In Scena è la rubrica dedicata agli spettacoli dal vivo in programmazione sui palchi di tutta Italia: ecco la nostra selezione della settimana, dal 4 al 10 novembre.
Al di là di ciò a cui è spesso associata, l’oscurità può essere disorientante e persino minacciosa: l’ignoto, l’oscuro, il vuoto. Ma se guardassimo queste caratteristiche attraverso un cambio di prospettiva? È ciò che si chiede Arno Schuitemaker, di ritorno al Romaeuropa Festival con 30 apparences out of darkness (il 6 e 7 novembre al teatro Vascello). Da sempre interessato alla reiterazione del movimento e all’attività percettiva del pubblico, il coreografo trasforma il buio in un’esperienza visionaria lasciando emergere nel vuoto dello spazio scenico, nero come la pece, immagini ipnotiche ed effimere come fugaci baluginii.
Cosa differenzia ciò che vediamo da ciò che riusciamo solo a percepire? E cosa, oltre lo sguardo, ci avvicina al gruppo di danzatori che si muove sulla scena? Corpi emergono dal buio e con la luce trasformano l’oscurità in un nuovo spazio capace di accoglierci: un luogo di protezione, speranza e conquista.
«Con Sahara si ricerca la condizione iniziale dell’artista che ha, come materia, soltanto la propria persona» afferma il testo di presentazione della nuova creazione di Claudia Castellucci di ritorno al REF insieme alla sua Compagnia Mòra (al Teatro Ateneo-La Sapienza di Roma, l’8 e 9 novembre). La ricerca sul movimento che attraversa l’attività creativa e formativa dell’artista, si confronta qui con l’immagine del deserto: un luogo privo di materie prime in cui si è costretti a creare solo con ciò che si ha, ovvero se stessi.
«Il deserto racchiude tutte le fantasie e il suo ambiente è falsamente vuoto, popolato, com’è, di immagini mentali di ogni specie. Lo avevano capito bene gli anacoreti di un tempo, che proprio nel deserto andavano a combattere le immagini del mondo… (…) Se nelle danze precedenti di Castellucci la tensione mentale dei danzatori era implicita nell’interpretazione di uno schema coreografico rigoroso da risvegliare, qui, la danza è sempre più spinta ad affermare se stessa come arte della flagranza, dove larga parte dell’impegno è espressa da una decisione immediata in carico a ogni danzante, molto spesso lasciato solo con se stesso, e spogliato di qualsiasi modello. La danza guarda a una semplicità estrema, che il deserto non offre, ma turba al massimo grado».
Gli attori, autori e registi Niccolò Fettarappa e Nicola Borghesi insieme sul palco per interrogarsi con amara ironia sulla politica italiana di oggi attraverso «l’unica cosa che sanno fare»: teatro. In Uno Spettacolo Italiano (a Modena, Teatro delle Passioni, dal 7 al 10 novembre, produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Agidi, Sardegna Teatro), i due artisti si trovano a vivere in un’Italia cambiata, in cui i loro «spettacolini di sinistra» non hanno più spazio. Per sopravvivere in un mondo in cui «hanno vinto loro» e non sapendo fare altro nella vita se non teatro, l’unica soluzione che vedono è quella di diventare artisti di destra. Ci provano. «Spazi, case, televisioni e piazze – affermano gli autori – hanno i loro colori. E noi, sempre più sbiaditi. / Se non puoi batterli, e non possiamo, unisciti a loro. Loro sono la maggioranza. E forse un motivo c’è. / Nel mondo della cultura c’è bisogno di una nuova classe dirigente. E noi siamo pronti. Dove c’è discordia, porteremo armonia. Dove c’è errore, porteremo verità. Dove c’è dubbio, porteremo fede. Dove c’è angoscia, porteremo speranza. Questo è uno spettacolo di destra. Siamo Nicola e Niccolò e siamo pronti a rinnegare tutto, siamo pronti a salire sul carro dei vincitori. E non faremo prigionieri».
Il regista e attore Igor Horvat dirige I fisici di Friedrich Dürrenmatt, tragicommedia grottesca di cui cura anche la traduzione (prima assoluta al LAC di Lugano, il 5 e 6 novembre, poi al Teatro Sociale Bellinzona il 14 e 15, produzione LAC Lugano Arte e Cultura, interpreti Igor Horvat Catherine Bertoni, Jonathan Lazzini, Marco Mavaracchio, Giorgia Senesi, e Pierluigi Corallo).
La commedia si svolge all’interno di un istituto psichiatrico privato, la clinica “Les Cerisiers”. Uno dei pazienti è il fisico Möbius, ritenuto lo scopritore del Sistema di Tutte le Scoperte Possibili, smisurato strumento di conoscenza che sprigionerebbe infinite possibilità, terribili responsabilità e, soprattutto, incontrastabile potere. Curiosamente, altri due pazienti sono anch’essi dei fisici, i quali sostengono di essere Isaac Newton l’uno e Albert Einstein l’altro. Una preoccupante serie di omicidi rompe gli equilibri all’interno della clinica e l’inevitabile intervento della polizia scatena un susseguirsi di colpi di scena e di svelamenti inattesi. Segreti pericolosi vengono a galla e sollevano spinose questioni etiche, trascinando la vicenda fino all’apice del paradosso, che per Dürrenmatt era imprescindibile chiave di lettura della realtà.
Fa tappa a Gorizia (Teatro Verdi il 5 novembre), poi a Bologna (Teatro Celebrazioni, il 7), e in molte altre città della Penisola, il nuovo tour italiano della Parsons Dance con Balance of Power, un programma che racchiude amati classici del suo repertorio e due inedite produzioni presentate per la prima volta in Europa.
Il primo è Juke, un omaggio a Spanish Key, tratto dall’album Bitches Brew del leggendario musicista jazz Miles Davis, e agli anni Settanta, con le forme psichedeliche che creano una cornice per far risaltare il talento dei singoli danzatori. Il secondo, The Shape of Us, è un viaggio dall’alienazione alla connessione con le melodie del gruppo elettronico sperimentale Son Lux. I ballerini si esplorano scoprendo la reciproca bellezza e i loro legami comunitari. Seguono Caught (1982), assolo mozzafiato sulle note di Let The Power Fall di Robert Fripp, nel quale il danzatore sembra sospeso in aria grazie a un gioco di luci stroboscopiche; Balance of Power, un assolo creato nel 2020 durante la pandemia e in collaborazione con il compositore e percussionista italiano Giancarlo De Trizio, che evidenzia l’intrigante equilibrio di potere tra musicista, danzatore e coreografo; Whirlaway, sulle note che spaziano dal rock al blues, passando per il jazz, la coreografia è un continuo alternarsi di assoli, passi a due, a quattro, a sei, a otto, con coppie che si rimescolano continuamente; Takademe (1996) è invece un assolo creato da Robert Battle ai tempi in cui era ballerino della compagnia e mescola umorismo e movimento acrobatico in una decostruzione accorta dei ritmi della danza indiana Kathak.
L’8 novembre a Rimini, Teatro Galli; il 9 e 10 a Ferrara, Teatro Comunale; il 12 a Senigallia (AN), Teatro La Fenice; il 13 a Pescara, Teatro Massimo; dal 14 al 17 novembre a Roma, Teatro Olimpico.
La coppia di artisti Luca Ariano e Pietro Faiella firma Riccardo III, una visionaria architettura del potere, un viaggio a perdifiato nella mente del Duca di Gloucester che restituisce tutta la crudeltà del monarca condannato al perpetuo «inverno del nostro scontento», immerso in un dispositivo sfolgorante di luci e strappi visivi dentro una scatola/universo di un bianco accecante. Un’esperienza immersiva che prende forma sulla scena attorno alla figura del re spietato e senza scrupoli, dalla sempre inappagata smania di ambizione, in grado di manipolare la folla di personaggi, un reticolato di cortigiani, avversari, rivali, servitori e parenti, tutti vittime della sua ferocia.
Nel biancore abbacinante la vicenda avanza quasi in contrapposizione con l’oscuro destino che Riccardo di Gloucester incarna, facendo della medesima corruzione fisica e morale la propria forza propulsoria, fino a quando il fiume di sangue che va disseminando si dissolverà nel baratro in cui nessun trucco ha più effetto, nessuna illusione è più efficace, nessuna minaccia ha più forza. Attorno a lui errano, vagando e sbagliando, altri sedici personaggi, distribuiti tra otto attrici e attori secondo schemi tematici funzionali, avviluppati nella rete mortifera del Duca, fatta di inganni e lusinghe, tranelli e mistificazioni.
“Riccardo III” di William Shakespeare, progetto di Luca Ariano e Pietro Faiella, regia Luca Ariano, con Pietro Faiella, Roberto Baldassari, Gilda Deianira Ciao, Romina Delmonte, Luca Di Capua, Lucia Fiocco, Mirko Lorusso, Liliana Massari, Alessandro Moser, traduzione e adattamento Natalia Magni, scene e luci Luca Ariano, costumi Elisa Leclè. Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale in collaborazione con Lubox. A Roma, Teatro India, fino al 10 novembre.
Per Autunno Danza, progetto di Fuorimargine, il Centro di Produzione di danza e arti performative della Sardegna, va in scena il 9 e 10 novembre negli spazi di Sa Manifattura a Cagliari, Le lacrime dell’eroe del coreografo Enzo Cosimi.
Lo spettacolo si ispira all’ultimo capitolo dell’Orestea, Eumenidi, forse il più complesso atto della tragedia da trasferire sulla scena. Eumenidi celebra la nascita della democrazia. Lo fa attraverso l’assoluzione di un matricida. Il dramma è già avvenuto e l’azione si sviluppa principalmente attraverso i dialoghi di un processo riportati qui grazie al confronto con un’intelligenza artificiale, progettata appositamente.
L’intelligenza artificiale, istruita attraverso il testo di Eschilo, gli atti di maxi processi, fatti di cronaca, estratti di saggi di filosofia politica, viene interrogata nella creazione del verdetto finale. Il confronto con il tema della colpa legata al matricidio è affrontato attraverso il format dell’installazione coreografica grazie alla costruzione di un set visivo clinico, specchiato e glaciale che rimanda al panopticon e rifrange la potenza e l’attualità del dramma. Nel lavoro il tema del controllo divino si trasferisce in una riflessione sull’invasione della sorveglianza e del tracciamento digitale nella vita quotidiana, rivelando la sua allarmante arbitrarietà e la vulnerabilità nell’errore.
Il celebre Simposio di Platone è il punto di partenza per vedere il rapporto di coppia attraverso la lente della filosofia. Esplorando il profondo legame tra musica e danza attraverso un dialogo potente e costante, la Compagnia Bellanda, dei danzatori e coreografi Giovanni Gava Leonarduzzi e Lia Claudia Latini, con lo spettacolo Tuorlo d’uovo mette in scena la relazione, la dipendenza e la coesistenza di due identità separate ma in costante tensione, in una perpetua ricerca di unione e completezza. Durante un banchetto, Aristofane racconta il mito degli esseri androgini, creature originariamente complete divise a metà da Zeus. Da allora, ogni metà cerca la sua parte mancante per ritrovare l’unità perduta.
Tuorlo d’uovo (al Teatro Comunale di Monfalcone, l’8 novembre) richiama l’immagine di un’entità centrale e vitale, il cuore di un guscio che rappresenta la protezione e la separazione, ma anche la possibilità di unione e fusione. Il tuorlo è la potenzialità nascosta di ogni relazione umana. Questa ricerca della propria metà complementare, dall’incontro all’attrazione, dalla crisi alla riconciliazione, si esprime in un crescendo emotivo grazie alla straordinaria sinergia tra musica, danza, suono e parola.
L’esplorazione di sentimenti è affidata, infatti, alle parole di Daniele Tenze, cui si associano i movimenti esplorativi dei danzatori. Le musiche di Fabrizio Modenese Palumbo sono arricchite dai paesaggi sonori di Maurizio Cecatto, sound designer, in dialogo con il violoncello di Julia Kent.
La nuova creazione firmato da Octavio de la Roza e Camilla Colella arriva per la prima volta in Italia (l’8 novembre, per la rassegna autunnale di ModenaDanza al Teatro Comunale di Modena) per portare al pubblico, come dice il titolo, Contempotango, la danza argentina secondo la tradizione, ma nella sua dimensione contemporanea. Non il tango di cent’anni fa ma raccontato con il linguaggio di oggi. Per il danzatore di Buenos Aires, il tango è una radice forte, affascinante, imprescindibile, anche se la sua storia si evolve attraverso una carriera nella danza contemporanea, come étoile nella compagnia di Maurice Béjart prima di tutto. È stato proprio il tango, con lo spettacolo Tango mon amour, a inaugurare, tredici anni fa, la prima collaborazione con Camilla Colella, formando da allora una coppia nella vita e sulla scena.
Sulla scena, lo spettacolo scorre sul filo rosso di un percorso ai confini con l’autobiografia, dove i danzatori raccontano l’intimità della coppia, la famiglia, la quotidianità, il lavoro. Una particolarità dello spettacolo, che coinvolge sette coppie di ballerini provenienti dalla scuola LaCapriola di Modena, è il richiamo alla ‘milonga’, il luogo tradizionale dove gli appassionati in tutto il mondo si trovano per danzare.
Compie 15 anni Testimonianze ricerca azioni, il festival di Teatro Akropolis, fra danza, cinema, musica, eventi (a Genova dal 5 al 17 novembre), che parte da Teatro Akropolis a Sestri Ponente, passando da Villa Durazzo Bombrini a Cornigliano fino ad irrompere a Palazzo Ducale con la danza butō.
Tra i tanti appuntamenti la Compagnia Teatro Akropolis ha creato alcuni eventi speciali: il 16 novembre la prima assoluta della nuova produzione video di Akropolis La parte maledetta. Viaggio ai confini del teatro. Carmelo Bene di Clemente Tafuri, e la giornata di studi dedicata a L’Incorporeo sulla crisi della rappresentazione a cui segue in anteprima assoluta la presentazione di Heliopolis il primo archivio digitale interamente dedicato alle arti performative consultabile gratuitamente on line; l’8 At first light collaborazione con Pietro Borgonovo, e dal 10, fino al 24 novembre a Palazzo Ducale la mostra fotografica di Lorenzo Crovetto Teatro Akropolis. Testimonianze Ricerca Azioni, in programma fino al 24 novembre. Nel programma Memorie del sottosuolo da Fëdor Dostoevskij di Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa; E di tutti i volti dimenticati di Masque Teatro. Alcuni degli appuntamenti della danza: Zoologia di Lupa Maimone/Oltrenotte; Vacuum. la conquista del vuoto un assolo di e con Ilenia Romano; Alessandra Cristiani con Diario performativo. Movimento in potenza; Micheal Incarbone in Fallen Angels_Mixtape; Nicola Galli con Il mondo altrove: una storia notturna; Paola Bianchi in Brave; Vincenzo Schino in Trickster (Studio).
Il programma completo sul sito teatroakropolis.com.
A novembre riparte la versione FALL di DAB DANZA A BARI la rassegna di danza contemporanea che accoglie tutte quelle espressioni di diverse generazioni di autori e autrici emerse nel corso dell’anno nei principali luoghi di ricerca e offerta di danza.
Il 5 novembre, al teatro Kismet, l’ultima, accattivante creazione del toscano Jacopo Jenna: Danse Macabre!, danza e collaborazione Ramona Caia, Andrea Dionisi, Francesco Ferrari, Sara Sguotti; il 6, la prima delle tre serate in collaborazione con BIG Festival, con lo sviluppo dell’azione di accessibilità in collaborazione con Al.Di.Qua. Artists: l’audio-descrizione poetica per ciechi ed ipovedenti realizzata da Camilla Guarino e Giuseppe Comuniello e che accompagnerà tutti e tre i lavori ospiti della serata: la danza politica e la danzaeducazione di Aristide Rontini, performer, coreografo e praticante di danza di comunità, con Lampyris Noctiluna, che indaga il suo corpo in dialogo con l’eredità di Scritti Corsari di Pasolini.
Segue il collettivo di ricerca coreografica Tyche in scena Citerone, coreografia Michele Ifigenia Colturi, e a seguire la seconda coreografia di Colturi selezionata per la Vetrina della Giovane Danza d’Autore 2023 di Anticorpi XL: Cuma.
Torna in scena, con un nuovo allestimento, Radio Belice non trasmette scritto da Giacomo Guarneri, liberamente ispirato a I ministri dal cielo di Lorenzo Barbera (a Palermo, Bottega 5 dei Cantieri culturali della Zisa, dal 7 al 10 novembre). Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Ditirammu e dall’Associazione Babel, è interpretato da Dario Muratore che firma anche la regia insieme a Marcello Vaccarino.
Radio Belice non trasmette è un’originale radiocronaca narrata dalla voce della comunità stessa, una sorta di Antologia di Spoon River ambientata ai tempi del terremoto del Belice. Siamo sul finire degli anni Sessanta: la storia italiana è già tutta lì, stesse logiche, analoghi interessi, tragedie che segnano, ricostruzioni e promesse disattese.
Il testo si identifica con la povertà di risorse del tempo e diventa un’opportunità drammaturgica. L’essenzialità è la chiave del testo e della messa in scena ed è per questo che, a dieci anni di distanza, lo spettacolo torna sul palcoscenico, con un nuovo allestimento, e affida ad una sola voce la sfida di raccontare al presente quella storia che è rimasta ferita sulla terra e che ha segnato indelebilmente un popolo. Sette sedie, un microfono e una voce bastano a raccontare i ricordi di una comunità unita, un desiderio condiviso, un sogno. I personaggi evocati sono “presi in carico” dall’unico attore, Dario Muratore, mantenendo un tessuto linguistico, una tensione e un concertato narrativo coerente e mai retorico.
Chi sono gli adolescenti del 2024? Come si definiscono, quali corpi abitano? E cosa significa avere 17 anni all’epoca del disastro globale? Per lungo tempo il simbolo dell’adolescenza è stata Lolita, immagine di un’età misteriosa e del suo (non) rapporto col mondo degli adulti; ma oggi, a 70 anni dal romanzo di Nabokov, chi è diventata Lolita? Parte da queste domande Never Young_ una docu-performance / Dov’è Lolit* oggi?, lavoro firmato da compagnia Biancofango con la produzione di Elsinor Centro di Produzione Teatrale e Fattore K (a Firenze , Teatro Cantiere Florida, il 9 novembre; dal 13 al 17 al Teatro India di Roma).
Never Young è un salto verso il futuro nel tentativo di abitare un presente complesso, multiforme, furibondo, dentro cui le nuove generazioni urlano il proprio essere qui e ora e pretendono un dialogo. Si impongono nuove domande, si agitano nuove rabbie e quelle mai domate del passato escono dal vaso di Pandora. Giovani Lolit* di ogni genere e sesso giocano a fare le persone grandi. Hanno perso l’isola che non c’è o forse semplicemente non ci credono più.
A fare da contrappunto ai cinque interpreti adolescenti che dominano il palco ci sarà un coro di cittadini over 60 – coinvolti in un percorso partecipativo portato avanti sul territorio cittadino – a incarnare il mondo adulto troppo lontano per essere d’aiuto o troppo vicino per averne rispetto.
Lo spettacolo del Collettivo Baladam B-side sarà uno strano Pigiama party, diretto da Antonio Tony Baladam, in scena insieme ad Alessia Sala e Giacomo Tamburini (a Bologna, Teatri di Vita, 9 e 10 novembre). Si giocherà con i temi più pressanti della contemporaneità, a cominciare dall’informazione tra verità e fake news, scatenando la fantasia degli spettatori.
Pigiama Party è un meccanismo comico perfetto e paradossale, che racconta i nostri tempi parlando apparentemente di tutt’altro. Uno spettacolo in cui si parla di uno spettacolo che non esiste, dando per scontato che tutte le persone in sala l’abbiano visto. Uno spettacolo sulla fine dell’adolescenza, su un’età adulta che ha dimenticato le possibilità sociali del gioco immaginativo, e che non comprende più il piacere misterioso ed erotico di partecipare a un Pigiama Party fuori dal controllo parentale.
Parlando apparentemente di tutt’altro, lo spettacolo analizza alcune derive malsane della comunicazione contemporanea, in un periodo storico in cui la massiccia presenza di informazioni inutili, false e contraddittorie ha trasformato l’era dell’informazione alla portata di tutti in un inferno di sovrastrutture identitarie e verità fittizie, in cui diventa sempre più difficile attivare una propria interpretazione personale non strumentalizzata.
In All about Adam, del regista, autore, attore Giuliano Scarpinato, col danzatore Cristian Cucco (a Milano, PimOff, il 10 novembre), un uomo danza rappresentando l’implosione per accumulo di un costrutto, quello della mascolinità italiana. Nonostante gli abusi e le violenze che ancora oggi vengono perpetrati a causa della mascolinità tossica, all’altro capo dello spettro sembra affacciarsi un maschio afflitto dalle paure, indebolito nelle prospettive. Come se l’evoluzione del maschio non riuscisse a tener testa all’ascesa rapida e continua del genere femminile. Una nuova guerra dei sessi? La fine dei ruoli tradizionali? Ne risulta un’indagine danzata sulla fragilità della mascolinità contemporanea, ribadito a livello sonoro dall’accavallarsi di frasi pronunciate negli ultimi 50 anni da celebri protagonisti della scena italiana, in un mix volutamente caotico.
«Gran Bolero è una grande opportunità per ricordare che ci fu un giorno in cui decidemmo che la danza e la musica ci avrebbero salvato da tutto il resto». Così il coreografo spagnolo Jesús Rubio Gamo riassume lo spirito della sua pluripremiata creazione costruita sulla celebre musica di Ravel. Lo spettacolo è in programma a Catania, nel cartellone della stagione di Scenario Pubblico “Hi!”, il 9 e 10 novembre. In questa coreografia, sei danzatori della compagnia En Knap provenienti dalla Slovenia e sei ballerini della Zagreb Dance Company dalla Croazia si uniscono per rivisitare la partitura musicale.
È un’ode alla speranza e alla danza stessa. La leggerezza combatte con la gravità sulla linea molto sottile tra piacere e stanchezza. Sulle orme della musica, Jesús richiama anche la danza tradizionale spagnola, le tracce di una memoria collettiva, un passato su cui si costruisce il presente. È una danza per celebrare il tempo e lo spazio che condividiamo, un’orchestrazione di gruppi, di relazioni tra gruppi e in un gruppo, di ripetizioni che creano un crescendo, perché la comunità emerga proprio nella tensione di quel “ancora!”, di quella persistenza, di quell’esaurimento che non si esaurisce mai.
Lo spettacolo JUMP! della compagnia Operabianco (a Firenze, Cango, per il festival La Democrazia del Corpo, il 9 e 10 novembre) affronta il problema del ritmo dell’uomo in dialogo con il ritmo del mondo. La danza è la risposta a una domanda implicita nell’ambiente che ci circonda: come continuare a camminare nonostante tutto stia crollando? Usiamo il clown come metafora della condizione umana. Buster Keaton modifica continuamente il suo corpo e le leggi fisiche che lo riguardano in funzione di una marcia ostinata. Sfrutta i disastri per nutrire il ritmo delle sue gag. Pura danza in armonia con il movimento del mondo. Caduta, salto, sospensione. La caduta se vista sottosopra diventa un salto, un tentativo di volo.
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