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05
luglio 2018
THAT’S STORIES
That's contemporary
Gli angeli della Cappella Portinari si avvicinano al cielo di Gianmarco Porru
di Francesco Pierraccini
di Francesco Pierraccini
Il cerchio è la nostra illusione astratta di completezza: una linea ininterrotta, priva di cambi di marcia, che si chiude in se stessa. Incarna la teoria che le cose possano avere un complimento logico prevedibile, come il cammino del sole ed il suo ciclo continuo di morte e rinascita.
All’interno del suggestivo ambiente della Cappella Portinari, la performance Senza Titolo (Molto vicino al cielo) realizzata da Gianmarco Porru, rimette in scena i riti della terra, creando un asse che parte dai performer e raggiunge gli astri, passando attraverso la danza angelica raffigurata nel tamburo e l’oculo aperto sulla cima della cupola della cappella.
L’incessante battere ritmico degli interpreti ci ricorda come i riti della terra che guardano al cielo sono una costante nella nostra vita, sono un’immagine insita dentro di noi alla quale tendiamo costantemente, anche nei nostri gesti quotidiani. Del resto, guardare le stelle è uno degli atteggiamenti che accomuna ogni uomo.
Così, nella vita dell’uomo e delle sue immagini, l’utilizzo del disco è un mezzo di collegamento con l’Eternità che attribuiamo agli astri: dalla sfera di fuoco che incorona le divinità egizie, ai 9 cerchi del Paradiso, fino ai balli rituali delle tradizioni popolari, riecheggia lo sforzo infinito di trascendere la terra e salire al livello delle stelle, nel piano della dimensione immortale.
Gianmarco Porru, Senza Titolo (molto vicino al cielo), Cappella Portinari, 2018 Photo Credit t-space
Forse possiamo dire che l’uomo riesca effettivamente ad accedere a questa eternità tramite il rito, non tanto perché questo permetta al singolo di trascendere la vita, quanto per il suo presupposto esistenziale di continua ripetizione: il replicarsi del rituale secondo gli stessi criteri ci restituisce l’immagine di un qualcosa che può durare oltre la nostra stessa vita. La fragilità del singolo, chiaramente incapace di raggiungere la perfezione delle stelle, si annulla nel rituale, nella reiterazione incessante, così come nella relazione con gli altri che si instaura nella comunità.
Senza Titolo (Molto vicino al cielo) è un progetto esito di una ricerca sulle narrazioni culturali che prendono in considerazione la magia come strumento di comprensione dei fenomeni ordinari. Prendendo come punto di partenza Il Mondo Magico (1948), il testo in cui l’antropologo Ernesto De Martino analizza gli echi dei rituali nelle tradizioni folkloristiche del sud Italia, la performance tenta a sua volta di dar vita ad un atto magico, attraverso una partitura ritmica incalzante che si sviluppa in gesti collettivi che imitano il moto delle stelle: il lento procedere circolare, l’alternanza di luce ed ombra. Il progetto è stato realizzato tramite il sostegno del concorso MOVIN’UP SPETTACOLO – PERFORMING ARTS 2017 a cura di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali del Turismo (MiBACT) – Direzione Generale Spettacolo (DGS) insieme con Associazione per il Circuito dei Giovani Artisti Italiani (GAI). Inoltre, molte delle ricerche e degli elementi alla base dell’opera, sono stati realizzati durante il periodo di residenza presso il PAF (Performing Art Forum) e la partecipazione ai Winter Update meeting, entrambe due esperienze fondamentali per strutturare una metodologia operativa che si basi sul confronto e sulla condivisione della pratica artistica.
Francesco Pierraccini