22 ottobre 2022

L’inascoltata solitudine di un Ministero, in scena al Festival VIE

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Una scrittura originale per cinque attori, strutturata per flash, fatta di partiture fisiche dentro un luogo reale e immaginifico, che porta in scena il presente e i suoi nodi

Il Ministero della solitudine, ® Claudia Pajewski

Sono invisibili l’uno all’altro. Hanno sguardi persi ognuno nel proprio mondo, nella propria solitudine. Entrano in scena attraversandola ciascuno con un proprio movimento e senza sfiorarsi. Un tic, una postura, una parola, un gesto nervoso danzato. Caratterizzati nella loro individualità li scopriamo intenti in azioni reiterate, in pensieri ad alta voce, in flussi di parole verso interlocutori assenti, in dialoghi virtuali che solo in alcuni momenti si materializzano. “Il Ministero della Solitudine”, messinscena firmata da Lisa Natoli e Alessandro Ferroni con la drammaturgia di Fabrizio Sinisi per la compagnia Lacasadargilla (Produzione Emilia Romagna Teatro Ert / Teatro Nazionale, al Festival Vie), è un album di storie di oggi, fotografie istantanee di vite perse nella deriva di questo nostro tempo malato che ha generato crisi, disagi sociali, nevrosi, e che sommessamente grida, senza retorica, il bisogno di vicinanza, di condivisione, di solidarietà, di senso di comunità da ricreare.

Ispirato dalla notizia dell’istituzione, nel 2018, in Gran Bretagna, di un Ministero atto a dare priorità alla salute mentale, al benessere collettivo, e, nello specifico, incaricato di combattere il fenomeno sempre più diffuso della solitudine (dicastero poi rivelatosi fallimentare), lo spettacolo nasce dopo una gestazione durata due anni con rinvii e un lungo periodo di fermo per la pandemia e il lockdown.

Il Ministero della solitudine, ® Claudia Pajewski

Quelle in scena sembrano figure dentro un grande acquario, che noi osserviamo galleggiare nel loro muoversi da un punto all’altro o scrutare oltre la teca. Dentro una scenografia di geometriche luci al neon e un totem al centro – che ruotando rivela un distributore automatico di oggetti, un’arnia di miele senza api, un frigorifero pieno d’ananas, una finestra e un paesaggio tropicale -, si procede per flash, con l’alternarsi dei cinque personaggi che a turno, o in sequenze simultanee, e a più riprese, chiedono qualcosa, ma senza esito, al Ministero. Questi è impersonato da un’impiegata acquiescente alla burocrazia, che rifiuta la presenza e riceve solo telefonicamente raccogliendo, organizzando e riscrivendo le tracce e le “vite degli altri”.

Il Ministero della solitudine, ® Claudia Pajewski

Le altre “figure” sono ben stagliate: un webmaster che ripulisce compulsivamente i social network dai contenuti ritenuti non accettabili, concentrato nel digitare delete o ignore, uomo di poche parole che vive assieme a una Real Doll di silicone costretta in carrozzina; un apicultore in difficoltà economiche, ossessionato dal pensiero dell’estinzione delle api e, per questo, richiedente inascoltato di un sussidio per la costruzione di un alveare; infine una madre e una figlia che si parlano solo attraverso il muro di casa: l’una professoressa con velleità da grande scrittrice, che oscilla tra aspirazioni borghesi e bovarismo, e l’altra sempre con le cuffie, incapace di uscire di casa, che dorme per sognare a lungo e a colori, ma altresì sensibile ai rumori del mondo esterno persino a quelli di un’ape quando muore.

Il Ministero della solitudine, ® Claudia Pajewski

Nel dinamismo di luci che agita la scena e, a tratti, la platea, tra musiche rock e canzoni pop che innescano sequenze sconnesse di danze (movimenti a cura di Marta Ciappina), si palesano i caratteri, gli incontri, gli incidenti, gli aneddoti, intrecciandosi a mosaico esistenziale. Un lavoro di scrittura a più mani questo de “Il Ministero della Solitudine” – che ha visto coinvolti attori bravissimi: Tania Garribba, Emiliano Masala, Caterina Carpio, Francesco Villano, Giulia Mazzarino – per una partitura fisica e un dispositivo narrativo encomiabile per metodo e passione, che però, in ultimo, manca di un segno incisivo. Quelle cinque solitudini, forse, dovrebbero giungere ad un punto di collisione viscerale che faccia deflagrare tutte quelle “sacche di storie”, legate come sono a una serie di oggetti e di azioni che si vorrebbe emblematica di stati mentali ed emotivi.

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