dell’animo umano, Guerra e pace si ripropone, di generazione in generazione, con immutata immediatezza e rara capacità di avvincere nel profondo. I temi trattati sono universali e spingono a riflettere sulle dinamiche dei conflitti in tutte le epoche storiche.
Nello spettacolo diretto da Luca De Fusco, che ha adattato il testo insieme a Gianni Garrera, in scena, Pamela Villoresi nel ruolo di Annette, figura di raccordo delle diverse storie familiari e sociali che si intrecciano sullo sfondo delle guerre napoleoniche. Al suo fianco Federico Vanni, Paolo Serra, Giacinto Palmarini, Alessandra Pacifico Griffini, Raffaele Esposito, Francesco Biscione, Eleonora De Luca, Mersila Sokoli, Lucia Cammalleri. Al teatro Biondo di Palermo, fino al 3 novembre; a Catania, Teatro Verga, dall’8 al 17 novembre.
Torna in scena Il grande vuoto, terza tappa della Trilogia del vento di Fabiana Iacozzilli, scritto con Linda Dalisi. Un lavoro di ricerca – interpretato dai performer Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli e Mona Abokhatwa, con cui la regista e autrice Iacozzilli si interroga sul vuoto e sul senso della memoria.
Il Grande vuoto è il tentativo di raccontare una grande storia d’amore: quella tra una madre, i suoi figli e un padre che muore, indagando l’ultimo pezzo di strada che una famiglia percorre prima di svanire nel vuoto e affidando alla tragedia forse più cupa del teatro shakespeariano, Re Lear, il compito di trasformare il dolore attraverso il gioco teatrale.
Nella pièce, che trova risonanze e spunti in Una donna di Annie Ernaux, nel romanzo Fratelli di Carmelo Samonà e in I cura cari di Marco Annicchiarico, la narrazione teatrale si contamina con il video: attraverso fotocamere in grado di proiettare ad alta risoluzione e con visione notturna fino a trenta piedi, i figli possono continuare a vivere la propria vita ed entrare in quella del proprio genitore senza essere visti.
A firmare Il grande vuoto (dal 3 all’11 novembre a Viterbo, Teatro dell’Unione, dal 5 al 10 a Napoli, Teatro Bellini, il 13 e 14 a Sarzana (SP), Teatro degli Impavidi), anche le musiche originali di Tommy Grieco, il suono di Hubert Westkemper, le scene di Paola Villani e il video di Lorenzo Letizia.
Un’opera ibrida tra installazione partecipata, coreografia auto-generativa e live cinema che indaga lo statuto dell’immagine nell’era della “schermocrazia”, a partire da un’indagine sul pensiero di Debord. È Monás – La reale sostanza delle cose, la nuova creazione di Teatringestazione (a Milano, Fabbrica del Vapore / Fattoria Vittadini, nell’ambito di Danae Festival, il 31 ottobre e il 1 novembre). Anna Gesualdi e Giovanni Trono, fondatori della compagnia interdisciplinare di performing art, tracciano le coordinate di un dispositivo scenico, concepito come un ecosistema a cui partecipa il pubblico, all’interno del quale è possibile fare esperienza del differimento del proprio corpo in immagine.
Presentata in anteprima assoluta ad Hangartfest, festival di danza contemporanea, l’opera nasce, in collaborazione con la dramaturg Loretta Mesiti, per riflettere sul rapporto tra spazio reale e spazio di rappresentazione e come in questa frattura si subisca o si pratichi un esercizio di potere. Lo schermo riceve i movimenti degli spettatori-partecipanti, restituendoli in una coreografia istantanea.
L’attore e autore Giovanni Greco porta in scena (al TeatroBasilica di Roma, il 2 e 3 novembre, produzione La Compagnia dei Masnadieri), Jarrusu. Perché e come morì Pasolini. Ancora Pasolini. Ancora vita morte e miracoli pasoliniani post mortem: conversioni e confessioni, dimenticanze e ritrovamenti, bugie e deviazioni. Cercando un montaggio diverso dello stesso girato esistenziale, delle tre piste nere che lo avrebbero alternativamente portato alla morte (quella dell’omosessualità morbosa e notturna, quella dell’eversione nera e fascista, quella del petrolio e della morte di Mattei), evocando l’infinita persecuzione giudiziaria (33 processi in 25 anni), frutto dell’oscenità delle sue opere. Per arrivare a mettere al centro il corpo del poeta morto/vivo già in vita e vivo/morto a quasi cinquant’anni dalla morte. Un corpo che richiama altri corpi martoriati, altri morti senza giustizia esposti a una consunzione di parole oltre che di tempo.
Altri corpi di povericristi adagiati tra le braccia senza forza di madri incredule e raggelate come statue della Pietà, come Madonne bestemmiate dalla mediocrità del buon senso comune, dall’ipocrisia del quieto vivere, dalla connivenza tra l’orrore e la malafede.
La TAO Dance Theater, compagnia di danza cinese con sede a Pechino, fondata nel 2008 dai coreografi Tao Ye, Duan Ni e dalla producer Wang Hao, giunge al festival Aperto di Reggio Emilia, il 30 ottobre, con lo spettacolo 13 & 14, una performance fondata sulla forza ipnotica del corpo e sul potere del movimento. Le due coreografie fanno parte delle Numerical Series, curiosa idea di TAO Dance Theater, che ha dato vita a un insieme di tante creazioni, ognuna delle quali si intitola con il numero dei danzatori coinvolti.
13, per 13 danzatori, si sviluppa secondo uno schema triplice, indagando tre modi del corpo di relazionarsi: l’assolo, il duetto, l’ensemble. Partendo dall’unità dell’ensemble, la coreografia frammenta progressivamente i danzatori in formazioni diverse tra ralenti e accelerazioni improvvise, riflettendo la “complessità del mondo fisico, dove capita di continuo di urtarsi, congiungersi e disgiungersi, cadere e rialzarsi rimbalzando” all’interno di una forma coreografica al contempo rigorosa e aperta.
Uno studio sul ritmo, 14, per 14 danzatori, ricorre a veloci cambi di movimento che fanno emergere tutte le possibilità tra stasi e movimento. Risultato di un dinamismo complesso, 14 porta il vocabolario del “Circular Movement System” – un processo di studio che si accosta al corpo in modo circolare – all’estremo: punti, linee e piani che si intersecano nello spazio riconducono l’opera al puro movimento dispiegandone tutta la gamma di possibilità.
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