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La “Reality” di Deflorian/Tagliarini al Teatro dell’Arte, per dare senso ai vuoti di una vita
Teatro
C’è chi viene colto dalla morte all’improvviso. É accaduto a Janina Turek, in mezzo alla strada, dopo aver fatto la spesa, il sacchetto ancora in mano. Un infarto. Il suo nome non dice nulla, ma ogni nome nasconde una storia, una vita vissuta. E chissà se è valso la pena viverla…
Quando si entra in sala Daria Deflorian e Antonio Tagliarini sono già sul palco del Teatro dell’Arte. Due sedie, un tavolino, una poltrona e alcuni faretti. La scena è minimale, come ormai la coppia ci ha abituati, sono le parole e i corpi a riempire lo spazio, è la narrazione che dà vita a immagini, con un testo che simula la leggerezza dell’improvvisazione ma che tende alla profondità del realismo.
La coppia inizia a scavare nella vita di questa casalinga polacca. Dopo la sua morte, la figlia ha scoperto che aveva annotato in 748 quaderni tutti i dati di più di 50 anni di vita. Quante telefonate aveva ricevuto e chi aveva chiamato (38.196); dove e chi aveva incontrato per caso e salutato con un “buongiorno” (23.397); quanti appuntamenti aveva fissato (1.922); quanti regali aveva fatto, a chi e di che genere (5.817); quante volte era andata a teatro (110); quanti programmi televisivi aveva visto (70.042). Le emozioni erano escluse da quelle pagine compilate con minuzia, nell’immenso registro contabile di una vita opaca.
In Reality, partendo dall’omonimo reportage del giornalista polacco Mariusz Szczygieł (Nottetempo, 2011), la coppia Deflorian / Tagliarini ha riempito e dato calore ai dettagli che possono colmare e dare senso ai vuoti di una vita di nudi fatti e numeri. Cosa ha pensato quando ha visto uno sconosciuto dalla finestra? Che sapore aveva il caffè la prima mattina dopo il divorzio? Quella vita anonima diventa la vita di ognuno di noi, i dettagli della routine quotidiana momenti da catalogare e ricordare, per dare senso a una esistenza priva di colore.
Se con Reality Deflorian / Tagliarini mettono in scena la morte di Janina Turek per portare alla luce il segreto di una vita, Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni, ispirato al romanzo L’esattore di Petros Markaris (Bompiani, 2011) e vincitore del Premio UBU come Miglior Novità Italiana 2012, è un j’accuse nei confronti di una società che porta alla disumanizzazione a causa di un cinismo dettato solo dal potere economico.
In una Grecia che conta dal 2008 a oggi 40mila suicidi, in una Grecia in cui i medici sono obbligati a scrivere sulla ricetta l’aspettativa di vita per garantire i farmaci gratuitamente solo a chi ha più speranza, in una Grecia che ha il 19% di disoccupazione, che sale al 38% se parliamo di giovani, quattro donne anziane con la pensione minima e senza cure mediche decidono di togliersi la vita, quasi chiedendo scusa di continuare a esistere in un mondo in cui non c’è più spazio per loro.
Daria Deflorian, Monica Piseddu, Antonio Tagliarini e Valentino Villa, in una scena illuminata solo da una striscia neon, in un gioco alla Nanni Moretti in cui si nota di più se ne parlo o non ne parlo, iniziano a raccontare di queste quattro pensionate che, dopo aver svuotato una bottiglia di vodka, ingeriscono una manciata di sonniferi: sul tavolo lasciano solo la lettera d’addio e le carte d’identità. La drammatica situazione politica ed economica diventa la scusa per parlare di una crisi che con facce diverse incombe su ognuno di noi, portandoci tutti all’imbruttimento e all’intolleranza sociale: ci immiserisce mentre ci vuole tutti ricchi e benestanti, yesmen che assecondano il sistema e le sue regole. Ma quanto ci si può annientare per dare spazio a questo fittizio bisogno sociale?
In una escalation emotiva che nasce dalle parole calme dei quattro attori, che coniugano scene di vita quotidiana a ricordi – fittizi o reali poco importa – delle pensionate, il suicidio viene legittimato da uno Stato che non è più in grado di fornire i servizi primari, in cui chi non fa parte del meccanismo è invitato a diventare invisibile, ad annientarsi fisicamente e psicologicamente, a uscire di scena senza disturbare e senza fare rumore, come i quattro attori che diventano ombre, mimetizzandosi nel buio e nel silenzio.
Nel giorno in cui Deflorian / Tagliarini, ormai acclamati a livello internazionale, ricevono il Premio speciale per l’innovazione drammaturgica della 55° edizione del Premio Riccione, si conclude la prima settimana della nuova stagione del Teatro dell’Arte, la terza firmata Umberto Angelini, direttore attento alle avanguardie nazionali e internazionali che ha saputo ridare vitalità a uno dei teatri storici di Milano.