Una sete di dominio che offusca gradualmente la coscienza. La porta al delitto, inevitabilmente. Il cui peso cresce col tempo a dismisura generando la pazzia o la voglia di morte. È una visione sconsolata delle regioni oscure dell’animo umano, cui Shakespeare nel Macbeth ha dato voce tramite personaggi umani quali il protagonista e la consorte e personaggi fantastici tra l’orrido e il profetico. Mettere in scena la fosca tragedia della sete di potere e dell’ambizione, di una coppia disposta a qualsiasi cosa pur di raggiungere il successo, vuol dire fare i conti anche con un apparato soprannaturale: streghe e fantasmi, coltelli che volano e morti che risorgono, una foresta che cammina, e poi battaglie duelli e ammazzamenti. Al centro dell’allestimento di Jacopo Gassmann (impegnativa produzione del Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, debutto al Teatro Mercadante di Napoli) c’è l’idea del delitto come eccesso personale, come problema psicologico più che morale, che esclude la dimensione politica del conflitto.
Macbeth è popolare soprattutto perché contiene due grandi parti, per il nobile che tradisce il suo re e ne prende il posto in un delirio sempre più folle e crudele, e per la moglie, la Lady Macbeth, più cinica e dura di lui. Il nerovestito, tormentato, efferato Macbeth interpretato da Roberto Latini, si muove quasi sempre – e con lui tutti i personaggi anch’essi in divise nere e fogge di diverse epoche che confondono l’atemporalità – in una oscura ambientazione chiusa da pareti nere. Quella frontale, in più momenti, si apre e chiude su spazi luminosi, luogo di apparizioni, di incubi, di svelamenti, di predizioni nella notte della mente. Come all’inizio della tragedia, con le tre streghe istigatrici – qui seduttive, in attillati abiti di pelle di cuoio e stivali coi tacchi – che si incontrano tra nebbia, tuoni e lampi davanti ad una vasca d’acqua – spazio, poi condiviso, di abluzioni -, profetesse d’un mondo rovesciato dalla vertigine barocca, dove “bello è brutto e brutto è bello”. Saranno loro, nella tragedia scespiriana a mettere in moto i deliri, le ansie di gloria, e i paurosi incubi della crudele coppia segnata dal dramma della fertilità negata, espressa oltre che dalle parole, anche – così la interpretiamo – dalla terra arida che ricopre la scena, e che Macbeth, più volte prende tra le mani.
L’intento dell’allestimento di Gassmann, tralasciando la tragedia sull’ambizione del potere, sembra voler portare in superficie l’animo intricato, incerto, contraddittorio dell’individuo, illuminandone gli angoli più oscuri della sua interiorità. «È il lungo viaggio di un uomo alle radici del male – ha dichiarato il regista -. O meglio ancora, il progressivo inabissamento di una coscienza nel vasto e inesplorato territorio del rimosso».
Una versione psicanalitica, quindi, scandita da cupi suoni elettronici e accenni di sound e canti scozzesi, puntellata da brevi proiezioni video su velatino, voci fuori campo, e ancora, scenicamente, botole e altri elementi in una mescolanza di segni che vorrebbero farsi carico di metafore e simbologie contemporanee. Sono elementi di carattere installativo.
Tra questi un enorme cavallo imbalsamato fugacemente calato dall’alto con le zampe imbrigliate e gli occhi bendati che ci ricorda il puledro appeso, dal titolo Novecento, dell’artista visivo Maurizio Cattelan (un manufatto così imponente e importante avrebbe, forse, dovuto avere un “peso” scenico e concettuale più consistente ai fini drammaturgici e spettacolari, piuttosto che farlo apparire e scomparire in pochi secondi); il funesto banchetto con la sanguinosa apparizione del fantasma di Banquo dalla rossa ferita sulla fronte, scena caratterizzata dai commensali vestiti identici e con il viso coperte da calzamaglie nere; la selva di aste con microfoni che allude, nel finale, all’avanzare della foresta di Birnam; un calco 3D della bianca testa di Latini-Macbeth offertosi all’ascia dell’esecuzione, che cala rimanendo sospesa al centro della scena.
Tutte belle intuizioni ma slegate, che non trovano, ci sembra, una chiara e coerente linea visuale e concettuale nella struttura complessiva dell’allestimento. Da rilevare anche, nell’insieme, una certa freddezza recitativa e monocorde che non illumina del tutto la verità o l’irriducibile enigma dei personaggi e delle loro azioni. Nei ruoli principali di Macbeth e Lady Macbeth Roberto Latini e Lucrezia Guidone, e con loro Gennaro Apicella, Riccardo Ciccarelli, Sergio Del Prete, Antonio Elia Marcello Manzella, Nicola Pannelli, Olga Rossi, Michele Schiano di Cola, Paola Senatore.
“Macbeth” di William Shakespeare, traduzione di Paolo Bertinetti (Giulio Einaudi Editore), regia Jacopo Gassmann; scene Gregorio Zurla, costumi Roberta Mattera, disegno luci Gianni Staropoli, disegno sonoro Daniele Piscicelli, video Alessandro Papa, movimenti Sara Lupoli. Produzione Teatro di Napoli-Teatro Nazionale, in coproduzione con Campania Teatro Festival – Fondazione Campania dei Festival. A Napoli, Teatro Mercadante.
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