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Già nella trilogia sul Barocco, iniziata nel 2003 e dedicata a Calderón de la Barca, era un elemento portante della poetica di Lenz Fondazione (Performing and Visual Arts Foundation). Ma in La Vida es Sueño – auto sacramental (2019) – secondo capitolo del progetto site specific triennale “Il passato imminente” – lo scambio tra quadri del Seicento e le immagini del reale è un dato folgorante. In questo ensemble-mondo, più che spettacolo – ci tiene a rimarcare Maria Federica Maestri, direttrice artistica della Fondazione – il senso si compie nella sovrapposizione (metaforica e visiva) del Giobbe di Antonio de Pereda (1611- 1678) con l’Uomo del testo calderoniano. Nel dipinto, il patriarca Giobbe, ormai in età avanzata e con il corpo sfibrato dal dolore, guarda verso il cielo. Come lui, anche l’Uomo-Bambino regge tra le mani un frammento di tegola e poggia la mano destra sul cuore. In bilico tra passato e futuro, sogno e realtà, libertà di scelta e costrizione. I confini, filosofici e teologici, collidono nella concatenazione “imagoturgica”. L’invenzione verbo-visiva ibrida di Francesco Pititto – fondatore di Lenz insieme alla Maestri – mescola uno schema immaginario di composizione visuale con la drammaturgia. Un viaggio per immagini – in cui la parola si fa rarefatta – lento e cadenzato. Come i primi passi che compie in catene l’Uomo, interpretato dall’attore sensibile Paolo Maccini, inseguendo durante il sogno la Grazia divina. Si mette in atto un processo anomalo: animare immagini fisse e rallentare lo schema scenico, dilatandone il tempo. Tempo liminale tra sogno e veglia che si astrae e si contorce ancora di più.
Lenz Fondazione, La Vida es Sueño – foto di Francesco Pititto
Viene a crearsi un auto sacramental allegorico di stampo Calderoniano che ha pieno controllo sulla lucidità del sogno, che dipana problemi specifici – lo scontro tra fede, ragione e libero arbitrio -, mette in scena incontri catartici (l’Uomo abbraccia la Devozione – una Sandra Soncini, storica attrice di Lenz, sottile e tragica) e rivela intuizioni. “D’essere un enigma mi offro, perché non sono ciò che sembro, né sembro ciò che sono”. O svela l’ambiguità di uno spazio non teatrale di grande potenza, come l’Ala Nord della Galleria Nazionale della Pilotta a Parma. L’ensemble costituito da 15 elementi – attori sensibili, attori/cantanti adulti, e i bambini dell’Associazione Ars Canto G. Verdi, tra cui il potente Uomo Bambino Lorenzo Davini – ne ha potuto testare gli elementi multiformi. La materia, il display museale e i connotati strutturali. Proiettati in un ambiente svettante di colore antracite, espressione dei recessi in cui la coscienza umana si perde, quattordici letti ospedalieri in metallo giacciono inerti come strutture di contenimento. Celle tristi e scure e insieme palazzi dentro cui trincerarsi. Entrano in risonanza con le opere, scultoree, su tela, o replicate in digitale (il Giobbe) e con gli interventi museografici – un reticolo di tubi innocenti – dell’architetto Guido Canali. E per osservare la scena, lo spettatore è chiamato a muoversi, a girare intorno ai quattro elementi (terra, aria, acqua, fuoco), alla Trinità “bambina” (il potere, la sapienza e l’amore) o alle forze di ombra, luce e intelletto. Ma il movimento è difficoltoso, inquieto, incerto. Il punto di vista cambia con il mutare del passo. Lo smarrimento è altamente probabile.
Lenz Fondazione, La Vida es Sueño – foto di Francesco Pititto
Addirittura lecito. “È la voce della mia immaginazione? Ritratto dell’illusione? Corpo della fantasia?”, si chiede la Devozione per tutti noi. E il sogno lucido si fa più articolato per la quantità di stimoli e la condensazione di riferimenti. Così l’imagoturgia sfaccettata de La Vida es Sueño si sovraimprime sul complesso palinsesto del Palazzo della Pilotta. L’idea elaborata da Lenz di sala “desnudata”, per l’utilizzo di spazi industriali nudi e scarni, non solo ricalca l’architettura austera e dura dei Farnese a Parma, ma anche ispessisce il dramma del cosmo materializzato da Calderón sulla scena nel 1635. E le rifrazioni che Lenz genera non sono semplicemente l’antitesi, il tasto “off” alla vita quotidiana, ma rappresentano una nuova realtà, un regno alternativo dell’esistenza. Un’imagoturgia squisitamente antinomica. Si rimane intrappolati in questo dubbio, se sia realtà o illusione al massimo grado e ci si interpella sulla compiutezza del mondo di contro alla labilità dell’esperienza umana. E sui gradi della libertà e del “reale”. Anche dubitando di chi siamo, chi siamo stati e chi saremo. Rammentandoci che solo nel momento della sospensione è possibile trasformarsi.
Petra Chiodi