Sagome disegnate. Sagome evocate. E sagome catturate. In uno scatto di sospensione fotografica, autoimposto con disciplina nei limiti angusti di una stanza, allestita con cura quasi maniacale. Dove lo spazio circoscritto non ha altro ruolo che esaltarne la dimensione intima e privata, di relazione esclusiva e ravvicinata con la fisicità di un corpo. Quello della sua stessa autrice Donatella Spaziani (Ceprano, Frosinone, 1970), decisa ad inseguirne una personale leggerezza, possibile da realizzare solamente nello smaterializzarsi del concetto. Opportunamente espresso dall’uso di tecniche diverse -disegno, scultura, fotografia- tutte finalizzate al recupero di una ben precisa forma. Pura come può esserlo la sinuosità allusiva di una struttura ergonomica, studiata proprio per accogliere le posture di una figura umana. Magari, di quella medesima silhouette che si staglia imponente sulla parete della sala accanto, tracciata a matita su un foglio gravido di segni, in modo tale da svuotarne ogni residuo di corporeità. Per lasciarne invece un’impronta duratura sulle morbide superfici (in pelo di cavallino e pelle di capra), montate su un’anima di legno di rovere, al di là di ogni probabile funzionalità da arredamento d’interni. Che si manifesta apparentemente nell’intervento site specific, rappresentato dalla carta da parati a motivi floreali, minacciata da impenetrabili macchie nere. Nuovamente sagome dalle anatomie innaturalmente ripetute, per ribadirne l’idea di stretta interazione con l’ambiente circostante.
Un’idea che la Spaziani -inclusa nella collettiva di vari artisti del calibro di Alighiero Boetti, prossimamente a Palazzo Cavour di Torino- persegue con costanza da qualche anno. Soprattutto nei lavori fotografici realizzati in digitale, all’interno dei luoghi di residenza o di soggiorno vissuti in occasione dei suoi viaggi. Ma l’esterno non sembra contare più di tanto, quanto piuttosto lo spazio chiuso di una camera d’albergo, che diviene cassa di risonanza emotiva. Tra l’io dell’artista, sul punto di rivelarsi, e l’involucro che lo contiene. Pronto a cogliere, attraverso la pratica dell’autoscatto, lo scarto di improvvisazione, inevitabile tra azione e sua successiva ripresa fotografica. Il tutto mentre fuori il mondo scorre frenetico, a San Paolo come a Parigi, incurante di qualsivoglia epifania.
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ma ha chiuso questa galleria o ha deciso di continuare il suo interessantissimo programma.......beh che si decida, tanto non è fondamentale!!!!