Pierluigi Pusole ha una fede incrollabile nell’analogico, per quanto la sua ricerca più che ventennale si sia spesso confrontata con la multimedialità.
Pusole è un pittore: ha scelto questo mezzo perché lo ritiene ancora oggi quello capace di veicolare il numero maggiore di microinformazioni. Intorno alla metà degli anni Ottanta si è posto come obiettivo il superamento del concetto romantico di ispirazione e ha dato vita a due progetti di ricerca – Io Sono Dio e Standard – fondati sulla rielaborazione seriale di immagini prese dai media e la successiva catalogazione degli scarti formali e dei segni ricorrenti.
Questo vocabolario segnico –mai del tutto espropriato di un intento figurativo– costituisce come il codice genetico di una natura “altra”, rappresentata sulla tela con una tavolozza limitata e straniante che ne amplifica il senso di artificialità. La poetica di Pusole si presenta allora come un processo capace di generare ma anche di classificare il dato inatteso, attraverso una razionalizzazione del gesto pittorico impulsivo, che viene posto sotto la luce della coscienza e quindi, in un certo senso, “addomesticato”.
M-2 è, allora, una sorta di realtà virtuale nata da un processo di analisi, manipolazione e, in fin dei conti, negazione della natura. M-2 sta appunto per Mondo Due.
Al concetto di realtà virtuale e di “addomesticamento” dell’indeterminato -che in natura si presenta nelle incalcolabili varianti di ogni ente- sembrano alludere soprattutto le geometrie che racchiudono il paesaggio, bloccandolo come dentro ad una stanza. Un effetto quasi claustrofobico cui contribuisce anche la decisione di abbassare i soffitti della galleria.
Un po’ demiurgo, un po’ genetista, Pusole si mantiene fedele ad una pittura che rievoca quell’ideale alchimistico e rinascimentale dell’artista inteso come Alter Christus, espressione dell’Uomo capace di dominare la realtà comprendendone le relazioni interne e di trasformarla attraverso infinite permutazioni.
Ma l’entusiasmo nel manipolare la natura con l’intenzione – e una presunzione velata di ironia – di “fare meglio”, se negli anni ha permesso a Pusole di sviluppare una personale poetica del “sorprendente” adesso sembra cedere il passo ad un’atmosfera di dureriana melanconia.
Se in Io Sono Dio e Standard era quasi percepibile la gioia di un dio di fronte alla sua creazione, in M-2 si avverte un certo senso di inquietudine, evocato dal verde cupo che avvolge le sagome delle montagne, gli alberi e spesso anche le acque dei laghi, mentre il cielo si tinge di un colore giallo acido, che amplifica l’effetto alienante del paesaggio.
Questo non deve portare a credere che Pusole abbia messo in discussione il proprio sistema d’idee, l’ottimismo nei confronti del progresso scientifico e dell’umana capacità di sfidare la natura e vincere le sue leggi. Forse in M-2 siamo semplicemente al primo stadio del processo di trasmutazione del reale, quella nigredo con cui necessariamente principia l’opera dell’alchimista, il quale non può accedere ai doni della “Grande Arte” nisi per animae afflictionem.
luca vona
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SPLENDIDA MOSTRA, UN RITORNO ALLA GRANDE DI UN GRANDE ARTISTA.
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