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Spettacolo dal vivo e digitale: quali sono le nuove frontiere in Italia?
Teatro
Si svolge in questi giorni nell’ambito del Torino Film Festival, nella sezione Industry, onLive Campus, progetto ideato da Piemonte dal Vivo nel 2020, con la direzione scientifica di Simone Arcagni, dedicato alla relazione tra arti performative e nuove tecnologie, con una particolare attenzione ai linguaggi digitali. Al centro di questa edizione le sfide legate alla generazione video ed elettronica e allo sviluppo delle tecnologie emergenti: dall’interattività ai motori grafici nati nel comparto gaming che hanno colonizzato anche gli effetti speciali cinematografici, fino alle piattaforme immersive e al metaverso.
Il progetto nato all’interno della pandemia, negli anni ha rappresentato un campo di condivisione di pratiche, immaginari, strategie che, non solo ha avuto la funzione di definire un contesto di ricerca in parte già esistente ma confinato sino a quel momento a una marginalità specializzata rispetto al panorama scenico nazionale, ma ha anche tracciato traiettorie e indirizzi di ricerca di una disciplina in divenire e in trasformazione, attraverso la pubblicazione di un volume, a cura di Lucio Argano e Simone Arcagni, Libro Bianco sullo spettacolo digitale dal vivo in Italia, che raccoglie interventi di relatori, studiose, operatori, e che verrà presentato in questi giorni.
Le riconfigurazioni estetiche nella complessità della scena performativa digitale non sono dissociate da quelle politiche e culturali, e per questo gli artisti che lavorano in questo ambito alimentano un’interrogazione sui confini, sulla percezione e sulla relazione tra umano e non umano attraverso pratiche che mettono in crisi l’approccio binario, e che nel performativo trovano il territorio di indagine deputato. Ne abbiamo parlato con Simone Arcagni, direttore artistico del progetto.
La transizione digitale è un processo che ha un’origine oramai “lontana” ma che nella performance e nelle arti performative ha assunto una rilevante attenzione dal 2020 a oggi. In questi quattro anni come sono cambiati gli scenari in Italia? Quali sono le relazioni tra saperi tradizionali della scena e discipline della cultura digitale?
«La svolta è stata il COVID perché ha impresso una accelerazione sia dal punto di vista delle conoscenze delle tecnologie che delle adozioni. In alcuni casi anche con un lavoro di scavo su una tradizione di tecnoteatro e performance digitale che ha avuto anche in Italia risultati eccellenti. L’emergenza COVID ha così dischiuso il mondo della performance a una serie di strumenti (primo fra tutti le dirette live streaming) ma anche la VR, il Metaverso. Ha permesso la ricerca sulle piattaforme, ma anche sui social e sui loro usi, non solo in campo di marketing e comunicazione. Possiamo dire che, almeno nei casi più virtuosi, si è unita una scelta tecnologica a una ricerca sul mezzo. Ovviamente i più preparati erano quelli che avevano già sperimentato. In altri casi si è registrata una certa diffidenza, se non una aperta negazione dell’universo digitale. In ogni caso va registrata in maniera positiva l’apertura di un dibattito che ha visto coinvolti compagnie e critica, festival e teatri. Oggi in generale c’è un’attenzione diversa alle potenzialità del mezzo e soprattutto c’è un interesse trasversale che tocca anche quelli che spesso sono considerati come dei fortini della tradizione come i teatri dell’opera. Il discorso comunque è ampio e interessa il digitale, non solo come strumento artistico, ma anche come dispositivo utile al funzionamento di uno spettacolo, di un festival e di una stagione, che serva a una profilazione attenta del pubblico, che fa da supporto alle campagne di promozione e che sostiene anche la comunicazione e la didattica. E che inoltre si fa da mezzo privilegiato nell’ambito della sostenibilità e dell’accessibilità».
E ora?
«Il panorama è cambiato. Si registra una sensibilità diversa. Anche da parte delle istituzioni e delle aziende che guardano con un seppur timido interesse il campo performativo. Ora la sfida è accogliere, sviluppare e tenere sotto osservazione questi fenomeni. E questa è anche l’intenzione primaria di onLive Campus e del Libro bianco».
Come si riconfigurano le nozioni di corpo e di spazio nella performance e nello spettacolo digitale dal vivo oggi?
«Vanno rilette nell’ottica di una dimensione aumentata, virtualizzata, connessa. Ogni dispositivo rielabora la particolare dimensione che si instaura nella performance dal vivo tra corpo, spazio e pubblico. Si tratta di una dimensione da una parte nuova perché nuovi sono gli strumenti. Ed è una dimensione che chiama in causa l’artista, la produzione (che deve per forza abbracciare nuove competenze e nuove pratiche), ma anche lo spazio e il pubblico. Una dimensione nuova, sicuramente. Ma una dimensione, quella della rilettura di questi elementi, che la performance ha da sempre praticato. Il teatro, la scena, l’audio, l’illuminazione, lo spazio del pubblico sono state nel corso della storia oggetti di rilettura se non di rivoluzione. Oggi semplicemente assistiamo a un nuovo patto performativo che si situa alla convergenza di nuovi dispositivi tecnologici».
Quali sono i contesti della programmazione e le forme di supporto artistico?
«Siamo ancora all’interno di un panorama fortemente frammentato, nonostante ci sia una certa volontà di dialogo e di network (e questo Libro bianco così come la nascita del gruppo ADV – Arti Digitali dal Vivo o di Residenze digitali o dei tanti momenti di dibattito sul tema in sedi quali festival e convegni lo testimonia). Il panorama è fatto di tante compagnie, teatri, e artisti che provano a sperimentare basandosi su interventi di diverso tipo come call, residenze e bandi».
Quali sono le forme con cui secondo te andrebbero sviluppate?
«Manca una maggiore strutturazione del fenomeno e un intervento che riesca a dare spazio alle diverse anime e ai diversi interventi e allo stesso tempo facilitare le collaborazioni. E infine un intervento atto a facilitare l’incontro tra creativi e aziende. Uno scambio, questo, che al momento è ancora difficile a causa di resistenze interne ma anche di pochi momenti di dialogo e condivisione che ne faciliterebbero la realizzazione».
Come nasce l’idea del Libro Bianco sullo spettacolo dal vivo digitale in Italia?
«L’idea nasce dall’esperienza di onLive Campus, l’appuntamento annuale voluto da Fondazione Piemonte dal Vivo, che prova a coinvolgere diverse anime dello spettacolo digitale dal vivo… aziende, festival, critici, studiosi, pubbliche amministrazioni, artisti etc. con l’intento di saggiare da una parte i risultati delle sperimentazioni dello spettacolo digitale dal vivo, dall’altra di costruire ponti per la creazione di network e collaborazioni. L’idea è stata quella di provare a mettere un punto. Servendosi di un approccio che ha visto intervenire oltre venti tra studiosi, professionisti e ricercatori, capire quale è lo stato dell’arte (dal punto di vista delle produzioni, dei teatri, degli interventi istituzionali, delle politiche, delle tecnologie, delle aziende etc.). Quali sono le radici che hanno portato a questo panorama e provare a indicare i percorsi virtuosi che potrebbero vederlo evolvere».