Se oltre un decennio fa si parlava di Net Art o Software Art, per poi passare allo sfortunato termine New Media Art, oggi, totalmente immersi nella tanto acclamata Rivoluzione Digitale, con i suoi annessi e connessi, risulta fuori luogo cercare di inquadrare queste pratiche in ogni altro termine che non sia semplicemente ARTE. Del resto, che il nostro rapporto con il quotidiano e con l’altro sia cambiato lo sappiamo tutti.
Nell’era post-mediale, quello che continua a essere interessante sono le declinazioni, non tanto quelle celebrative dei network e delle tendenze interattive, ma quelle interrogative, a volte ironiche e giocose, spassionatamente soggettive, degli artisti che sull’overload informativo hanno fatto un elemento chiave del loro lavoro. Anche a Milano ne vediamo le ricadute. C’è chi, come Riccardo Benassi, ne raccoglie le sfumature neo-realiste; e lo vedremo con Techno Casa da Marselleria prossimamente. O Trisha Baga, in mostra da Peep-Hole, che attraverso la stratificazione di linguaggi e immagini nelle installazioni immersive, in formato 3D, ripercorre l’esperienza della navigazione on-line. E poi chi, come Camille Henrot, il lavoro è stato discusso da Massimiliano Gioni alla conferenza “La Wunderkammer Digitale”, dell’incessante flusso di informazioni ne ricava appunto una camera delle meraviglie.
Ma ancora, le ricadute ludiche di queste pratiche le vediamo andarsi a tradurre in formato videogioco al festival “Playing the Game”, che indaga le ibridazioni tra arte e il videogame. Completamente fuori dal sistema consueto dell’arte milanese, queste sperimentazioni hanno il sapore dell’outsider art, di cui ha fatto tanto parlare il Palazzo Enciclopedico questa estate. Ma, come ci insegna Seth Price, la Rivoluzione è pervasiva, l’esperienza culturale dispersa nel flusso informativo e l’arte si contamina superando i suoi confini.
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