Inizia l’estate, la stagione dei festival per antonomasia. Su exibart vi portiamo alla scoperta di alcune delle manifestazioni dedicate allo spettacolo dal vivo più curiose e interessanti sulla scena nazionale, parlandone con direttrici e direttori. Oggi abbiamo intervistato Massimo Luconi, direttore di Radicondoli Festival, per farci raccontare il successo di un festival giunto alla sua 37ma edizione, quest’anno dall’8 al 31 luglio.
Che cos’è Radicondoli Festival?
«Radicondoli è un piccolo borgo, abbastanza decentrato rispetto alle mete più turistiche della Toscana, una parte ancora vera e autentica, in cui la terra e i paesaggi sono protagonisti. Io la chiamo “isola” perché è un territorio circondato da boschi, erba, curve…Nel 1986 insieme a Giancarlo Calamai abbiamo dato vita a una prima rassegna di musica nel Convento dell’Osservanza all’epoca abbandonato. Poi le strade si sono divise, Calamai ha portato avanti il festival con energia fino al 1995 e poi c’è stata la direzione di Nico Garrone che ha dato grande impulso al festival per oltre dieci anni. Io me ne occupo dal 2012 cercando di lavorare su un’idea di festival che coniuga il teatro di regia e la nuova drammaturgia, le nuove tendenze e i grandi maestri del teatro italiano».
Qual è il rapporto del festival con il territorio?
«Il legame con il territorio è un momento importante per valorizzare e coltivare la comunità e lo abbiamo visto in tutti questi anni, come siamo riusciti a coinvolgere sempre più persone. Il festival diventa uno strumento straordinario per allargare il panorama culturale e creare una comunità attorno al mondo del teatro, per esempio coinvolgiamo molti giovani del posto che ci aiutano nella parte organizzativa della manifestazione. Una delle caratteristiche del festival è quella di non invadere lo spazio, ma creare delle situazioni che possano valorizzare il contesto, trasformando i luoghi in ambienti scenografici, basti pensare alla Pieve vecchia della Madonna poco fuori il paese, un luogo magico e molto intimo dove si svolge buona parte del festival, o la piazza dove si riunisce l’intera comunità.
Strettamente legato alla conoscenza del territorio il progetto Secret Rooms, una drammaturgia itinerante che accompagna gli spettatori alla scoperta di luoghi segreti del paese. Quest’anno avremo una nuova location, un luogo speciale, un giardino nascosto all’interno dell’antico convento di clausura, che pochi conoscono, quindi anno dopo anno conquistiamo un pezzetto di territorio e di memoria del paese per aprirlo al festival. Proviamo inoltre a realizzare un festival sostenibile, sempre più attento all’ambiente, che da tempo ha ridotto l’impatto tecnico degli allestimenti, valorizzando gli spazi architettonici e lo spazio naturale».
Qual è il tema dell’edizione 2023?
«Io sono un po’ contrario ai temi perché si rischia di rendere tutto troppo didattico e schematico. Preferisco creare dei contenitori in cui mi piace pensare che ognuno possa portare la sua riflessione. In questa edizione in maniera ancora più matura cerchiamo di interrogarsi, sul nostro “stare al mondo”, sulle tragedie ma anche sulle speranze del nostro contemporaneo per ripensare al teatro come il “filo d’ Arianna” per uscire dai nostri labirinti personali e globali, per riappropriarsi degli spazi e del tempo in maniera costruttiva e dialogante. Per esempio ci sono dei progetti sulla Russia, poi c’è un percorso sul Senegal, momenti di incontro e riflessione per approfondire diversi punti di vista».
Gli appuntamenti da non perdere nell’edizione 2023?
«Molti progetti al femminile, forse casualmente ma come dicono gli africani il caso non è mai casuale: Violeta Parra, elegia di una vita, con Flo (Floriana Cangiano) e Francesco Argirò e la mia regia. Uno spettacolo dedicato a una grande cantante e un artista multidisciplinare che ha lottato contro le ingiustizie sociali nel Cile degli anni ‘60. Ci sarà un momento importante di riflessione sulla tematica femminile con un focus sul teatro di Dacia Maraini, unendo letteratura e teatro, Arianna Scommegna e Mattia Fabris portano in scena L’Antonia, un lavoro ispirato a Antonia Pozzi dall’opera di Paolo Cognetti. Sono molti gli appuntamenti di rilievo, da tempo corteggiavo un personaggio come Giacomo Poretti, che staccato dal trio comico più famoso d’Italia porta un suo lavoro inedito in anteprima, inoltre l’incontro con un maestro del teatro europeo come Peter Stein, che riceve il premio Radicondoli per il teatro».
La colonna sonora della Festa 2023?
«In senso figurato, la colonna sonora del festival sono il paesaggio e le camminate, quelle diurne e notturne che portano a scoprire i luoghi ma anche a riflettere su se stessi».
Per tutte le informazioni sul programma, potete cliccare qui.
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