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Rafael Spregelburd, come ti reinvento Cassandra, profetessa di sventura
Teatro
Affonda a piene mani nel mito di Cassandra e nel il mondo classico, rovistandolo, rielaborandolo, sconvolgendolo con acuta ironia e senso ludico, in un gioco labirintico dove la trama, le parole, i dialoghi, le azioni, si intrecciano e si confondono dentro una fitta rete di relazioni tra i personaggi in questione, dei e umani. Rafael Spregelburd, noto attore, regista, drammaturgo argentino, conosce bene la materia letteraria, la costruzione teatrale, le dinamiche della scena e quelle attoriali, e ce ne dà ulteriore prova con quella sua scrittura tipica – che ruota essenzialmente intorno al paradosso, e con una comicità caustica, spietata, scorretta – in questo suo testo inedito, Diciassette cavallini, scritto appositamente, in un anno di lavoro, per e con le attrici e gli attori dell’Ensemble Teatro Due, e in scena in prima assoluta. Un progetto ideato dalla Fondazione Teatro Due di Parma che ha dedicato a Spregelburd (più che noto in Italia grazie alla traduttrice dei suoi testi, la regista e autrice Manuela Cherubini, e ad alcuni spettacoli di Luca Ronconi portati sui nostri palcoscenici) un focus nell’ambito del progetto Arcipelaghi di Reggio Parma Festival 2024.
Partendo dal cavallo di Troia, Spregelburd affronta la figura di Cassandra in uno sviluppo giocoso e stravagante del suo mito che, sappiamo, la vuole profetessa per la facoltà donatole da Apollo ma dal dio stesso punita e condannata per essere stato respinto, a non essere creduta nei suoi vaticini catastrofici. Il testo si divide in due tempi opposti. La prima parte definita “apollineo”, dal titolo L’oracolo invertito, vede una donna, che sembra avere il complesso di Cassandra, alle prese con una seduta psicanalitica alla quale si aggiunge un altro paziente di nome Boris e altri soggetti che giungeranno a interferire con la sua storia e del suo analista il quale fa di tutto per dissuaderla dalla convinzione di essere Cassandra; il secondo atto, “dionisiaco”, titolato Diciassette cavallini – e definito da Spregelburd un “incubo surrealista” – mescola gli stessi elementi mitici della prima parte ma all’interno di un clima di puro caos, un delirio performativo generato dal dio Dioniso, dove sono coinvolti contemporaneamente più personaggi strampalati, mentre una voce fuori campo continua a parlare, citare nomi e raccontare storie di dèi, che facciamo fatica a seguire.
Non serve però cercarne il senso e razionalizzare, piuttosto abbandonarsi alla dimensione ludica di quel che accade, alla sua realtà scenica, divertente e sorprendente, ma con piccoli shock di scoperta. La tragedia, intesa come linea retta verso la distruzione, diventa qui chiave per accedere al presente, esplorando una realtà complessa e non lineare. Basandosi sulla Teoria del tutto, Spregelburd ridefinisce la catastrofe non come distruzione, ma come effetto privo di causa evidente, un’apertura percettiva per l’universo del Senso.
Nel divertente e disordinato secondo atto c’è una madre contadina che sta morendo e fa ascoltare al figlio nullafacente il testamento che lei detta a un notaio perché sappia che non gli lascerà nulla in eredità. C’è un marito che, tornando a casa con un idraulico (che diventerà anche un angelo dalle ali nere) per una riparazione, scopre la moglie a letto con un agente di polizia (con l’ambizione di diventare assessore alla cultura), il quale ritiene umiliante questa situazione davanti a dei testimoni e inizia a uccidere tutti, compresi quelli dell’altra situazione. Nel mezzo succedono molte altre cose con gli attori che ripetono le sequenze che via via si succedono, riavvolgendo i movimenti, ritornando e rifacendo di nuovo le stesse azioni con alcune varianti (un loop che però alla lunga risulta estenuante).
Quel numero 17 del titolo dello spettacolo, è metafora di molte cose. Anzitutto di disgrazia – “talento” di Cassandra – come vuole la superstizione popolare; poi come sviluppo di diciassette movimenti scenici che procedono dal futuro al passato, al rovescio; e ancora, nello specifico della pièce, come il numero dei soldati achei nascosti nel ventre del cavallo per espugnare la città di Troia. In scena il mitico cavallo è rappresentato da una enorme scultura rossa, di plastica, una riproduzione di Ballon Dog, icona dell’arte contemporanea dell’artista americano Jeff Koons, che inizialmente fa capolino da un tendaggio, e successivamente ben in vista.
Entrando in sala per la seconda parte dello spettacolo, l’occhio spazia su tutta l’affastellata scenografia parzialmente nascosta nel primo atto e ora ben visibile, strapiena di oggetti tra cui orologi appesi, manichini con biancheria intima, attaccapanni, vestiti, scaffali zeppi di oggetti, sedie, canestri da basket, una vasca da bagno, un pianoforte, un grammofono, un letto matrimoniale, una scrivania con macchina da scrivere, e molto altro ancora. Materiali da sfondo o manovrati, che insieme ad altri oggetti e alle azioni sfibranti dei magnifici encomiabili attori – Alberto Astorri, Valentina Banci, Laura Cleri, Davide Gagliardini, Luca Nucera, Massimiliano Sbarsi, Pavel Zelinskiy – aggiungono al testo quel senso di catastrofe per raccontare il nostro tempo e i nostri rapporti umani. Sapendo anche riderne.
“Diciassette cavallini”, scritto e diretto da Rafael Spregelburd, traduzione di Manuela Cherubini, con Alberto Astorri, Valentina Banci, Laura Cleri, Davide Gagliardini, Luca Nucera, Massimiliano Sbarsi, Pavel Zelinskiy; musiche Alessandro Nidi, scena Alberto Favretto, costumi Giada Masi, luci Luca Bronzo. Produzione Fondazione Teatro Due. In scena nella Sala Bignardi del Teatro Due di Parma, fino al 10 dicembre.