In Scena è la rubrica dedicata agli spettacoli dal vivo in programmazione sui palchi di tutta Italia: ecco la nostra selezione della settimana, dall’11 al 17 novembre.
Le tre parole del titolo Jonio, Sud, Barocco, la nuova produzione del Balletto del Sud, sono generate dall’acronimo delle iniziali del nome di Johann Sebastian Bach, il compositore tedesco considerato uno dei più grandi nella storia della musica, e inanellano concetti – in chiave metafisica – specifici di una posizione geografica (il Sud dell’Italia) e di una condizione storica e identitaria. La combinazione che schiude il forziere delle immagini evocate è quella che adopera le capacità di Vittorio Bodini e Carmelo Bene.
La prospettiva, che accomuna i temi e i percorsi principali della produzione creativa dei due artisti, fa divenire “contemporanea” la proposta culturale che vede protagoniste la compagnia Balletto del Sud con le coreografie di Fredy Franzutti, e l’orchestra OLES (a Lecce, Teatro Apollo, il 16 e 17 novembre). “Il mar Jonio – spiega il Franzutti – è il “ponte” con le culture classiche, arricchimento e conquista di saperi nella posizione di “terra assoggettata” e popolo conquistato.
Il Sud, “in un’immagine non convenzionale del sud che, pur nella sua concretezza, diventa a volte metafora di una più generale condizione umana”. E il Barocco inteso come “una condizione dello spirito in cui si riflette un disperato senso del vuoto – l’horror vacui” che si cerca di colmare con l’esteriorità, l’ostentazione, l’oltranza decorativa. Il Barocco dell’oltranza di Carmelo Bene, della malleabilità mutuata delle forme statiche – statue e dipinti – fino all’espressione seduttiva del corpo nella sua plasticità”.
Nasce da un’idea di Cristiano Leone, e con la direzione artistica di Anna Lea Antolini, la prima edizione di XENOS. Festival di performance. Danza, Musica, Pittura, Fotografia, Moda e Realtà Virtuale, della Fondazione Antico Ospedale Santa Maria della Scala di Siena (dal 14 al 16 novembre). Il Festival, grazie alla potenza delle performance, nell’antico ospedale celebra l’incontro tra passato e presente. Moltissimi gli artisti coinvolti nelle diverse sezioni: XENOS VR, Flussi di XENOS, La cura di XENOS e Sperimentare con cura.
XENOS VR raccoglie progetti in realtà virtuale, tra questi: ODE corporis, esperienza in virtual reality del Teatro dell’Opera di Roma in collaborazione con Videocittà; Virtual Dance for Real People del Centro Coreografico Nazionale Aterballetto; Peaceful places, di e con Margherita Landi e Agnese Lanza. In prima assoluta Fernando Montaño presenta Crescendo una danza pittorica unica nel suo genere; Alanna Archibald e Sedrig Dimitrie Verwoert con The ritual di Sedrig Dimitrie Verwoert; In prima italiana Mehdi Baki and the Sovage Orchestra propongono PGM.raw tra hip-hop, danza contemporanea e musica elettronica.
E ancora i danzatori Marie Albert e Giacomo Luci col compositore Daniele Roccato; la Compagnia Virgilio Sieni; e infine, Eros, danza d’amore a cura di Daniele Cipriani con i costumi di Roberto Capucci, indossati dal ballerino Sergio Bernal, da Damiano Ottavio Bigi, e dal performer Daniele Sibilli, sulle note della violoncellista Silvia Chiesa e del pianista Yevgeni Galanov, e sui versi della poetessa per bambini Lina Schwarz, recitati da Giorgio Marelli.
Il programma completo sul sito santamariadellascala.com.
Aspettando Re Lear è un adattamento da Shakespeare con un evidente richiamo a Aspettando Godot di Samuel Beckett, uno spettacolo sul difficile rapporto tra padri e figli, sulla relazione tra Uomo e Natura e sulla perdita e il ritrovamento dei valori. Nello spettacolo con la regia di Alessandro Preziosi anche interprete, si parla di follia, di potere che distrugge, di solitudine di caos dentro e fuori, “l’unico ordine possibile” per Michelangelo Pistoletto. E in scena ci sono le opere e i costumi iconici del maestro, come anche delle musiche composte da Giacomo Vezzani sono ispirate ad opere dell’artista.
“Ho immaginato un Re non semplicemente arrivato alla fine dei suoi anni, ad un passo anagraficamente dalla morte – spiega Preziosi -, ma piuttosto spinto dalle circostanze e dalla trama a cercare nella maturità, e non nell’età, il tassello conclusivo della propria vita. L’impazienza che accompagna il rocambolesco circolo di eventi in cui Re Lear travolge prima di tutto sé stesso e quindi gli altri, mi ha suggerito di creare uno spazio mentale teatralmente e scenicamente reso materico dalle opere in scena”.
“Aspettando Re Lear”, di Tommaso Mattei, da William Shakespeare, con Alessandro Preziosi, Nando Paone, Roberto Manzi, Arianna Primavera, Valerio Ameli opere in scena Michelangelo Pistoletto, costumi Città dell’arte/Fashion B.E.S.T, Olga Pirazzi, Flavia La Rocca, Tiziano Guardini, musiche Giacomo Vezzani. Produzione PATO srl, Teatro Stabile del Veneto e Teatro della Toscana. A Roma, Teatro Quirino, fino al 17 novembre, a Cattolica, Teatro della Regina, il 19. In tournée a Urbino, Senigallia, Macerata, Ascoli Piceno,e a Firenze, Teatro delle Pergola, dal 3 all’8 dicembre.
Una rilettura in chiave contemporanea del sacrificio archetipico di Isacco, tra danza e parola. È il Processo ad Abramo, la nuova produzione firmata Versiliadanza, Archètipo e Diesis Teatrango – con autori e interpreti Piero Cherici, Andrea Dionisi, Riccardo Massai e Angela Torriani Evangelisti (prima assoluta il 16 novembre al Teatro Cantiere Florida di Firenze). L’interesse per la figura di Isacco, per l’episodio del sacrificio ordinato da Dio e poi fermato dalla mano di un angelo, sorgono da una ricerca che da anni viene portata avanti dalle tre compagnie riunite in questo progetto.
Gli innumerevoli significati delle simbologie che contengono le grandi narrazioni dell’Antico Testamento, le ricche interpretazioni linguistiche che nascono dall’attenzione alle parole stesse del testo – di per sé poco più di una ventina di righe – da parte di teologi, poeti, filosofi, hanno portato gli autori a chiedersi: “chi sono e cosa ci raccontano oggi Abramo, Sara e Isacco?”
Nasce da qui la necessità di una narrazione a più voci che interroga la dimensione umana del comando terribile a cui Abramo obbedisce e per il quale si mette in cammino. Una scenografia spoglia, cruda, essenziale, un palcoscenico in abbandono per evocare la relazione di Abramo con Dio, ma anche col figlio. Un percorso che è anche il viaggio degli artisti sulla scena, mentre sperimentano la dimensione di relazioni umane archetipiche e al tempo stesso contemporanee.
Guardare al passato per ritrovare il presente, e perché no, il futuro. E non a un passato vicino, ma alla Grecia antica, il punto di contatto tra Oriente e Occidente in cui vissero Omero e Socrate, Saffo e Platone, Sofocle ed Epicuro: il locus interiore da cui veniamo. Lo fa Toni Servillo ne Il fuoco sapiente, monologo con la regia di Giuseppe Montesano in scena per la rassegna “Fuoriserie” del Teatro Goldoni di Venezia, in un’unica data, il 12 novembre.
“Cosa si può sapere del domani?” è l’interrogativo che offre lo spettacolo. La risposta la si trova non guardando avanti, ma ritrovando il “futuro perduto”, cioè quello cominciato venticinque secoli fa, quando i Greci sono approdati a Pitecusa, a Naxos, a Elea e su fino ad Adria e Marsiglia.
I maestri dell’Occidente hanno compreso e tramandato che la vita risplende indistruttibile proprio perché il suo ritmo oscilla tra gli estremi, e così vi trova equilibrio: la notte e il giorno, la guerra e la pace, il dio dell’ebbrezza vitale Dioniso e il dio della morte Ade. Nondimeno gli antichi credevano profondamente che il Bello e il Bene non fossero altro che le due facce di una sola realtà e a partire da questa verità hanno acceso per noi il “fuoco della bellezza”. L’esortazione portata sulla scena da Servillo è quella di ritrovare quel “fuoco sapiente” che accende il cuore e l’intelletto dell’uomo perché non si spenga lentamente nella decadenza cui è dato il nome di modernità.
Doppio appuntamento il 17 novembre all’interno di ZED Festival di Bologna (al Teatro DAMSLab, e Auditorium DamsLab) con in prima nazionale Hybridy è un’installazione multimediale immersiva composta da audio, video e danza, creata da Alberto Barberis e prodotta da Coorpi, che esplora le relazioni simbiotiche dei processi di ibridazione tra corpo e natura, istinto e tecnologia, biologia ed algoritmi, vibrazioni e suoni. Insieme all’opera sarà presentato il progetto Prix ViDa Italia, primo premio nazionale dedicato alle produzioni originali di videodanza e danza XR, che a Bologna avrà la propria edizione 0.
Hybridy è un’installazione multimediale immersiva per uno spettatore alla volta (durata circa 10m), composta da audio, video e danza, che esplora le relazioni simbiotiche – armoniche e conflittuali – dei processi di ibridazione tra corpo e natura, istinto e tecnologia, biologia ed algoritmi, vibrazioni e suoni. L’opera, che trae ispirazione dalle figure mitologiche delle driadi, ninfe metà donna e metà pianta, si compone di una grande proiezione circolare di video-danza sospesa da terra, elaborata digitalmente e retroproiettata sulla superficie e si fonde algoritmicamente con suoni elettroacustici riprodotti in cuffia e feedback tattile per la diffusione delle vibrazioni sul corpo dell’ascoltatore.
La regista Paola Rota porta, in prima nazionale sul palcoscenico del Teatro Astra di Torino (dal 16 al 24 novembre, produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro Metastasio di Prato), Animali Selvatici, spettacolo scritto da Alessandro Paschitto pensando all’Anitra selvatica del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen. Questo dramma del 1884 risulta incredibilmente attuale, complice una riscrittura tesa, grottesca e drammatica. Un Vildanden di oggi anche grazie alle scene e alle luci di Nicolas Bovey, capaci di restituire un universo sospeso, senza tempo né luogo, che sta nel torbido della realtà di casa dove ristagna una menzogna. Gli interpreti sono Sara Mafodda (Hedvig), Irene Petris (Gina), Edoardo Ribatto (Hjalmar) e Giuseppe Sartori (Gregers) che conducono un pericoloso gioco in cerca di una verità che nessuno pare voler o poter vedere.
Che accade a una famiglia quando risale a galla una verità pericolosa? Ecco Hjalmar e Gina, marito e moglie, e loro figlia Hedvig, in un giorno preciso: quello del suo compleanno. Ecco un vecchio amico di Hjalmar, Gregers, fare ritorno dopo molto tempo, senza apparente motivo. Ecco la ragione: c’è qualcosa di cui bisogna parlare, ma di cui non si è mai parlato. Cosa? Ecco i primi Fantasmi della terza Stagione diretta da Andrea De Rosa: il Fantasma della verità, incomoda presenza casalinga, il Fantasma della borghesia che a stento cela una realtà fatta di cocci pronti a frantumarsi, ma anche il Fantasma di Ibsen, ancora oggi considerato il padre della drammaturgia moderna.
Scritto e interpretato da Tindaro Granata, Vorrei una voce (alla Sala Umberto di Roma, dal 12 al 14 novembre) è uno spettacolo in forma di monologo costruito attraverso le canzoni di Mina cantate in playback, fortemente ispirato dal lungo percorso teatrale che l’autore e attore siciliano ha realizzato al teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina con le detenute di alta sicurezza, nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare. Il fulcro della drammaturgia è il sogno: perdere la capacità di sognare significa far morire una parte di sé. Vorrei una voce è dedicato a coloro i quali hanno perso la capacità di farlo.
“Con le detenute – racconta l’autore – abbiamo messo in scena l’ultimo concerto live di Mina, tenutosi alla Bussola il 23 agosto 1978. L’idea era quella di entrare nei propri ricordi, in un proprio spazio, dove tutto sarebbe stato possibile, recuperando una femminilità annullata, la libertà di espressione della propria anima e del proprio corpo, in un luogo che, per forza di cose, tende quotidianamente ad annullare tutto questo. Ognuna di loro aveva a disposizione due canzoni di Mina e, attraverso il canto in playback, doveva trasmettere la forza e la potenza della propria storia per liberarsi da pensieri, angosce, fallimenti di una vita. Mi sono trovato, con loro, a cercare il senso di tutto quello che avevo fatto fino ad allora”.
La compagnia Sanpapié con la coreografia e regia di Lara Guidetti, torna in scena tra Genova e Milano con Stand by Me, spettacolo ispirato all’autobiografia di Dennis Nilsen, omicida seriale inglese, che svela con dovizia di dettagli i suoi 12 omicidi, tra emozioni, ragioni e rigorose ritualità. Primo appuntamento il 14 novembre ai Teatri di S. Agostino di Genova nell’ambito di Resistere e Creare promosso da Teatri della Tosse (replica dal 10 al 15 dicembre a Milano a Campo Teatrale).
In Stand by me – i danzatori Sofia Casprini, Gioele Cosentino, Matteo Sacco – l’orrore si colloca nella cornice della quotidianità nell’Inghilterra dei primi anni ‘80 dove sfilano icone, giovani in fuga e l’omosessualità rimane antitesi della normalità famigliare. È la notte di Natale, la paura del vuoto e dell’abbandono schiaccia la mente e fa schizzare i pensieri in cerca di una soluzione: guarda quel giovane nel suo letto e pensa: “deve restare!”. Un corpo vuoto, a disposizione… Ed ecco che la fantasia diventa reale, il “mostro” entra in azione e uccide, e Nilsen trattiene con sé il corpo, lo inserisce in un presepe dell’orrore, conservato per l’imitazione della normale vita domestica e con lui convive. Ma il tempo consuma i resti e rinnova la necessità. E allora ancora, 11 volte ancora.
Una storia di amore e morte, dove sfilano archetipi antichi, stereotipi reiterati, una danza di specchi incrociati e immagini triplicate, tra visioni di sé e trasfigurazioni, dove frammenti di corpi e di ricordi trovano il loro posto in quello spazio vasto e senza tempo che è l’animo umano.
«Re Lear è una montagna erta, rocciosa e corrusca: dalla sua cima avvolta da nuvole scure arrivano bagliori che illuminano le profondità di noi poveri esseri umani». Ferdinando Bruni e Francesco Frongia introducono con queste parole la produzione di cui hanno firmato regia, scene e costumi, affidando all’interpretazione di Elio De Capitani – potente e intima nei suoi chiaroscuri – il ruolo del vecchio e tormentato re, protagonista di un doloroso viaggio alla scoperta di sé (a Milano, Teatro Elfo Puccini, fino al 17 novembre, produzione Teatro dell’Elfo, Teatro Stabile dell’Umbria). I fondali disegnati da Bruni circondano lo spazio con una danza macabra, una teoria di scheletri che indossano corone dorate per emergere dal buio della scena.
Il trono del re che rinuncia al suo potere è un cumulo contorto di legno e metallo, che ingloba sedie, poltrone, lance e armi da fuoco. Sono macerie, come anche gli altri elementi che scandiscono la scena, attraversata da minacciose divise, da scarponi anfibi, ma anche da abiti da sera, dal nero dei quali si distaccano solo Cordelia e il matto.
La regista Veronica Cruciani dirige Lodo Guenzi e Sara Putignano in Molto rumore per nulla, uno dei testi più conosciuti di William Shakespeare. Come in molte delle commedie del Bardo, si tratta di una storia giocata su scambi di persona, intrighi, duelli e giochi di parole. E proprio i giochi di parole vengono ad assumere in questa vicenda un significato fondamentale: tutta l’opera si articola infatti su equivoci originati in prima battuta da quello che i protagonisti dicono. Tutti i personaggi vengono ingannati, truffati dalle parole che loro stessi pronunciano o ascoltano.
Quello che Shakespeare mette in evidenza, scrivendo quest’opera, è il potere delle parole, il potere dell’interpretazione e il potere del racconto, in una vicenda in cui vero e falso non sono altro che le diverse versioni di una stessa realtà. Gran parte di questa tragicommedia ruota attorno alla scrittura di messaggi segreti, allo spiare e origliare conversazioni riservate. Le persone fingono costantemente di essere altro da quello che sono, vengono scambiate per altre persone o sono costantemente ingannate. All’interno dell’opera, l’azione dipende soprattutto dalla parola e ogni personaggio di ha il suo modo di giocare, elaborare o abusare del linguaggio.
“Molto rumore per nulla”, di William Shakespeare, regia di Veronica Cruciani, adattamento di Veronica Cruciani e Margherita Laera, traduzione di Margherita Laera, con Lodo Guenzi, Sara Putignano, Paolo Mazzarelli, Francesco Migliaccio, Marco Quaglia, Romina Colbasso, Lorenzo Parrotto, Davide Falbo, Marta Malvestiti, Andrea Monno, Gianluca Pantaleo, scene Anna Varaldo, costumi Erika Carretta, musiche Nicolò Carnesi, luci Gianni Staropoli, movimenti di scena Marta Ciappina e Norman Quaglierini. A Venezia, Teatro Goldoni, dal 15 al 17 novembre; a San Benedetto Del Tronto, Teatro Concordia, il 19 e 20. In novembre in tournée a Pordenone, Arezzo, Reggio Emilia.
Nasce nell’ambito di Pesaro Capitale italiana della cultura 2024, per AMAT In Cucina progetto che dopo la sezione appena conclusa di Indovina chi prepara la cena, propone fino a dicembre tre spettacoli che trasformano il palcoscenico in un’esperienza unica, conducendo gli spettatori nell’atmosfera conviviale della cucina. Si inizia il 12 e 13 novembre alla Sala della Repubblica del Teatro Rossini con Teatro da mangiare? del Teatro delle Ariette. Seduti attorno a un tavolo, preparando e consumando un vero pasto, Paola Berselli, Maurizio Ferraresi e Stefano Pasquini raccontano a 30 commensali la singolare esperienza di contadini-attori, di vita in campagna e di teatro fatto fuori dai teatri. «Si mangiano le cose che facciamo dal 1989 – raccontano gli autori dello spettacolo -, da quando è cominciata la nostra vita di contadini. Si mangiano le cose che coltiviamo e trasformiamo nella nostra azienda agricola, che tiriamo fuori dalla nostra terra.
Teatro da mangiare?, concepito nella cucina della nostra casa delle Ariette, ha debuttato a Volterrateatro il 18 luglio 2000 e in questi anni si è comportato come un vero e proprio organismo vivente crescendo, maturando e arricchendosi dell’esperienza di oltre 1300 repliche in giro per l’Italia e l’Europa. In Cucina proseguirà il 19 novembre al Teatro Sperimentale con Roberto Abbiati e Leonardo Capuano in Pasticceri. Io e mio fratello Roberto e il 7 dicembre alla Sala della Repubblica del Teatro Rossini con la live performance Cena sul ring di The Faccions.
Una professione di fede da parte dell’artista, una schietta confessione, un mantra che ripete e divide. Questo e molto altro è Io sono un errore, lo spettacolo del regista belga Jan Fabre (a Napoli, nell’ambito del Campania Teatro Festival, Sala Assoli, il 12 e 13). Scritto da Fabre 36 anni fa, I am a mistake, dedicato non a caso al sovversivo cineasta Luis Bunuel e ad Antonin Artaud, rappresenta ancora oggi una protesta contro la realtà e le sue leggi, contro i fatti e il loro conformismo. “Io sono un errore Perché non appartengo a una razza/Io sono un errore Perché sono un movimento solitario/Io sono un errore Perché sono ancora curioso/Io sono un errore Perché sono l’acerrimo nemico di me stesso”.
Questo l’incipit di un monologo per fumatore incallito, come lo definì lo stesso Fabre, dove la voce della protagonista, la talentuosa attrice italiana Irene Urciuoli, tesse la sua rete di significati e diventa il riassunto sincero dell’artista sulla sua visione del mondo. “Sono un errore perché plasmo la mia vita e il mio lavoro in modo organico, secondo il mio giudizio, senza preoccuparmi di ciò che si dovrebbe fare o dire”. Composizione musicale di Alma Auer, drammaturgia di Miet Martens, lighting design e tecnica di Wout Janssens.
Terzo capitolo di una trilogia dedicata alla famiglia, Caini, della compagnia teatrale I Pesci, è una riflessione tra nonsense e ironia sui grandi temi della vita, tra ricordi, famiglia, morte e arte. Sul palcoscenico si anima un segreto di famiglia che si snoda tra verità e menzogna, colpa e pena, arte e convenzioni sociali, un ritratto convulso delle ossessioni di un nucleo chiuso ed esclusivo, costruito attorno a un legame di sangue irrevocabile e a un patto indissolubile. La storia inanella le vicende della famiglia Caini, soprannome che il vicinato gli riserva tacciandoli di una identità avvolta nel mistero e fondata sulla esclusione di tutto ciò che è estraneo: un padre morto in circostanze poco chiare, che lascia soli la madre e i tre figli, due maschi e una femmina, a custodia di un segreto.
Tuttavia, l’ingresso di una figura esterna, scuote il gruppo familiare innescando dubbi, fragilità e conflitti tra modi di intendere il mondo, che porteranno alla luce l’oscuro segreto. Lo spazio dell’azione è la cucina, intorno ad un grande tavolo, dove madre e figli rinnovano la loro reciproca appartenenza a un mondo greve, arretrato, coeso, fatto di misoginia paesana, religiosità viscerale e contraddittoria, un’impietosa visione del mondo.
“Caini”, drammaturgia e regia Mario De Masi, con Alice Conti, Alessandro Gioia, Giulia Pica, Fiorenzo Madonna, Antonio Stoccuto, elementi di scena Marino Amodio, costumi Anna Verde, disegno luci Desideria Angeloni, disegno sonoro Alessandro Francese. Produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale. A Roma, Teatro India, dal 14 al 17 novembre.
In occasione della terza edizione di Esplorazioni – Un viaggio tra danza e musica, la rassegna che porta la programmazione performativa di Triennale nei suggestivi spazi del Volvo Studio, Triennale Milano Teatro vedrà in scena, il 12 novembre, la danzatrice Marta Ciappina e il coreografo e artista visivo Salvo Lombardo a dare vita ad una azione performativa pensata ad hoc per la location di Viale della Liberazione: un lavoro che attraverserà i paesaggi sonori creati dal vivo in tempo reale dai musicisti ØKAPI e Emanuele Maniscalco, la cui forma è quella del richiamo, del riverbero, un bagliore che vive in un sistema di concatenazioni, relazioni, rimandi. Dopo il successo delle prime due edizioni – che hanno visto la partecipazione tra gli altri di Saturnino, Michele Di Stefano, Teho Teardo e Philippe Kratz – la terza edizione di Esplorazioni continua nel 2024 il suo viaggio nella scena musicale e coreografica italiana.
Prossimi appuntamenti in programma il 20 novembre con Bodies on Glass, che vede l’incontro tra il pianista Andrea Rebaudengo e il coreografo Diego Tortelli, e il 3 dicembre con la performance modulare O+< Scritture viziose sull’inarrestabilità del tempo creata da Francesca Pennini – fondatrice e anima di CollettivO CineticO – insieme a Nicola Guiducci, dj, fondatore e direttore artistico del Plastic di Milano.
“Quando è stata l’ultima volta che avete riso vedendo un animale al macello?” La domanda provocatoria ci spinge ad interrogarci sul rapporto che abbiamo nei confronti della carne, come società e come singoli individui. Senza mai puntare il dito contro qualcuno, l’attore Luigi Ciotta, con lo spettacolo Abattoir Blues e la regia di Adrian Schvarzstein (a Milano, PimOff, il 16 e 17 novembre), porta all’attenzione degli spettatori un importante tema contemporaneo: il maltrattamento degli animali negli allevamenti intensivi e il nostro rapporto ambivalente con la carne, caratterizzato sempre da nuovi tabù. Il protagonista è un lavoratore del macello alienato dai gesti ripetitivi a cui è sottoposto, rappresentati dalla giocoleria attraverso la quale esprime la sua tensione relazionale con la vita, sospesa tra la gravità e la morte. I suoi unici compagni sono – appunto – gli animali, vivi e morti, in un gioco in cui il ruolo di vittima e carnefice si ribaltano progressivamente.
Sulla scena si rappresentano i diversi destini a cui vanno incontro gli animali nei macelli grazie a numeri comici circensi e grandi classici della magia, rappresentando così la violenza con un linguaggio comico. Anche il destino del protagonista pare infatti segnato, ossia quello di diventare anch’egli un anonimo scarto di carne.
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