Dopo la lunga sequenza iniziale di immagini sfocate in movimento che scorrono sul grande schermo del proscenio, accompagnate da suoni elettronici e strepitii che culmineranno nello schianto di un incidente d’auto, emerge dalla nebbia la carcassa di una Ferrari rossa. Distrutta per lo scontro con un’altra macchina. Da dentro la vettura, e da più angoli della scena, lentamente appaiono i superstiti dell’incidente e altre figure umane vaganti che presto acquisteranno un’identità precisa. Quando iniziano a parlare non sappiamo se sono morti o sono ancora vivi. Da lì in avanti si innesteranno dialoghi, monologhi, confessioni, pensieri e azioni intorno al tema dell’amore e della morte, delle paure e delle fragilità. E del teatro, che esalta la vita di chi lo fa, ma anche la svilisce.
Ad accendere un complesso intrico di sentimenti è, nello spettacolo Durante di Pascal Rambert, un’organica drammaturgia spaziale degli attori, dei volumi, delle forme e dei movimenti, dell’energia dei gesti e delle linee relazionali che da essi scaturiscono. A suscitare, e raffigurare, un simile affresco della condizione umana che si manifesta via via attraverso una narrazione stratificata, sono gli strati emozionali degli stessi attori, coinvolti in ciò che di sé e del mondo essi dicono sulla scena.
L’idea e l’ispirazione dello spettacolo del drammaturgo e regista francese, nasce dalla visione di un quadro: La battaglia di San Romano, il capolavoro di Paolo Uccello (trittico del 1438, conservato tra la National Gallery di Londra, il Louvre di Parigi e gli Uffizi di Firenze) in cui si celebra la vittoria dei fiorentini sulle truppe senesi. La lotta tra i due gruppi di nemici rappresentata nel groviglio di corpi corazzati, di cavalli imbizzarriti e di lance, che animano il quadro, riflette, per Rambert, lo scontro che caratterizza l’interagire tra le persone, quel combattimento del vivere quotidiano anche quando si parla di amore, di relazioni, di rapporti.
Rambert lo innesca con le parole, con quella tipica scrittura del suo “teatro del conflitto” come lui stesso lo definisce. Perché è la lingua a essere la sorgente dei conflitti che ci scuotono, che genera paure e incomprensioni, ma è anche la sorgente della bellezza che lega gli uomini. Sue le parole «…Se è vero che il teatro influenza la vita, è altrettanto vero che il modo in cui un attore dà vita al personaggio che gli viene assegnato è parte di quella grande battaglia – estetica e sentimentale – che si svolge sulle tavole del palcoscenico».
Progetto commissionato dal Piccolo di Milano a Pascal Rambert, Durante costituisce la seconda parte di un originale trittico teatrale iniziato con Prima – messo in scena lo scorso anno, – e destinato, nel 2025, a chiudersi con Dopo. Il plot dei tre testi verte sulla vita di una compagnia teatrale che si agita attorno a un immaginario spettacolo intitolato come il quadro rinascimentale. In Durante si racconta dei cinque attori nel corso della tournée dello spettacolo che “prima” avevano allestito. Nel gruppo, con i personaggi che hanno gli stessi nomi degli attori – e l’aggiunta di alcuni giovani allievi della Scuola del Piccolo, che impersonano una sorta di doppio degli interpreti –, si intrecciano i loro amori, le amicizie, le passioni, facendo emergere gelosie e rivalità, confessioni, ricordi, illusioni, ansie, insuccessi, speranze, nostalgia della giovinezza perduta, sogni del futuro.
È il teatro che coincide con la vita, e viceversa, che qui si mescolano, tra verità e finzione, con le singole autobiografie degli interpreti. Come quella di Anna Bonaiuto, bravissima, che, tra una riflessione e un ricordo, confessa quanto il teatro ferisca: «(…) se ci spogliassero vedrebbero tutte le nostre ferite le umiliazioni le pene e i rimpianti». L’andamento dello spettacolo segue, nella sua esplorazione metateatrale, un continuo tornare all’indietro, risalire al passato e rientrare nel presente, attraverso un’originale e poetica strategia di racconto fatta di piani temporali diversi: quello del sogno e quello della realtà. La rete che si tesse evoca pure personaggi che hanno condizionato la vita degli attori ma anche il luogo che li ospita.
Ecco quindi, tra “gli spiriti del luogo”, una controfigura di Giorgio Strehler col suo tipico dolcevita nero che sosta appoggiato alla Ferrari, e l’Arlecchino – maschera iconica del Piccolo -, impersonato da uno straordinario Marco Foschi. È un Arlecchino che, infelice e smarrito, ma combattivo e rabbioso, in un potente e struggente monologo non ha paura – come l’Arlecchino delle origini – di cantarle chiare ai potenti. Inveisce contro i buffoni della politica, dei governanti, denunciando lo sfascio, il degrado culturale e civile che viviamo. Una sofferenza, la sua, che lo fa sanguinare, perché lo hanno abbandonato, perché vede ciò che accade nel suo paese e in Europa, e perché teme per il futuro del teatro. Lo fa rivolgendosi con nostalgia a Strehler domandandogli dove sia finito il senso di quel teatro popolare da lui creato. E lo saluta dicendogli: «…Sono stanco, me ne vado Giorgio, tu mi hai lasciato. Per me ogni giorno è una notte di Natale in cui si ferma il tuo cuore». A impersonare l’Arlecchino contemporaneo di Rambert è uno straordinario Marco Foschi, che si toglierà la maschera e silenziosamente uscirà di scena.
Altri momenti di autentica poesia e magia sono le sequenze col “teatro delle ombre” che improvvisamente abbaglia la scena animata da piccole sagome di legno dalle stesse fattezze degli attori, e da loro manovrate, che rivivono fugacemente la storia; per finire con le prove in costume, gli oggetti di scena e un sipario laterale dove sono tutti schierati a ricevere gli applausi di un pubblico immaginario.
Molti autori hanno affrontato testi per riflettere sulla natura e lo scopo del teatro nella vita. Questo di Rambert svetta per originalità e bellezza compositiva, per scrittura e restituzione registica, per un raro coinvolgimento emotivo che dal palcoscenico cattura lo spettatore grazie anche al magnifico e autorevole nucleo di interpreti che, oltre ai già citati Foschi e Bonaiuto, sono Anna Della Rosa, Sandro Lombardi, Leda Kreider. Da citare anche gli allievi della Scuola “Luca Ronconi” del Piccolo: Miruna Cuc, Cecilia Fabris, Pasquale Montemurro, Caterina Sanvi, Pietro Savoi.
A conclusione mi piace riportare quanto Rambert dice di Strehler: «Più che una figura nostalgica, egli rappresenta, in Durante, il monito discreto ma potente a non cedere alla facilità di un’era contemporanea che privilegia “l’attenzione fugace”, il “teatro digestivo”, per tornare invece a riconoscere al teatro anche una funzione pubblica, civile, che non può e non deve essere messa a tacere».
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