Il percorso espositivo racconta, attraverso gli oggetti esposti, cinquemila anni di vicende culturali sudanesi, dal IV millennio a.C. fino all’evo cristiano, e intende focalizzare l’attenzione intorno al rapporto tra civiltà egizia ed africana, ripercorrendo l’affascinante alternanza del prevalere dell’una sull’altra ed evidenziando le significative commistioni: Faraoni egizi che dominano la Nubia (1500 a. C.) e “Faraoni neri” che dall’antica capitale Napata regnano sull’Egitto (XXV dinastia, VIII – VII sec. a.C.).
La Nubia si divide in due grandi regioni ripartite tra l’Egitto ed il Sudan attuali. La Bassa-Nubia si estende a sud di Aswan fino alla II cateratta: priva di risorse agricole, ha vissuto dal III millennio a.C. in una certa dipendenza dall’Egitto, suscitando interesse per la ricchezza delle miniere aurifere. L’Alta Nubia, che va dalla II alla IV cateratta, al contrario, grazie al ricco bacino di Dongola, ha visto la costituzione e il fiorire del regno di Kush accentrato a Kerma (ca. 2300 a.C.). Esso oppose una ferma resistenza all’Egitto fino alla conquista da parte dei faraoni della XVIII dinastia (ca. 1500 a.C.), per poi riuscire a sottomettere il potente vicino settentrionale nell’VIII – VII secolo a.C. con i cosiddetti “Faraoni Neri” di Napata.
Il regno di Kush appartiene all’Africa delle latitudini sahariane e saheliane e ha simbolizzato per millenni, con tutte le sue ricchezze ed il suo lusso, il continente nero nell’immaginario dei vicini del nord. Si sviluppa sulle rive del Nilo, fonte di vita come in Egitto, ma anche via di comunicazione alla confluenza delle piste carovaniere che giungono dal cuore del continente. A partire dalle prime dinastie egizie, l’attenzione dei faraoni si volge verso sud, verso quella Nubia attraverso la quale transitano tutte le ricchezze africane: oro, avorio, ebano, pelli di pantera, piume e uova di struzzo.
Durante tutta la fase di conquista e colonizzazione della Nubia, celebrata dall’edificazione di maestosi templi, tra i quali emerge l’impressionante complesso di Soleb, l’Egitto ha tentato di imporre i propri costumi e le proprie divinità. In realtà i Nubiani hanno rielaborato, alla luce della loro cultura specifica, i modelli dell’alto Egitto. I riti funerari egizi, che i Kushiti hanno utilizzato a Napata sotto le loro piramidi, si sono rapidamente evoluti: la piramide si è trasformata, dipinta e decorata da elementi diversi. I culti raffigurati nelle cappelle reali merotiche non hanno molto in comune con quelle degli egizi di un tempo: tutto sembra ripensato “alla kushita”, con canoni estetici propri che traducono una sorprendente capacità inventiva.
In mostra sono presenti circa cinquecento opere tra grandi sculture, vetri, oggetti di oreficeria di straordinario pregio artistico, steli ed iscrizioni di alto valore documentario, a testimonianza di un patrimonio archeologico ancora scarsamente conosciuto, sepolto nella regione comunemente nota come “Nubia”, corrispondente all’attuale Sudan settentrionale e alla zona dell’Egitto meridionale oggi sommersa dal lago Nasser.
Indimenticabili il Montante di porta raffigurante Anubis, in foto, uno specchio in bronzo del 1400 a.C., dei calici di vetro blu dipinti e dorati, la statua in quarzite bruna-rossa dell’Antico Regno (2300 a.C.).
Il percorso espositivo si articola in dieci sezioni cronologiche: la scansione temporale, eseguita per grandi periodi, si riferisce ai momenti del processo storico che più evidenziano l’avvicendarsi di caratteri peculiari della civiltà africana e le commistioni con quella egizia ed ellenistico-romana.
L’allestimento scenografico, suggestivo, coinvolgente, tra i più affascinanti possibili, permette di percorrere la mostra come si visita un sito archeologico: coinvolge il “visitatore pioniere” a partecipare alle nuove scoperte degli scavi sudanesi. Immersi attraverso le sollecitazioni cromatiche del giallo e dell’azzurro, sabbia e cielo, nell’atmosfera naturale dell’antica Nubia, i reperti esposti svelano una parte della storia antica della regione e conservano numerosi interrogativi.
L’avvio delle ricerche italiane ha preso spunto dalla conclusione dell’intensa collaborazione al salvataggio dei monumenti minacciati dall’invaso provocato dalla Grande Diga di Aswan (terminata nel 1968), in riconoscimento della quale è stato donato all’Italia il tempio di Ellesiya, ora ricostruito nel Museo Egizio di Torino. Attualmente operano nelle aree archeologiche sudanesi almeno cinque missioni italiane.
Il collegamento con l’archeologia dell’antico Egitto è un passaggio obbligato per il recupero della vicenda culturale sudanese, che copre almeno cinque millenni, spingendosi oltre l’ellenismo fino ai regni cristiani medioevali prima della tardiva islamizzazione.
La mostra si pone dunque come momento di studio e di riflessione intorno all’affascinante avventura della scoperta della Nubia, cerniera tra Egitto e Africa, e, parafrasandone il titolo, ci permette di conoscere a fondo i “Tempi d’oro sul Nilo”. Organizzata dall’Associazione Torino Città Capitale Europea e dal Museo Egizio di Torino, essa giunge a Torino come unica tappa italiana dopo aver registrato oltre 500.000 visitatori nelle sedi di Monaco, Parigi, Amsterdam, Tolosa e Mannheim.
L’edizione torinese è articolata in un duplice percorso espositivo: alla Promotrice delle Belle Arti sono esposti i preziosi reperti che costituiscono il nucleo originario del circuito europeo, oltre a pezzi delle collezioni archeologiche universitarie di Pisa, Roma, Cassino e del Museo Egizio di Torino. Quest’ultimo allestisce, per l’occasione, un itinerario interno sul tema, complementare e parallelo a quello della mostra.
claudio arissone
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