Categorie: Teatro

L’importanza di essere fluidi: intervista all’attore Filippo Contri

di - 5 Novembre 2024

C’è un red carpet che va dalla Festa del Cinema di Roma all’OFF/OFF Theatre, da Vita da Carlo a Sexual Fluidity?, che apre la nuova stagione del teatro di via Giulia. Qui abbiamo incontrato Filippo Contri, in attesa della serie Vita da Carlo 3, dal 16 novembre su Paramount Plus. Da martedì 5 a domenica 10 novembre, Filippo sarà invece nella nuova pièce di Silvano Spada all’OFF/OFF Theatre insieme a Lorenzo Rivola.

Filippo Contri

C’è attesa per la nuova stagione di Vita da Carlo. Com’è andata?

«Siamo stati due ore in sala per vedere quattro episodi. Avrei potuto divorare tutta la serie, cosa che non mi accadeva da tanto tempo. Lo schermo gigante, il pubblico caloroso. Le battute di Carlo, che fanno sempre ridere, quelle dei primi film, ingrandite con l’eco di questa atmosfera, risuonavano ancora di più. È stata una serata bellissima».

Com’è un padre come Verdone?

«Impegnativo, soddisfacente, appagante, stimolante. Una persona con cui si creano tanti scontri e gli scontri servono a progredire. Progredisce lui, progredisco io e quindi è bello avere un padre come Verdone. Da Filippo ti direi che per quanto Paolo possa essere la persona più felice del mondo, nonostante sia difficile avere a che fare con un padre che è pieno di lavori, di attenzioni, di riconoscimenti, a un certo punto vuole stare da solo, pensare a se stesso. Non è facile riuscire a trovare lo spazio per stare con un papà così. E questa è una cosa che vedi sia nella vita reale che nella serie».

Da figlio magari vorresti solo andare al parco, al cinema, stare con tuo padre…

«Ovunque vai ti riconoscono. Non stai mai da solo con lui. Vai a cena fuori e la gente ti chiede i selfie.  Una delle immagini più nitide che ho con mio padre da piccolo, sono io che gioco a biliardino con lui alle giostre. Immagina quante volte Paolo sarebbe stato interrotto: il biliardino lo devi portare dentro casa. Non puoi giocare con tuo figlio, non ci puoi andare alle giostre. È l’altro lato della medaglia».

Verdone è davvero ipocondrico?

«Diciamo che è ferrato in materia ed empatizza con le persone che hanno qualche problema di salute. Si rende sempre molto disponibile. Magari per altri argomenti sì, ti ascolta, ma se parli di cose che hanno a che fare con la salute, addrizza le antenne e mette a tua disposizione tutto quello che sa; è come un bambino quando vede una rivista di macchine: diventa un nerd ed è interessante starlo ad ascoltare».

Hai parlato di tuo papà: è un bellissimo ricordo quello di te che giochi a biliardino…

«Che vuoi che ti dica? Anche i ricordi con lui sono un punto di riferimento…».

Laureato in economia alla Luiss…

«Sì, mi laureo in economia più per seguire il mio punto di riferimento, mio padre. Mi sarebbero piaciute altre facoltà, ma sarebbero state più difficili, mentre economia ti apre più porte. La presi un po’ per questo, un po’ perché papà era un consulente finanziario. Mi ha sempre divertito il rapporto con i clienti. Poi pensavo che l’economia, la consulenza, risolvere i problemi, parlare con tante persone, lavorare in team building, erano tutte cose stimolanti e sono andato in quella direzione».

Dalla finanza ai set…

«Dopo la laurea ho visto che le cose non erano proprio come me le ero immaginate e quindi ho detto: sai che forse è meglio che seguiamo i sogni? Invece che essere soddisfatto per quel sei politico e vivere una vita mediocre, ho rischiato. E l’ho fatto grazie a mio padre e mia madre, alla solidità familiare che mi hanno dato, ai miei affetti, che mi hanno consentito, nonostante non ci fosse più papà, di provarci. I miei mi hanno insegnato a rimboccarmi le maniche e questo è quello che ho fatto: sono partito da zero e ho iniziato a studiare recitazione».

Quindi tuo papà non ti ha visto recitare?

«Ni. La passione per la recitazione ce l’ho sempre avuta: feci un corso di teatro alle elementari, uno al liceo e poi feci una figurazione speciale in un film di Federico Moccia. Andammo a vedere la prima. Mio padre in quel momento era andato al bagno; io avevo una scena di tre secondi e avevo paura la perdesse. Pensai: siamo venuti qua per niente. Invece mio padre ritornando, si è trovato la scena di fronte. Quella è stata l’unica cosa che ha visto, però mi ha visto grande schermo. Poi ora, con tutte queste serie di tv, figurati se non c’è qualche piattaforma in cielo».

Una figura importante nella tua carriera è stato il grande Enrico Lucherini. Sentirsi dire da uno come lui che hai la faccia da cinema, che effetto fa?

«Enrico è il mio padre artistico, è la persona che più di tutti mi ha dato la fiducia per iniziare questo percorso scriteriato; la persona che mi ha dato la prima grande iniezione di energia per dire: ce la posso fare. Non è facile trovare qualcuno che punti su di te, disposto a perdere tempo per darti dei consigli. Lui l’ha fatto e non perdeva tempo, lo stava investendo; nel suo piacere, nelle sensazioni che gli avevo restituito. È nato un grande legame. Ormai sono di famiglia.

Fu lui a dirmi: devi trovare una scuola di recitazione, ci devi credere, avere calma, saper aspettare; mandami i provini e ti dico che ne penso: qua puoi fare meglio, qua ti voglio vedere meglio il viso, qua devi essere illuminato meglio. E così è andata. Il nostro rapporto è ancora così. All’inizio parlavamo più di lavoro, poi abbiamo avuto la capacità di mischiare le cose: ci guardiamo qualche programma trash alla televisione, guardiamo un film, parliamo di lavoro, passiamo delle ore meravigliose. Lo facciamo almeno una volta a settimana ed è una delle tradizioni più belle che porto avanti da quando faccio questo mestiere».

Quindi per per te non ha inventato qualche lucherinata, quelle che inventava per gli attori, tipo la Milo alla quale prendono fuoco i capelli?

«Guarda sarei stato il suo cavallo matto preferito. Forse ci saremmo fatti arrestare io e lui insieme. Una volta alla Festa del Cinema di Roma c’era una serata su Virna Lisi.  Mi ricordo Massimo Ghini che raccontò di quando Enrico gli chiese di dare uno schiaffo a un altro attore della serie. Mandò a dire da un collega che stava su un altro set. Ghini raccontò che non avrebbe fatto una lucherinata. E poi aggiunse: “è stata la più grande stronzata della mia vita; l’avrei dovuta fare”. Se a me Enrico chiedesse di fare una cosa del genere, non ci penserei un attimo. Poi mi vergognerei come un ladro, ma il cinema viene prima di tutto. Mi manca questa idea di cinema goliardica che oggi si è persa.

Mi mancano non solo le lucherinate, ma i professionisti come Lucherini, con quello spirito. Spero un giorno di ritornare a quell’entusiasmo che respiro a casa di Enrico; con curiosità e non con nostalgia, perché non l’ho vissuto.

Quando sei accanto a persone vere, che non hanno bisogno di sovrastrutture, quello che devi fare è goderti l’attimo presente. Io ho avuto la fortuna di averne un po’ di questi incontri indimenticabili. Enrico è stato uno dei primi, Carlo Verdone è stato un altro e quando sto accanto a loro c’è già tutto».

Filippo Contri, Lorenzo Rivola, Sexual Fluidity, OffOff Theatre, Roma

E il teatro?

«Questa è la mia seconda volta. La prima fu sempre all’OffOff Theatre, con Discarica, altro testo di Silvano Spada. Sexual Fluidity? è un testo incredibile, bellissimo, e una responsabilità, perché stavolta siamo solo in due in scena, non in tanti come in Discarica. Poi perché le tematiche che tratta sono attuali».

Silvano Spada sembra burbero. Incute soggezione?

«Silvano è sempre presente, è una garanzia sapere che puoi discutere con lui di qualcosa. Ti ci puoi scontrare, però è sempre disponibile. Lo chiami alle due del pomeriggio, alle dieci del mattino e Silvano è lì. Si accende la sigaretta e ti dice “ok, parliamone, ce la fai a venire da me adesso?”».

Silvano è un uomo di grande grande esperienza, quindi anche in teatro ti è andata bene…

«Molto, non vedo l’ora di andare in scena. Ero anche nel cast di Amici per Caso, di Max Nardari, dove abbiamo trattato anche questo argomento. La fluidità è un tema, la diversità è un altro, ma la fluidità è un aspetto divertente.

È importante che oggi si sia arrivati a riconoscere determinate situazioni. Se siamo passati per delle etichette, forse era necessario metterle proprio per renderle riconoscibili a tutti.

Io spero che i nostri figli, quelli delle generazioni che verranno, saranno migliori di quelli che ci sono stati prima; che la storia che non si ripeta; che le persone possano avere dei gusti che in qualche momento non sono tanto chiari, su quello che decidono di indossare, chi decidono di frequentare, quello che decidono di fare nella vita.

Per questo incoraggio tutti a trovare l’essenza delle cose e se l’essenza delle cose è stare con un uomo, con una donna, con chi ti pare… evviva Dio!».

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