Categorie: Teatro

La terrificante freschezza di Aspettando Godot, firmata Theodoros Terzopoulos

di - 2 Febbraio 2023

Vi sono, intatte e potenziate, quella passione del testo, quella capacità di vivere la fedeltà alla parola scritta come una continua invenzione di senso, che sono costitutive del “sentimento” di Theodoros Terzopoulos, il grande regista greco che firma un bellissimo “Aspettando Godot” di Samuel Beckett. Nella sua messinscena (debutto al Teatro Storchi di Modena, per Emilia Romagna Teatro Ert e Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini), la favola beckettiana si dispiega in tutta la sua terrificante “proverbialità” e, insieme, con una freschezza, una limpidità, una corposità di dettagli che danno un risalto nuovo e in qualche modo originario allo spessore umano, alla viva e dolente quotidianità in cui è ritagliata la macchinazione allegorica del testo. Testo che, ricordiamolo, si consuma nell’attesa di qualcosa che non si sa, di qualcuno che non viene, col suo tempo dilatato, con le sue pause, la dialettica fra i personaggi spinta all’estremo, il finale aperto che suggerisce un’eterna, tormentosa ripetitività.

Theodoros Terzopoulos

Due vagabondi, Estragone e Vladimiro, aspettano eternamente l’arrivo salvifico di un misterioso signor Godot, il quale rimanda di giorno in giorno la sua venuta con un messaggio fatto recapitare da un ragazzo. Nel luogo deserto dove si trovano, con solo un albero, arriva un feroce padrone, Pozzo, il quale frusta lungo la strada Lucky, il suo servo, tenuto al guinzaglio, che gli porta i bagagli. Non succede niente. In questa commedia molto dipende dal concatenarsi delle battute e controbattute che devono susseguirsi secondo il ritmo imposto dalla bacchetta del regista.

Aspettando Godot foto di Johanna Weber

Terzopoulos fa muovere i personaggi “in una zona grigia – come egli ha dichiarato -, in un paesaggio del nulla, quello dell’annientamento dei valori umani. […] Il sarcasmo alla ricerca di una fine che non ha fine è l’espressione dominante dei loro esercizi di sopravvivenza”. L’emblematica scenografia dello stesso Terzopoulos cela la croce di due simmetrie, quella simmetria, sia orizzontale che verticale, che possiamo intravedere nel rapporto tra uomo e divinità. “Secondo te, Dio mi vede?” è una delle domande che Estragone rivolge a Vladimiro, accanto alla ripetuta affermazione che “L’uomo è un niente, niente, niente”: interrogativi e riflessioni, insieme ad altre, che compongono la sarcastica, inquietante, eterna parabola della vita secondo Beckett. “È il tentativo di comunicare e coesistere con l’Altro dentro di noi – dichiara nelle sue intenzioni registiche Terzopoulos -, quest’area buia e imperscrutabile densa di desideri repressi e paure, istinti dimenticati, regione dell’animalesco e del divino, in cui dimora la pazzia e il sogno, il delirio e l’incubo”.

Aspettando Godot foto di Johanna Weber

Una grande parete-cubo, un muro, con quattro quadrati divisi da una sottilissima fessura di luce che richiama il segno di una croce, si aprirà e chiuderà svelando piani, botole e cunicoli. Sul piano, in orizzontale, impegnati nei loro dialoghi “assurdi”, tra risate e sproloqui, insulti e minacce, sono distesi i due barboni, quasi fossero tumulati dentro una bara, rinchiusi in un bunker o allertati in trincea; sopra di loro, in verticale, scende una vera croce dalla cui sommità, attraverso un buco, appare il ragazzo ad annunciare il rinviato arrivo di Godot. Sempre in posizione verticale, fa ingresso uno sbraitante Pozzo. E sotto, a terra, sbuca il suo schiavo, oggetto di umiliazioni e angherie. È l’unico a non parlare, balbuziente si esprime solo con versi animaleschi e con gesti compulsivi. Tra suoni di sirene, di spari, di bombe che si odono a intervalli, di canti celestiali, note di violino e di bandoneon, e di altre tracce sonore (di Panayiotis Velianitis), tutto è reso plastico e visuale da altri elementi e oggetti evocativi, possibili di molti simboli e interpretazioni.

Aspettando Godot foto di Johanna Weber

Come la piccolissima pianta secca di bonsai illuminata in proscenio che sostituisce il fatidico albero di Beckett; la sfilza di coltelli sospesi a un filo che scende dall’alto, avvicendati, in ultimo, da dei libri aperti e insanguinati, sangue di cui portano il segno anche i personaggi. E poi quel frugare dentro la scarpa, il cercare qualcosa internamente al cappello e tanto altro ricercare e dire aspettando il misterioso signor Godot. Che anche oggi non è arrivato. Terzopoulos ha dato un’ossatura solida ad uno spettacolo che ha improvvise aperture verso la platea quando i protagonisti vengono verso la ribalta e sembrano rivolgersi a un “altro” che non c’è. E ha puntato molto, come è sua tradizione, sugli attori, encomiabili tutti, con al centro la coppia Enzo Vetrano e Stefano Randisi (Estragone e Vladimiro), e Paolo Musio (Pozzo), Giulio Germano Cervi (Lucky) e Rocco Ancarola (il ragazzo).

Aspettando Godot foto di Johanna Weber

“Aspettando Godot” di Samuel Beckett
copyright Editions de Minuit
traduzione Carlo Fruttero
regia, scene, luci e costumi Theodoros Terzopoulos
con Stefano Randisi, Enzo Vetrano, Paolo Musio, e Giulio Germano Cervi, Rocco Ancarola
musiche originali Panayiotis Velianitis
consulenza drammaturgica e assistenza alla regia Michalis Traitsis
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini in collaborazione con Attis Theatre Company
Dopo Correggio, Casalmaggiore, Teramo, Rimini, lo spettacolo è in tournée a Roma, Teatro Vascello, dal 31 gennaio al 5 febbraio; Narni, Teatro Manini, l’8; Savona, Teatro Chiabrera, dal 14 al 16; Belluno, teatro Comunale, il 18; Napoli, Teatro Bellini, dal 24 febbraio al 5 marzo.

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