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Un incontro ai vertici al Teatro dell’Elfo, per la favola nera di Edipo Re
Teatro
Un materiale incandescente. Potente e infinito. Così sono le tragedie greche che ci obbligano a ripensare alla vita, al suo senso, a cosa la governa con una complessità dentro la quale ci si può perdere. Sofocle nell’Edipo re non si risparmia riportando al nostro sguardo temi come destino, colpa, scelta e coraggio. E qui sta la forza e il fascino del lavoro teatrale da costruire. Ferdinando Bruni e Francesco Frongia del Teatro dell’Elfo non si risparmiano certo le sfide e in questa stagione hanno portato in scena la vicenda del giovane re di Tebe, con un nuovo compagno di strada Antonio Marras, stilista, artista, ceramista (nel 2019 la Triennale di Milano ha allestito la mostra “Antonio Marras: nulla dies sine linea”, con disegni, dipinti, collage, installazioni e performance).
Con “Edipo Re. Una favola nera”, in scena fino al 14 aprile, sono ritornati ai miti: “Perché Edipo? Perché ogni tanto torniamo ai classici greci che sono alla base di tutto. Ci eravamo già avvicinati a Edipo con Verso Tebe. Variazioni su Edipo nel 2020. In questo nuovo spettacolo abbiamo fatto il viaggio intorno al mito di Edipo: dal II sec al 1900”. Ci sono molti Edipo Re, con cui è stata creata la drammaturgia inserendo brani scelti da Pier Paolo Pasolini a Jean Cocteau, come il discorso di Giocasta. «Secondo noi è anche una favola nera perché c’è un principe/bambino abbandonato sui monti che diventa un coraggioso cavaliere, uccide un mostro ottenendo la bella regina in sposa e una corona di re». Nera, perché ha un finale tragico. Uno spettacolo con opere d’arte che si inseriscono nella narrazione: nella scrittura scenica la parola si alterna e dialoga con le immagini proiettate e con i costumi materici dello stilista Antonio Marras che costruiscono i personaggi e ne raccontano la storia, e non sono solo scenografia.
«I costumi hanno un valore simbolico molto forte perché definiscono i personaggi e anche i loro destini. Sono un omaggio all’Edipo Re di Pasolini, del 1967», aggiunge Ferdinando Bruni. Cosa ne pensa Antonio Marras? «Io sono felice di aver partecipato, perché ho una stima incondizionata verso Ferdinando Bruni (e anche Francesco). L’ho visto a teatro ad Alghero anni fa nel Sogno di una notte di mezza estate e da allora ho sempre seguito i lavori dell’Elfo. Quindi quando mi ha chiamato per questo lavoro ho accettato subito. Avevo già lavorato con Luca Ronconi, per realizzare dei costumi». E ha adottato lo stesso metodo: «Lavoro così: lascio che arrivi una suggestione dal testo e poi mi impossesso dei materiali. Anche in questo spettacolo ho avuto la possibilità di lavorare così. Un abito non è una cosa statica, diventa parte della persona che lo possiede, si allarga prende forma, e diventa vivo».
Infatti, in Edipo Re i costumi partecipano alla narrazione e ai destini dei personaggi, come alla scenografia. Le forme sono allusive e metaforiche e gli abiti sovradimensionati. Uno degli esempi più esemplificativi è la scena del matrimonio tra Edipo e Giocasta dove i due sposi si devono infilare in due costumi sculture. Simbolicamente li imprigionano nei loro ruoli che disegnano i loro destini, come le due corone enormi che vengono calate dall’alto, come i costumi, sulle loro teste. «Giocasta indossa un abito da sposa realizzato con 25 abiti da sposa montato come se fosse una grande meringa».
Gli abiti dei pastori fanno riferimento al pastore sardo. «In particolare, ho preso ispirazione da uno scatto del fotografo Alfa Castaldi. Per Ho fatto un’incursione nei magazzini del teatro e anche tra le mie cose sacchi di cose che abbiamo nei grandi modelli che ci regalano gli altri». Ci sono pizzi e tulle; ci sono le frange, i ricami neri e dorati che rimandano a una religiosità barocca e ancestrale, fatta di ex-voto e icone sacre; le pelli di pecora e gli stracci come nei pastori sardi. E ci sono maschere, disegnate e realizzate da Elena Rossi, artificio teatrale e stratagemma tecnico che tutti gli attori, cambiando ruolo, indossano sul viso.
Tutti tranne Edipo: a lui resta se stesso, e dovrà assistere al compimento del proprio terribile destino. «In questo nostro Edipo cerchiamo di reinventare con uno sguardo contemporaneo un rito di cui alla fine sappiamo molto poco: l’uso delle maschere, per esempio, istituito forse per motivi religiosi, allo scopo di abbandonare l’identità individuale per raggiungere l’ékstasis, “l’uscita da sé”, per noi diventa uno strumento per aiutare gli attori a un diverso percorso di immedesimazione; così come il cast tutto maschile ci allontana da ogni tentazione di realismo per portare il racconto a una dimensione quasi sciamanica, per aprire un caleidoscopio di immagini oniriche capace di emozionare gli spettatori creando suggestioni ed evocando inquietudini che parlino al loro inconscio, anche se in questo viaggio siamo rimasti volutamente distanti da Freud e dalle sue teorie sul complesso di Edipo», concludono Ferdinando Bruni e Francesco Frongia.