Trovarsi a Polverigi, a Inteatro Festival, significa anche ritrovare un modello di festival esemplare e sempre attuale che, rinnovandosi nel tempo, ha scritto la storia del teatro da oltre 40 anni. Lo conferma un prezioso documentario, L’isola del teatro, curato dala direttrice artistica Velia Papa e da Eleonora Diana, che ne ripercorre le tappe, consegnandolo alla memoria di oggi e a quella di coloro che l’hanno visto nascere e crescere – oltre alla stessa Papa, anche Roberto Cimetta, i tantissimi protagonisti che qui sono passati e l’intera comunità del piccolo borgo marchigiano attiva e partecipativa sin dagli inizi.
Il film testimonia il valore di un festival precursore, consacrato da sempre alla creazione contemporanea del teatro, della danza e delle arti performative italiane e internazionali, che già dagli inizi portava le esperienze più avanzate e significative del panorama europeo e americano. Ricco di filmati amatoriali e d’archivio, backstage e interviste, il docufilm presenta testimonianze di artisti all’epoca alle prime sperimentazioni nella loro ricerca creativa, oggi nomi più che conosciuti e attivi, alcuni scomparsi, tutti artefici di linguaggi che hanno segnato la scena teatrale e performativa internazionale e lasciato tracce significative.
Tra questi, un giovanissimo Jan Fabre, un Wim Vandekeybus al suo primo spettacolo prima ancora di diventare coreografo e regista, il sudafricano William Kentridge, Mario Martone con Falso Movimento, Romeo Castellucci, Francesca Lattuada, i fiorentini Magazzini Criminali, la compagnia canadese La La La Human Steps, solo per citare alcuni. E, ancora, operatori e direttori di teatro che dall’estero arrivavano a Polverigi trovando una vivace realtà artistica da esportare. Qui sono nate, e continuano ad esserci, le residenze per i giovani artisti ospitati con lunghi periodi per lavorare alle loro creazioni.
Nel fitto programma di questa edizione di Inteatro dal titolo Umano non umano, lo spettacolo più atteso era Signal to noise di Forced Entertainment, per la prima volta in Italia. Storico collettivo teatrale fondato nel 1984, composto da sei inossidabili artisti britannici, Forced Entertainment continua a mantenere, nonostante l’età e con gli stessi attori, quell’energia provocatoria che li ha sempre caratterizzati. Un teatro, il loro, irriverente, grottesco, delirante, giocoso e inquietante, un’originalità di rappresentazione che, inevitabilmente, per quanto sperimentato nel primo approccio col loro spettacolo Signal to noise, interpella lo spettatore mettendolo anche a prova di resistenza fisica e mentale.
Confessiamo di aver provato, alla lunga, un certo nervosismo dovuto alla ripetizione estenuante di parole e di azioni di apparente nonsense. O meglio, il senso risultava abbastanza chiaro nell’evolvere della prima parte resa dai frammenti di testo elaborati da un’Intelligenza Artificiale innestati in un gruppo di attori stralunati che hanno perduto il proprio baricentro emotivo. Ma l’insistenza del meccanismo scenico allentava l’attenzione pur nel continuo gioco di ribaltamenti e introduzioni di oggetti, del cambio di costumi, di parrucche e travestimenti, di nuove frasi sovrapposte qua e là a quelle ripetute, di invenzioni performative tra alterchi, sproloqui e monologhi interiori dei diversi strampalati personaggi.
Il tutto all’interno di una struttura drammaturgica che verte sul delirio notturno di uno spettacolo che si va disgregando a causa delle voci dell’intelligenza artificiale, sulle quali gli attori sincronizzano, come microfoni disincarnati, i loro labiali. La questione di cos’è umano e cos’è reale, vita vera e finzione, vuole essere il fulcro dello spettacolo, un loop performativo alimentato oltre che dalle parole, dalla musica, da suoni e rumori che creano continui cortocircuiti, per dirci la graduale perdita d’umanità .
Molti gli altri eventi. Nei due giorni di permanenza abbiamo visto, all’aperto di Villa Nappi, Atto bianco (en plein air), uno studio “sull’atto bianco” del balletto romantico, della danzatrice e coreografa Roberta Racis, in una ripetitiva sfida di equilibri e dinamiche davanti ad una scultura. E poi il collettivo Oroboro con Interloop, coreografia di Ludovico Paladini, in cui si fondono danza, partitura sonora live e immagini video che riprendono sia in diretta le performer, sia “rubando” frame di video e riproponendoli in tempo reale. Si viene a creare così uno spostamento dei punti di osservazione del pubblico e della prospettiva dell’atto performativo.
Questo, in Hammamturgia della giovane compagnia Societat Doctor Alonso, viene creato dai posizionamenti e dalla composizione spaziale delle quattro performer che definiscono e modellano lo spazio con teli di diverse dimensioni e fattura, delineando il flusso dei movimenti e la loro forma. Un racconto coinvolgente e itinerante dentro un grande salone, è l’installazione site-specific della compagnia Le Stanze segrete di S. con il loro Stanza#5 Hide, versione animata attraverso pannelli disegnati, piccole luci ed effetti, suoni e rumori, del racconto di Robert Louis Stevenson Lo strano caso del Dottor Jekill e Mr Hyde.
Da ricordare anche la presenza di Agrupación Señor Serrano, con lo spettacolo Una Isla che ha visto coinvolti oltre ai quattro performer della compagnia catalana, nove interpreti locali, facendo incontrare modi diversi di intendere il movimento e di stare al mondo, e sollevando domande su cosa si è disposti a tollerare nella relazione col diverso. Esploratori di nuovi formati e modalità di relazione con il pubblico attraverso la tecnologia ma restituendo a esso un ruolo protagonista, sono gli artisti-programmatori canadesi Patrick Blenkarn e Milton Lim con l’inedito asses.masses, in cui gli spettatori sono chiamati a completare un videogioco che ha per protagonista una mandria di asini, animali disoccupati a causa degli umani che hanno preferito sostituirli con le macchine, e cercano di riscattarsi attraverso la rivolta. Il gioco ha la forma di una lunga maratona di ore, che, intervallate da momenti conviviali, mutano a secondo della velocità di gioco e del numero di partecipanti.
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