Avete presente quei puzzle costituiti da una griglia rigida in cui tanti tasselli di un’unica immagine devono essere spostati in maniera orizzontale e verticale per ricostruire la figura originale? Sicuramente ci avrete giocato tutti almeno una volta (speriamo che i ricordi non siano poi così lontani).
Ora rifacciamo un flash forward e torniamo a oggi, immaginandoli scalati di molto, fino a farli arrivare a 2 metri per 3. Ecco cosa sono le opere del paksitano Rashid Rana negli spazi della Lisson Gallery. Questa volta però non vediamo i suoi famosi mosaici di tappeti orientali costruiti da immagini violente e di carneficine sanguinose (Red Carpet, 2007) o i suoi burqua che si delineano attraverso delle immagini pornografiche (Veil Series, 2004). Questa volta Rashid Rana se la prende con l’arte, facendo a pezzi e scomponendo in grandi pixel digitali quadri barocchi e rinascimentali. Per l’occasione Rana rende omaggio a Milano, scegliendo di scomporre la leonardesca Salomè di Cesare da Sesto e la Madonna del cuscino verde di Andrea Solari, insieme al Giuramento degli Orazi di David o Il ratto delle figlie di Leucippo di Rubens. Il risultato sono delle altre immagini, anche in questo caso che disturbano perché, anche se non violente, vengono percepite come disarmoniche e in contrasto, in cui il colore è sempre violento e in cui gli accostamenti delle parti risultano stridenti, al limite della “scomodità ”.
E qui ritornano le discussioni care alla sua opera riguardo al ruolo della parte e del tutto e della figurazione e dell’astrazione. Per Rashid Rana quello che rimane fondamentale è la capacità dell’arte di intepretare la realtà e non di copiarla. Al contrario delle macchine contemporanee di informazione, l’arte non dipinge il reale così com’è ma lo modella e lo interpreta assecondando l’occhio di chi la esperisce.
E anche questa volta è quello che fa: prende l’arte, la spezzetta, la riordina e la interpreta nuovamente.
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that’s contemporary mappa l’arte contemporanea a Milano dal 2011.
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