Perché il bello possa irrompere nel quotidiano è indispensabile che si presenti una precisa condizione: l’attivazione della percezione estetica dell’osservatore. Con la conseguente retrocessione della sua consueta interpretazione razionale della realtà. Questa, in sintesi, la riflessione a cui è giunto il curatore Luca Vona a partire dal pensiero del filosofo Nicolai Hartmann (1882-1950). Secondo quest’ultimo infatti: “Ciò che la percezione estetica vede sta neutralizzato e come un’isola”. Un pensiero elaborato nell’Estetica, saggio scritto negli anni della Seconda Guerra Mondiale e pubblicato postumo. Testo che Vona ha cercato di convogliare all’interno di alcuni scorci fotografici. Come quelli di Enrico Abrate (Mantova, 1971), in cui prevale l’attenzione per la serialità, per la ripetizione modulare. Dove anche semplici elementi architettonici, quali i giochi per bambini nei giardinetti cittadini e le finestre di un condominio, scoprono improvvisamente di possedere nella luce abbagliante di un flash per lambirne l’oscurità. Quello stesso buio che affascina anche Giorgio Cravero (Torino, 1971), il quale privilegia gli orari notturni per immortalare la dimensione “umana” della sua (e nostra) città, anche se poi gli umani non compaiono. Compaiono invece, spesso accidentalmente, nelle fotografie di viaggio di Alessandro Belgiojoso (Milano, 1963), come un elemento da osservare al pari di ogni altro dettaglio paesaggistico. Mentre assumono la piena centralità negli scatti di Renato Barbato (Napoli, 1969) attraverso la loro “messa in posa” che gli dona una patina di estraneità, di atemporalità, di iconicità. Enrico Carpegna (Madrid, 1960) tende a ricreare l’effetto della dissolvenza cinematografica nelle sue foto dal formato oblungo dove l’intento narrativo lascia il posto alla pura e semplice contemplazione dell’immagine.
Un’immagine compiuta e nello stesso tempo evocativa, come quella che compone il dittico di Pier Paolo Maggini (Pisa, 1970), che sulla superficie fotografica di un paesaggio pseudo lunare intrattiene un convivio di segni e graffiature. Tali da trasformarne la reale natura di svincolo autostradale in qualcosa di sconosciuto e misterioso. Dal sapore antico di un b-movie sugli extraterrestri. Tutte le opere sono state scelte per dare corpo e sostanza al procedimento estetico di cui parla Luca Vona in catalogo. Perché “Prima ancora che essere un oggetto il bello è un modo della coscienza che esprime in maniera unitaria la duplice natura animale/spirituale dell’essere umano”.
claudia giraud
mostra visitata il 15 aprile 2005
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